Il temporale della notte fa Roma più fresca lungo l'Appia Antica. Aspettiamo il Maestro Franco Zeffirelli, regista, scenografo, scrittore, illustre maestro della messinscena lirica e teatrale, esempio di quella eccellenza fiorentina che trae origini dall'attitudine rinascimentale alla grande impresa. Siamo nel luogo dove l'antico autorizza il presente a farsi rivoluzionario, quando i viaggi si fanno più lunghi per parlare alle persone che abbiamo vicino. Viaggi lunghi come pellegrinaggi dentro il Novecento e i suoi protagonisti, che scorgiamo, qui, tra fotografie ed ombre silenziose, da Bernstein a Bob Kennedy, da Paolo VI a Reagan. E si ha l'impressione di sentire ancora i baci tra Liz Taylor e Richard Burton, suoni di grammofoni d'epoca e la risata di velluto di Anna Magnani.
Franco Zeffirelli risponde all'idea dell'eterno, che ha a che fare con l'opera d'arte e la bellezza come politica di pensiero. Ci suggerisce che la determinazione e la battaglia per l'affermazione dei nostri sogni non hanno niente a che vedere con l'anagrafe, l'establishment e la carriera, ma solo con il destino personale, che chiamiamo carattere, e c'è chi tenacemente lotta per ciò che desidera e chi non abbastanza. Chi ottiene quello che vuole e chi si compiangerà sempre.
In mezzo a tanto piagnucolare della miseria del cinema e della non-cultura contemporanea italiana, Zeffirelli ci viene incontro sorridendo. Lo incontriamo a casa sua. Quegli occhi ancora chiari d'acqua sorgente annunciano, a novantadue anni, un sogno che si realizza: mentre fino al 18 ottobre a Villa D'Este è visitabile la retrospettiva di 60 anni di carriera teatrale e cinematografica del Maestro, a Firenze, nel palazzo dell'ex tribunale, stanno per iniziare i lavori di realizzazione del Centro D'arti della Fondazione Zeffirelli che custodirà per sempre, nella sua città natale, l'operato e le tracce storiche del percorso di un artista patrimonio dell'umanità.
Come sta Maestro?
"Accade un po' di felicità. Stanotte sono sbocciati altri fiori".
Siamo sempre impreparati alla felicità che ci fa sembrare fanciulli…
"Beh, non lo so, perché io lo sono un fanciullo! La felicità di questo periodo si nutre del lavoro di anni, di un impegno indissolubile, mio e di chi mi accompagna, prima di tutti Pippo e Luciano" [figli adottivi di Zeffirelli, n.d.a.].
Visto il suo carnet di artista e considerati tutti i riconoscimenti ricevuti, Oscar compresi (quelli per la fotografia e i costumi di Romeo e Giulietta, nel 1968) che differenza avverte tra la felicità del presente e quella mietuta via via nel tempo?
"Nel pieno della conquista della tua affermazione la felicità è una sfumatura di colore. Quando poi il tempo ti impone di raccogliere e custodire le tue opere, la felicità di ogni nuova realizzazione in funzione di esse è il suono della grande orchestra che irrompe nella scena e dilata tempo e spazio. Sento che posso finire in levare questa vita bellissima che ho avuto il fegato di addomesticare fino all'ultimo morso. Ognuno di noi ha lottato per il progetto della Fondazione, per far comprendere alle istituzioni e alla mia adorata Firenze che non ci prefiggevamo un'idea di autoreferenzialità, ma ci siamo adoperati nella prospettiva della creazione di un luogo che conservasse sì la mia memoria, la memoria delle mie opere, ma proponendosi di essere un centro vivo a disposizione delle nuove generazioni di talenti".
Esistono ancora talenti nel cinema, nel teatro, nella lirica?
"Non fermarti mai alle prime impressioni e non delegare. Improvvisa e conosci, ri-conosci. Certo che esistono, ovunque: tantissimi e di meravigliosi. Ma non sto parlando esclusivamente di ciò che tutti vedono e di quel poco che si fa. E si fa poco per profondo scoraggiamento e fatica. Ci sono talenti che ho incontrato e che ancora non hanno ribalta, a volte nemmeno opportunità di crescita o risorse per divulgare la propria espressione. L'imperativo del bello e l'urgenza di espressione non si arresta. Traballa, si offusca, ma poi sfolgora di nuovo. Proprio come i fiori, che crescono da soli nel buio e all'improvviso sbocciano. Anche per un giorno e poi basta, ma sbocciano".
L'essenza del progetto della Fondazione Zeffirelli sarà dunque la "coltivazione" dei talenti?
