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June 8, 2014
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Speciale Open Roads / Il Sud è niente: intervista al regista Fabio Mollo

Chiara BarbobyChiara Barbo
Time: 6 mins read

In una Calabria spigolosa e immobile, affacciata su un mare livido, tra religione e superstizione, Grazia non si rassegna alla scomparsa del fratello, assumendone quasi le sembianze. Non si rassegna alle giornate che passano fra lo scherno dei compagni di scuola, le difficoltà a mandare avanti la pescheria di famiglia e i silenzi del padre, pur alleviate dai sogni e dalle suggestioni affettuose e quasi magiche della nonna, finché riuscirà a rompere il muro di omertà che le sta attorno.

Il sud è niente, opera prima di Fabio Mollo, è uno dei film italiani più belli di quest'anno. Un piccolo film perfetto, dove la verità del racconto coincide con il rigore semplice dello stile, con personaggi tratteggiati con mano ferma e precisa e interpretati splendidamente – prima fra tutti la protagonista Miriam Karlkvist, qui alla sua prima, straordinaria, prova d'attrice. 

Un piccolo gioiello che, come spesso accade, ha suscitato maggior interesse e riconoscimenti all'estero che in Italia, forse anche a causa di una distribuzione non proprio felice, di una critica spesso distratta e di un pubblico generalmente disattento. 

Fabio Mollo è un giovane regista calabrese che si era fatto notare con il suo lavoro precedente,  il cortometraggio Giganti.

Qual è stato il tuo percorso, da Reggio Calabria al Centro Sperimentale di Cinematografia, fino ai più importanti festival di cinema del mondo? 

A diciott'anni sono partito da Reggio Calabria per andare a studiare scienze politiche a Londra, perché avrei voluto fare il giornalista. Anche se devo dire che da piccolo, a Reggio Calabria, avevo cominciato a frequentare un circolo del cinema, e anche quelle mie incursioni dalla periferia (in cui vivevo) al centro per vedere i film sono state molto importanti per me e per la mia formazione: lì ho scoperto, direi inconsapevolmente, alcuni tra i più grandi capolavori del cinema. Ma tornando ai miei studi a Londra, la facoltà accanto alla mia era quella di Storia del Cinema, e così andavo a seguire le lezioni, e mi si è aperto un mondo, che mi ha fatto capire che quello che volevo, che sognavo, era una carriera nel cinema. Quindi mi sono laureato, sono andato a Roma dove ho fatto l'esame per entrare al Centro Sperimentale, che è la più antica scuola di cinema in Europa, e la prima volta sono stato bocciato. Poi la seconda volta per fortuna sono stato ammesso…

Com'è stata la tua esperienza al Centro? 

È un'esperienza che mi ha cambiato la vita, è una scuola meravigliosa, dove il cinema si vede, si fa, si mangia cinema tutti i giorni! E c'è un confronto continuo e appassionante, non solo con gli insegnanti ma anche con gli altri studenti, e questo per me è stato fondamentale; infatti il mio esordio, con Il sud è niente, l'ho fatto insieme a loro: sono tutti miei compagni del Centro Sperimentale. Al Centro ho capito che potevo diventare un raccontatore di storie, non era affatto scontato, venendo io dalla Calabria, che è veramente lontana da tutto, dai centri della cultura, dalle istituzioni… 

Il tuo primo lavoro è stato il cortometraggio Giganti, selezionato a numerosi festival, e da cui in qualche modo è nato anche Il sud è niente. 

posterSì, il seme del film c'era già in Giganti, poi ho sviluppato il tema per farne un lungometraggio attraverso un lungo percorso – workshop di sviluppo di Cannes, della Berlinale e infine il Torino Film Lab, che è stata la prima istituzione a scommettere sul progetto. Lì, per un anno, ho potuto sviluppare al meglio il film, e  alla fine abbiamo anche vinto il premio di produzione, che è stato quindi la prima base per cominciare a costruire il film e reperire altri finanziamenti. Fondamentale poi è stata la visione di due produttori francesi che hanno creduto in questo giovane regista calabrese…

Per il tuo esordio quindi, dopo Londra, Roma, Torino, sei voluto tornare in Calabria, per raccontare qualcosa che conoscevi bene. Cosa in particolare ti interessava raccontare? 

Volevo raccontare la resistenza quotidiana alla corruzione, la lotta continua contro il malaffare e la 'ndrangheta, che mettono in difficoltà la gente, anche quella che con loro non ha nulla a che fare, rendono la vita delle persone impossibile. E soprattutto volevo raccontare le nuove generazioni, che vogliono ribellarsi a questo clima di omertà, alla corruzione, e rompere il silenzio. Il silenzio è l'arma più violenta che la 'ndrangheta e tutte le mafie usano per controllare la vita delle persone. Rompere questo silenzio è un gesto che richiede molto coraggio, ed era questo che nel film volevo raccontare.

