La lingua è la storia di un popolo. E se c’è un popolo conosciuto universalmente per la sua lingua è quello napoletano. A dimostrarlo è anche l’UNESCO che include il napoletano tra gli idiomi da "tutelare" nel mondo: una ulteriore conferma del grande valore culturale che questa lingua porta con sé, tra letteratura, teatro e musica. Attestazione prestigiosa che, in qualche modo, riesce a diradare le pesanti nubi, spesso ingombranti e stereotipate, dei media e di chi la città non l’ha mai nemmeno visitata, che spesso provano ad offuscare il “cielo di Napoli”, con la solita immagine camorristica e delinquenziale. Esiste, per fortuna, un altro immaginario collettivo, quello meno battuto dai media e che racconta le altre facce di Napoli nella sua vera essenza. Lo ha fatto Pino Daniele che ha diffuso nel mondo, con il suo animo blues e nero a metà, cantando in lingua napoletana la sua città e le sue mille sfumature. Lo ha fatto il grande Massimo Troisi, a partire dal suo primo e straordinario film Ricomincio da Tre, dove non ha esitato a recitare in napoletano. Lo ha fatto Roberto De Simone con La Gatta Cenerentola, che ha portato nei teatri di tutto il mondo quest’opera in lingua napoletana, tratta dalle fiabe del ‘600 di Gianbattista Basile, un racconto popolare che è arrivato sino ai giorni nostri con la fortunatissima produzione Disney della famosa Cenerentola. Lo ha fatto qualche anno fa il film doc musicale di John Turturro e Federico Vacalebre, Passione, che ha raccontato Napoli con le sue indimenticabili canzoni. E se questi esempi sono le facce più vere di un’immagine spesso distorta e massificata, ci aiutano a comprendere perché una lingua prestigiosa come quella napoletana, si configura come una lingua culturalmente universale.
Nessuno qui vuole nascondere il capo sotto la sabbia dagli orrori della camorra e della Terra dei Fuochi, ma perché Napoli e il Sud devono essere rappresentati solo con la loro faccia brutta, sporca e cattiva? Alla lingua di Gomorra, che ha certamente fatto la fortuna di pochi, è contrapposta una lingua che ricorda la cultura e la storia di Napoli, che, nonostante tutte le mafie e le disattenzioni governative, è capitale del Meridione e del Mediterraneo. Una città intensa, di luci e ombre, tra rivoluzioni, dominazioni e fatti storici che hanno segnato anche la storia del nostro Paese, e che tutt’oggi lotta per affermare la voglia di svilupparsi. Ne sono esempi la moderna e artistica Metropolitana di Napoli e la crescita turistica che negli ultimi anni ha messo Napoli tra le prime in classifica per visitatori.

Massimiliano Verde e Veronique Autheman durante la conferenza “Provenza Napoli”
Vale la pena, a questo punto, raccontare cosa accade in Provenza. Da qualche anno, i giovanissimi studenti di alcune scuole provenzali, grazie al progetto culturale per la diffusione della lingua e della cultura napoletana, dal titolo “Re-overture della Route Provenza-Napoli”, parlano amabilmente napoletano. Il progetto, curato da Massimiliano Verde, storico, formatore e presidente dell’Associazione Culturale Notre Napule’ a Visionaire, in collaborazione con Véronique Autheman, cultrice di lingua provenzale, scrittrice e insegnante di storia alla Saint Etienne ad Arles, ha riaperto la strada tra Napoli e la Provenza, consolidando antichi legami culturali e storici tra le due regioni mediterranee. Se il filo tra due culture è stato ormai riallacciato, viene da chiederci quanto piacciano Napoli e la lingua napoletana ai provenzali. A spiegarcelo è Massimiliano Verde, che abbiamo intervistato.
Come è andato quest'anno di studio in Provenza?
