Vincenzo Scotti, classe 1933, napoletano, "cavallo di razza" della grande DC rimasto scalpitante (non fu mai premier ma tante volte ministro), alla fine di aprile era a New York per partecipare alla Conferenza organizzata dal Calandra Institute e il John Jay College della City University of New York "MAFIAs Realities and Representations of Organized Crime". L’ex ministro degli Interni Scotti al simposio era venuto per discutere del suo libro Pax mafiosa o guerra? A venti anni dalle stragi di Palermo, (l'edizione inglese appena uscita col titolo Pax Mafiosa or War?: Twenty years after the Palermo Massacres, ed. Bordighera Press 2014) .
Scotti, quando il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone viene ucciso a Capaci, era il Ministro degli Interni. Ma quando due mesi dopo la mafia uccide Paolo Borsellino, Scotti era già stato sostituito da Nicola Mancino. L'allontanamento di "Tarzan" – così veniva soprannominato Scotti per le sue capacità di saltare da una corrente all'altra nella giungla del sistema di potere DC – rappresenta l'"enigma avvolto nel mistero" di quella stagione di stragi mafiose. Ci sono dei magistrati a Palermo convinti che quella mossa servì a far partire la trattativa tra Stato e mafia. Naturale quindi che i sospetti si concentrino sul sostituto di Scotti, Nicola Mancino (che ricordiamo fu poi anche presidente del Senato e vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura).
Nel film capolavoro "Il Divo" di Paolo Sorrentino dedicato alla figura di Giulio Andreotti, Scotti è l'unico dei democristiani che pur accanto a "belzebù" ci appare quasi "benigno": subito dopo l'uccisione di Salvo Lima (braccio destro di Andreotti in Sicilia), in una scena Scotti appare perplesso e dice all'amico e potente alleato di tante battaglie politiche: "Devo dirti la verità… per quanto mi sforzi, e mi sono sforzato molto in tutti questi anni di militanza comune, di amicizia, ecco devo dirti che non ti capirò mai, che non ti conosco". Giulio Andreotti, in quella scena del film, risponde a Scotti così: "Quando rapirono Moro ebbi dei conati di vomito… una reazione incontrollabile. Ci imbarazzano, le reazioni incontrollate, ma in fondo ci rassicurano, perché ci dicono che siamo vivi. E umani".
Quasi un mese fa, alla fine della conferenza alla CUNY, la VOCE di New York ha intervistato Vincenzo Scotti. Ecco per i nostri lettori le risposte dell' ex ministro degli Interni proprio il giorno dell'anniversario della strage di Capaci.
Cosa ne pensa di questo convegno sulla mafia a New York?
Scotti: "Penso che sia stata un’occasione importante anche per il contributo che è stato dato da tutti i partecipanti con grande serenità e rigore. Credo che sia utilissimo in questo momento discutere su due questioni distinte. Uno bisogna cercare di capire quello che è avvenuto nel passato recente e lontano e chiedere che si faccia sempre più chiarezza in questo come esigenza di avere una visione realistica dell’evoluzione della mafia nel nostro paese e nel mondo. La seconda esigenza, sulla quale mi sono più soffermato, è quella di guardare oggi e in futuro a cos’è la mafia oggi, cos’è il problema della sua diffusione nel mondo e della creazione di questo network, di una rete criminale internazionale che ha raccolto e fatto proprio la cultura e la tradizione della mafia. Cioè quello di essere un potere che si confronta con il potere statuale e che cerca di trovare un modo di convivere per poter portare in fondo i suoi affari e poter far entrare nei circuiti legali la ricchezza criminale che la mafia produce".
Lei è stato parte del potere con cui la mafia ha cercato di convivire, dato che è stato ministro più volte. Si è tolto forse qualche sassolino dalla scarpa nel suo libro, ha raccontato qualcosa che non aveva mai raccontato prima? Che importanza avrà il suo libro per gli storici del futuro? C’è qualcosa che fino adesso non si era saputo o che non era stato messo in risalto?
"Io ho tentato di mettere in risalto quello che è stata la svolta degli anni fine '80 e '90, cosa è nato a Palermo col pool presso l’ufficio istruttorio che ha visto Giovanni Falcone come figura dominante. Perché bisogna capire realisticamente quello che è avvenuto e anche le difficoltà che sono state allora incontrate e che ancora oggi costituiscono la difficoltà nel mondo di arrivare ad una guerra vera all’organizzazione mafiosa che possa distruggere questo tipo di organizzazione, quando la si riduce a dei fatti criminali puri e semplici e non a un potere che tende a condizionare la vita degli stati, la vita della politica, la vita democratica, la vita economica, la libertà della vita economica".
La storia non si fa con i se. Ma se Scotti fosse rimasto ministro degli Interni nel '92, la storia d'Italia sarebbe stata diversa?
"Io non so, perché non ho la sfera di cristallo. So una cosa, ed è questa: che era un debito preso con Falcone di portare a compimento l’opera di quella legislazione e di dotare lo Stato di quegli strumenti efficaci per colpire la mafia. Per esempio tutto il problema del riciclaggio del denaro, della possibilità di interrompere il rapporto tra legale e illegale, far venire alla luce questo, seguendo quello che Falcone diceva seguite la moneta e capirete la mafia. La seconda cosa è dire una parola definitiva sul fatto che non si può convivere con la mafia, non si può accettare un potere statuale nello Stato".
Lei è stato un uomo importante della Prima Repubblica, ecco ora alla Terza Repubblica, perché forse la Seconda non è mai nata, cosa augura affinché certi sbagli e compromessi con la mafia non avvengano più.
"Penso che sia essenziale che si prenda atto che con la mafia non si viene a compromessi. Questo è il messaggio che viene dal passato. Lo hanno detto diversi presidenti di commissione antimafia, io ho ricordato l'On. Lumia. Cioè non è possibile, non c’è spazio per un compromesso perché si vien travolti. Perché la mafia ha una abilità di corrompere e di coinvolgere le istituzioni, la politica perchè ha bisogno sul territorio di avere il controllo e di essere parte di un network mondiale. Nel nostro paese lo spostamento di centro e baricentro dalla Sicilia alla Calabria, dalla mafia palermitana all’ndrangheta calabrese è stato notevole in questi anni…"
Ma non sapere tutta la verità e nient’altro che la verità invece che sapere qualche verità come è successo fino ad adesso, come aiuterebbe una nuova Repubblica a non commettere gli stessi errori? O forse la sappiamo tutta, o quasi tutta la verità su quelle stagioni di mafia?
"Io do per scontato che non sappiamo, non sottovaluto l’importanza della chiarezza ma per guardare il futuro noi abbiamo tutti gli elementi. Noi sappiamo che la mafia tende a corrompere, che tende a coinvolgere, tende a rendere debole il potere pubblico nel nostro paese come in tutti i paesi dove il fenomeno è presente. Pensiamo al Centro-America e a che cosa è oggi. Il problema è di dire: non aspettate che venga l’illuminazione, sapete già tutto quello che è necessario sapere per combattere la mafia. Questo è il messaggio. Non scaricate il vostro attendismo. Cosa c’era da sapere lo sappiamo. La mafia tende a coesistere, tende a trovare un modo, tu non mi contrasti troppo, io ti sono di supporto. Questo detto in termini volgari, di una battuta volgare. Questo è quello che io auguro che nel futuro si riesca a fare. Cioè prendere atto che bisogna fare una guerra radicale. Bisogna dire quello che Barack Obama disse al suo momento di avvio della sua presidenza, che questa criminalità organizzata costituisce il più grande pericolo per la vita degli stati e per la vita democratica nel mondo".