"Una sorgente di cultura improntata sul 'fare cultura'. Una accademia dove i giovani provenienti da tutto il mondo, a Firenze, potranno studiare nell'ambito delle discipline dello spettacolo, diventare creatori e fautori della propria identità personale. Senza identità, ragazza, non si va da nessuna parte. Nuovi professionisti delle arti sceniche, registi, scenografi, costumisti, fotografi, attori e musicisti. Sarà questo il 'centro', dove l'uomo artefice-artista è l'occhio centrale nella percezione, espressione e rilettura dell'universo, secondo la propria spiritualità e carnalità emotiva". [Nel frattempo chiede a Federico, affettuoso e attento assistente, di mostrarci il plastico del progetto].
Dove sarà situato?
"Nel palazzo dell'ex Tribunale di Firenze, edificio barocco di stupefacente bellezza, luogo cui da bambino passavo davanti nel tragitto da casa a scuola, anche con un certo timore perché incombeva come un gigante sulle mie gracilità. È stato un caso…pensa che amante seducente, a volte sadico, altre tenero sia il destino: in quello stesso palazzo di cui temevo le ombre lascerò infine proprio la mia di ombra, ma luminosa, che non spaventi nessuno [sorride]. Affiderò tutta la mia vita: i bozzetti di ogni scenografia realizzata e non, il materiale filmico, le sceneggiature, i vestiti di scena, i quadri della mia collezione privata, le migliaia di libri".
Come verrà organizzato?
"Un museo, un archivio, una accademia. Tutto ciò che possa raccogliere risorse di ispirazione e di richiamo per visitatori che a loro volta, così, parteciperanno al finanziamento dei corsi per i frequentanti. Con gli architetti stiamo perfezionando la suddivisione degli ambienti. Centrale risulterà una sala polifunzionale per musica e teatro, una galleria espositiva permanente per artisti ospiti che si alterneranno, e le aule naturalmente. Il Centro D'Arti Franco Zeffirelli diventa un luogo unico in Italia dove si possano studiare e "fare", ci tengo, le discipline del teatro e dello spettacolo, compreso l'alto artigianato della "bottega teatrale". Un riferimento di valore, un perno nei gangli della storia della cultura italiana".
Da dove arriva questa esigenza così forte?
"Romeo e Giulietta, Fratello sole e sorella luna, il mio Gesù, ogni singola regia lirica e teatrale delle centinaia che ho svolto, ovunque, con i più grandi di tutti i tempi, ogni vagito di luce colta in uno scatto, in un disegno, in un movimento di camera, nella piega di una stoffa, sono tutte mie creature; una figliolanza sparsa che mi ha offerto il privilegio di essere genitore. E so cosa significa. Così vorrei non solo che di queste creature se ne continuasse a godere, ma che altri avessero le risorse da cui ho attinto io. Molte sono personali, altre sono emanate dalla frequentazione dell'Accademia delle Belle Arti di Firenze dove mi sono formato prima di dedicarmi alla scenografia con Luchino [Luchino Visconti, n.d.a.] e alle mie regie; altre ancora appartengono alla natura straordinaria della mia città, straordinaria nell'arte che conserva e che esprime: guarda alla cupola del Brunelleschi, ad esempio, un mistero, un miracolo, dopo secoli ancora perfetta opera ingegneristica e d'arte. Ecco, voglio restituire il tesoro che ho ricevuto, con la speranza che con esso continui ad edificare nuova arte, altra bellezza".
Non è la prima volta che concretizza il desiderio di formare nuove generazioni?
"Alla Columbus Citizens Foundation di New York, l'anno in cui sono stato Grand Marshal della Parata del Columbus Day, il 2002, vennero istituite borse di studio per le Arti intitolate a mio nome. Le borse di studio sono state create per dare anche in quel caso la possibilità di uno scambio didattico tra allievi dell'Accademia delle Belle Arti di Firenze e la cultura della scuola newyorchese. La prima donazione arrivò dall'incasso d'eccezione per la proiezione in prima assoluta, sempre a New York, del mio Callas Forever. Che piacere, di quel film mi ricordo particolarmente la professionalità di Jeremy Irons e quella altissima di Fanny Ardant, perfettamente calata nel personaggio di Maria tanto da ricalcarne persino i fiati nell'atto del cantare e non sbagliare un click".
I rapporti con la cultura anglosassone e americana?