Direi benissimo. Questo progetto didattico-culturale, che si applica con il metodo europeo per l’apprendimento delle lingue, serve a diffondere, tutelare e promuovere il patrimonio linguistico, storico e culturale della città di Napoli. Il progetto, dalla Provenza, si espande anche negli Stati Uniti e in America Latina, con corsi, libricini ed album per piccoli allievi e ragazzi in lingua napoletana, che provvediamo a tradurre in italiano, francese, inglese, spagnolo, eccetera. I legami tra la Provenza e Napoli, tra l’altro, risalgono alla greca Marsiglia per finire alla Napoli angioina provenzale, che hanno influito in maniera importante nella costruzione della lingua, della poesia e della musica napoletana. Sono molte le connessioni tra Napoli e la Provenza. Un esempio, tra i tanti è il busto di San Gennaro, il Santo Patrono di Napoli, che fu realizzato dai maestri provenzali. Attualmente mi occupo sempre della promozione internazionale della lingua e della cultura napoletane, con l’Alliance Européenne des Langues Régionales, insieme agli amici provenzali, valenciani, nizzardi, di cui sono Vice Presidente.
La lingua è la storia di un popolo?
Sì, certamente. Napoli porta con sé una civiltà trimillenaria non solo per i napoletani di Napoli, ma per le diverse comunità di origine napoletana e del Sud che io definisco “napoletanofone”. L'idioma napoletano è patrimonio linguistico di ogni napoletanofono, come io credo si debba definire ogni persona nel mondo che parli, conosca, si esprima, comprenda anche solo in parte, la parlata napoletana. La parlata napoletana, intesa anche nella sua filogenesi e modificazione spazio-temporale non solo in Italia, ma anche a livello internazionale, ha l'età della Città di Napoli: tremila anni o giù di lì, perché già in tempo romano si parlava un latino greco-napolitano, ovvero indigenizzato.
Ci perdiamo nella notte dei tempi, dunque…

Il Console Generale di Francia a Napoli, C. Thimonier, e il Sindaco di Napoli, L. De Magistis, con Massimiliano Verde, Veronique Autheman ed Elisabeth Costes
Tra il marzo 960 e l'ottobre 963, compare per la prima volta e per atto notarile, una lingua che intenzionalmente viene usata "al posto" del latino: il Placito di Capua del marzo 960. È in volgare pugliese ovvero napolitano, e non toscano. Il primo testo di letteratura dialettale in prosa è l'Epistola Napoletana del Boccaccio in un napoletano che risente anche di molte sfumature provenzali, che denuncia già la forza della lingua napoletana, visto che la medesima, come si percepisce nell'Epistola, napoletanizza foneticamente e graficamente i termini provenzali d'epoca angioina. Addirittura Alfonso d'Aragona rende il napoletano lingua del regno. Se poi pensiamo alle villanelle napoletane, una forma di poesia musicale popolare che fu chiamata poi Canzone alla Napolitana, passando dalla canzone dell’800 napoletano, dai Salvatore Di Giacomo al teatro di Eduardo De Filippo, Raffaele Viviani e Totò, arrivando agli emigrati che andarono oltreoceano, il patrimonio linguistico napoletano, che non ha pari al mondo, è diventato sempre più internazionale.
Qual è l’impatto degli stranieri con la lingua napoletana? Cosa fa durante le lezioni?
Il patrimonio culturale napoletano ha un impatto immediato. I bambini provenzali, a cui insegno lingua, cultura e storia di Napoli, cantano Napule è di Pino Daniele con una facilità incredibile. La nostra è una lingua viva, ha un’anima profonda che il grande poeta Pino Daniele ha saputo sublimare raccontando la vera Napoli, quella che “a sape tutt’o munno, ma nun sanno ‘a verità”. I provenzali anche con questa meravigliosa canzone, hanno compreso che Napoli non è solo una carta sporca, ma è anche la voce dei bambini, una città dove non si è mai soli perché Napoli è una città capace di abbracciare l’umanità. Nelle mie lezioni, i bambini restano estasiati davanti al racconto di una città fondata da una sirena che dona il sole a Napoli sotto forma di uovo magico o con le storie di Gianbattista Basile, vero padre della fiaba moderna, con Zoza de Lu Cunto de li Cunti, la moderna Cenerentola. Durante le lezioni ho parlato dell'uso quotidiano di strumenti come la forchetta a quattro denti inventata alla corte borbonica per meglio mangiare gli spaghetti o la pizza margherita, o meglio a fior di margherita. Insomma una lezione molto variegata. Alla fine dell’anno scolastico hanno messo in scena uno spettacolo dove hanno omaggiato una Napoli diversa, tra storia e cultura, che in Italia e nel mondo non fa notizia, a differenza di quella parte che ama tanto raccontare Napoli nei soliti stereotipi.