Ci parli della scelta del cast, prima fra tutti la bravissima protagonista, Miriam Karlkvist, che interpreta Grazia? Come l'hai trovata, e scelta? 

È stato un caso felicissimo e fortunatissimo. Cercavamo tra le giovani attrici professioniste, vista la complessità del personaggio. E per caso l'ho trovata a Gebbione, che è il quartiere sia suo che mio! Avevamo organizzato dei provini, lei frequentava l'istituto tecnico e non pensava minimamente di fare l'attrice, è capitata per caso al provino. Siamo rimasti subito fulminati dalla sua presenza. Abbiamo poi lavorato alcuni mesi, mesi necessari per lei per lavorare sulla recitazione e sul personaggio e ottenere la parte, e per noi lo stesso, dovevamo costruire e approfondire il personaggio con lei. Poi, vedendola recitare nel film, ci siamo resi conto che ha un talento pazzesco… 

Perfetta anche la scelta di Vinicio Marchioni, nel ruolo del padre, sofferente e silenzioso, un personaggio duro eppure fragilissimo. 

Sia lui che Valentina Lodovini sono stati generosissimi. Non avremmo mai potuto permetterci due attori come loro, e invece, letto il copione, hanno accettato perché era un film che volevano fare: ci voleva grande volontà, viste anche le condizioni difficili in cui giravamo, e i pochissimi soldi.

Avevi qualche film, o qualche autore di riferimento, quando scrivevi e soprattutto quando giravi Il sud è niente? 

Assolutamente sì. I miei due grandi maestri sono stati Antonioni e Crialese. E poi il cinema inglese, certo cinema inglese indipendente, che amo molto. Nel film ho quindi voluto mischiare questi due mondi e modi di fare cinema, l'estremo nord e l'estremo sud.

Il titolo del film è perfetto, significativo e importante, viene da una battuta pronunciata dalla nonna di Grazia: 'il sud è niente, e niente succede': è la rassegnazione di una generazione, quella dei nonni, dei padri. Cos'è il sud, per un giovane regista, oggi, nel 2014? 

Per me il Sud, adesso come prima, è sempre stato un germoglio di rivoluzione. C'è sempre stata una voglia di rivalsa, di farcela a tutti costi, da parte delle giovani generazioni. E al tempo stesso, ha una certa magia…. sono cresciuto leggendo Marquez, e ricordo che pensavo che Macondo fosse Gebbione, che il realismo magico fosse quello del nostro Sud. La Calabria per me è forza e magia insieme. Quando penso al realismo magico penso al Sud, e non solo inteso come Sud geografico, ma come cultura 'a sud' di qualcosa'altro, messa da parte. Voglio raccontare la Calabria perché è forse una delle terre meno raccontate, e invece è molto cinematografica, perché è ricca di forti contrasti.

Dalla Calabria a New York, che ha anche una sua forte magia – anche se forse non in senso 'marqueziano'! – Sei stato a New York la scorsa estate, in qualche modo è stata un'estate fortunata, e premonitrice…. 

Si, avevo vinto una borsa di studio dell'Istituto Italiano di Cultura, è ho così potuto frequentare la New York Film Academy, ho passato l'estate a New York a scrivere. Mi ricordo una sera, era giugno, passavo davanti al Lincoln Center, tutto illuminato, e ho visto il programma di Open Roads, l'edizione del 2013, e ho pensato: chissà se l'anno prossimo ci sarà anche il mio film?! E poi, di lì a poco, mi è arrivata la notizia che Il sud è niente era stato selezionato al Festival di Toronto!” Non c'è che dire, New York porta sempre fortuna, a chi ha talento e una buona storia da raccontare.

 

Il Sud è niente (South is Nothing) viene proiettato al Lincoln Center per Open Roads domenica 8 giugno, alle 13.00 e lunedì 9 alle 21.00.

 

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Chiara Barbo

Chiara Barbo

Scrivere di cinema o scrivere il cinema? Possibilmente tutti e due. Dalla critica cinematografica alla sceneggiatura passando per la produzione, al di qua e al di là dell'oceano, collaboro con La VOCE di New York e con Vivilcinema, con la Pilgrim Film e con Plan 9 Projects. E anche con altri. Ma per lo più penso, immagino, ricerco, scrivo, organizzo in modalità freelance. Insieme a tanti altri, faccio parte della giuria del David di Donatello. New York è stata una scelta. New York è intensa, vitale, profonda e leggera, pacchiana e intellettuale, libera, creativa, è difficile, è bellissima, ed è la città più cinematografica del mondo.

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