"Ottimi! A partire dai soldati americani quando durante la guerra mi corteggiavano nelle viuzze di Firenze, ero un bel biondino, sai? [ride]. Mi consideravano più inglese che italiano. Ho fatto anche da interprete per i soldati scozzesi arruolato nella resistenza dei cattolici di La Pira. Da bambino, in tempi non sospetti si direbbe, andavo tre volte alla settimana a lezione di inglese da Lady O'Neill [di cui si racconta nel film "Un tè con Mussolini, n.d.a.] e questo ha agevolato assai la mia formazione che si è fatta forte della libertà di espressione. Quando ho preso in mano la macchina da presa sono sempre state co-produzioni, a partire da Camping del 1957. Poi l'incontro di amorosi sensi con la letteratura di Shakespeare. Gli inglesi mi ripetono che nel mondo si conosce Shakespeare più per quello che ho raccontato io rispetto a quanto hanno prodotto loro. Vero o bugia la regina Elisabetta mi ha insignito nel 2004 del titolo di sir per la diffusione e la rappresentazione 'raffinata e fedele dell'opera di William Shakespeare'. Ci tengo molto. Invece sono rimasto un po' perplesso dell'indifferenza di Papa Bergoglio per il mio libro sul Santo Francesco, dedicato a lui… Si vede che è un po' geloso" [stavolta non ride].
Lo studio delle Belle Arti, lezioni di inglese, e poi, sappiamo, la frequentazione del teatro fin dalla primissima infanzia. Mi pare che il bambino Zeffirelli, cresciuto a cavallo degli anni Venti e Trenta, abbia goduto di stimoli importanti. A chi deve tutto ciò?
"Ad una donna che non è convenzione definire speciale, mia madre. Le tribolazioni che ha patito e che le hanno strappato via la vita troppo presto, si trasformavano in grandi lezioni di carattere per me. Affrontava le sue passioni come battaglie, a partire dalla relazione con mio padre che mi ha riconosciuto ufficialmente solo da adulto. Il coraggio delle proprie azioni e la forza di resistere, ben ancorata con le radici nelle intemperie dell'indifferenza e della cattiveria, mi hanno educato alla determinazione, e alla cura di ciò che sono. Le mani di mia madre – sarta di grande raffinatezza con il suo negozio in Piazza delle Signorie – sono per me le mani di Firenze, che mi hanno accudito e spinto a compiere i primi passi, e poi a correre. A volte anche il più lontano possibile, per tornare vicino a me stesso. Senza la volontà di mia madre, interpretata dalle sue mani, non solo la mia carne, ma il mio spirito non sarebbe sbocciato".
La scena delle "mani che si baciano", nel suo Romeo e Giulietta, a sottolineare i volti bellissimi e frementi dei due attori, Leonard Whiting ed Olivia Hussey… indimenticabile!
"Leonard mi viene a trovare spesso, anche Robert Powell [attore principale di Gesù di Nazareth, n.d.a.]. Non so come ho fatto, ma si generava una magia sui set di ogni mio film. Le storie diventavano vita, musica, e le persone strumenti di bellezza. Ancora oggi continuano a considerami come un padre…forse un nonno! Di recente, giusto per salutarmi, è passato anche l'ufficiale gentiluomo… [Richard Gere, n.d.a.] bel figliolo!".
Ha amato tanti uomini?
"Ho amato molto, indipendentemente dalla mia omosessualità. Uomini, donne. Le donne, tante. Mi cercavano, si macchiavano di questa grave colpa, l'amore, e desideravano farsi mie. Ma quelle che ho amato di più non le ho mai sfiorate neanche con un dito, loro erano mie amiche e l'amicizia è un amore più grande. Maria Callas su tutte".
Non ha mai lasciato niente di intentato?
"Probabilmente no. Adesso lascio due sceneggiature per le quali non credo di avere più energia. Bisognerebbe affidarle a qualcun altro. Ad una tengo particolarmente: I fiorentini. Una storia dai colori intensi. La rabbia, l'invidia, la passione nera che porta alla morte, l'amore limpido che glorifica la vita, il mistero assoluto del genio. Al centro di questa storia ambientata nella Firenze del Rinascimento i due geni, Michelangelo e Leonardo, tanto affini eppure agli antipodi per indole e stile. Per i loro interpreti tenevo come riferimento iconografico Mel Gibson e Al Pacino. L'altra sceneggiatura, I tre fratelli, prende le mosse dal viaggio di Francesco d'Assisi nella terra dei Sultani, e quindi passa a trattare il racconto dell'incontro tra le tre religioni, cristiana, ebraica, musulmana, un'avventura umana che parla un linguaggio attuale. Sai che c'è ragazza mia? Ti rispondo. No, anche in questo caso, con le sceneggiature non filmate, non rimane niente di intentato… Semmai incompiuto, proprio come le sculture incompiute del Buonarroti, ma intentato mai. Queste sceneggiature finiranno nel mio Centro D'Arti, a disposizione di Hollywood o di chi vorrà. Conserveranno una loro dimensione, fino a trovare, un giorno, la propria definitiva identità".