Non solo Gomorra. Napoli, Con queste iniziative, riesce, in qualche modo, a svoltare pagina. Come ne esce?
Ne esce benissimo! Per esempio, quando racconto nelle mie lezioni che Napoli con il suo Presepe è un incontro di culture e di civiltà, i piccoli studenti provenzali sono entusiasti. Ultimamente uno di loro mi ha detto che Napoli è la città della pace o dell'amore o la patria del vero cavallino rampante, o meglio, sfrenato che un altro ancora vuole ammirare al più presto. Un’altra allieva, invece, ha espresso il desiderio di ammirare l’isolotto di Megaride con il Castello dell’Uovo Magico. Insomma, vogliono tutti venire a Napoli. Le mie lezioni, i progetti didattici e gli eventi sono tutti proiettati unicamente al recupero dell’identità napoletana, che di per sé è mediterranea, cosmopolita, pacifica, dialogante, umanista, e che dovrebbe essere rispettata un po’ di più anche dagli stessi napoletani. Aggiungo anche che spesso i telegiornali italiani, quando parlano di città d'arte, non mi pare menzionino Napoli, che invece è la città che possiede il centro storico più grande d'Europa.
È vero che porterete il progetto dalla Provenza agli States?
Sì. Per il progetto sulla lingua e cultura napoletana, attualmente ci sono nuove sinergie con diverse associazioni, come la Federazione delle Associazioni Campane negli USA a New York: l’Ambasciatrice nel mondo, la dottoressa Simona De Rosa, è nostra socia onoraria. Siamo anche in contatto con la Scuola d’Italia “Guglielmo Marconi”, recentemente visitata dal Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che è una delle scuole dove vorremmo portare il nostro progetto per la promozione e l'insegnamento della nostra lingua, cultura e storia per il recupero della identità dei loro avi, genitori, nonni napoletani o del Sud Italia. Non a caso il Sindaco De Magistris con il Sindaco di New York, Bill De Blasio, ha parlato di flusso di ritorno degli emigrati napoletani. Sarebbe interessante poter colloquiare sul progetto anche con l’associazione americana NIAF. I nostri progetti sono tutti di natura multidisciplinare e sociale, e non si fermano all'insegnamento. Ne abbiamo tanti. A Napoli, per esempio, portiamo avanti, attività in favore della Porcellana di Capodimonte, della storica scuola di porcellana IISS Caselli, e dei Maestri Presepiai Napoletani del Centro Storico di Napoli; promuoviamo internazionalmente la produzione del Fondo Lamberti della Cooperativa Resistenza di Scampia di Ciro Corona, di LIBERA, con il quale abbiamo in cantiere di realizzare attività didattiche presso l'Officina delle Culture Gelsomina Verde. Per finire, in Provenza, sto programmando una conferenza ad hoc sulla pedagogia della resistenza alle mafie intesa come processo di liberazione e di riscatto culturale e sociale del nostro popolo, che abbiamo anche intenzione di realizzare negli USA e non solo, perché i nostri progetti sono primariamente intesi come battaglia antimafia per il recupero della nostra dignità.
E se questa è una storia identitaria tra la lingua e la storia di un popolo che in Francia ritrova l’altra sua identità, capace di far cantare dei bambini francesi le canzoni di Pino Daniele e 'O Sole mio, l’immagine che ne esce affranca la città di Napoli e forse, possiamo dire di essere “un po’ tutti napoletani. Ha ragione John Turturro, quando dice, nel film Passione, che “è vero che ci sono posti in cui vai una volta sola e ti basta…e poi c’è Napoli”. C’è Napoli.