Incontriamo il giornalista e scrittore, Beppe Severgnini alla fine delle prove del suo spettacolo teatrale Buzzati, un visionario al Corriere. Accomodati su un divanetto tranquillo, parliamo dei temi cari della nostra rubrica.
Tu hai scritto molto sugli italiani d'Italia e quelli all'estero, se dovessi raccontare alcune differenze che li contraddistinguono, quali evidenzieresti?
La prima cosa che mi viene in mente non è una differenza, perché quella la sottolineano tutti, ma un’identità che è poi un'identità italiana. È che si arrabbiano tutti. Secondo me arrabbiarsi con l’Italia, che è un paese con un potenziale immenso ma non va, ormai da molti anni, come dovrebbe andare, è dispiacere vero per gli italiani d'Italia e gli italiani fuori. Il contrario dell’amore è l’indifferenza, vale per l’amore della moglie, vale per il marito, la ragazza ma vale anche per il proprio paese. Gli italiani all’estero non sono quasi mai indifferenti all’Italia. Si arrabbiano. Buon segno.
Nel libro Italiani di domani dai alcuni consigli pratici su come affrontare il futuro. Prezzolini distingueva gli italiani in furbi e fessi. Lui si riteneva fesso perché si comportava nel modo giusto, secondo le regole, secondo un'etica condivisa ma proprio per questo certo che la maggior parte dei furbi gli sarebbero passati davanti. Per sentirsi una persona normale emigrò a Lugano. Non credi che gli italiani sappiano come sia giusto comportasi ma al tempo stesso sappiano anche che questo molto spesso non paga?
Non sono d’accordo, pur avendo una grande ammirazione per Prezzolini, che ha scritto libri memorabili, compreso sull’America. America in pantofole è un libro bellissimo, al di là del titolo. Ha scritto anche cose fondamentali sull’Italia e gli italiani. Ma su questo punto non sono d’accordo. Prima di tutto lui è andato a Lugano per motivi rispettabilissimi ma io assicuro che oggi a Lugano ci sono un sacco di furbi che lasciano a casa un sacco di fessi. E poi è una distinzione che non regge più, direi che gli italiani si dividono in eroici e pavidi. L’eroismo è spesso un eroismo quotidiano, di chi con millecinquecento euro al mese manda avanti la famiglia, ha due figli all’asilo. È l’eroismo di chi fa andare avanti un’associazione di volontariato o una piccola impresa contro tutte le difficoltà inimmaginabili. E poi ci sono i pavidi, quelli che cercano le scorciatoie, quelli che hanno l’impresa ma che fanno un nero che è la metà del fatturato, quelli che non assumono ma sfruttano questo serbatoio di talenti, che sono i ragazzi italiani, non pagandoli o pagandoli pochissimo. Costringere i nostri ragazzi a mendicare dignità e lavoro è una tragedia. È uno degli errori più gravi che l’Italia adulta sta commettendo oggi. Questi non sono fessi o furbi, sono dei pavidi, che credono di essere astuti, realisti. Non hanno il coraggio di affrontare la loro coscienza e, allora, si rifugiano in queste cose.
Il tema della fuga dei cervelli mi sembra spesso descritto in maniera qualunquista e banale: chi sono i cervelli? Piuttosto di fuga si può parlare di grande possibilità o conquista?
L’espressione fuga dei cervelli la detesto perché i cervelli che fuggono si fanno venire il mal di fegato dalla rabbia. Quindi è un’accoppiata anatomicamente impossibile. Immagino questi cervelli con le gambine che corrono fuori dal confine a prendere il traghetto o l’aeroplano. No, non mi piace. Però non sono d’accordo che sia una ricchezza. Mi spiego: io sono uno che è uscito, entrato, andato, ritornato, ha vissuto negli Stati Uniti, in Inghilterra, un pochino a Mosca, sono andato tante volte in Cina. Ho girato il mondo come una trottola, come giornalista e non solo, da quando ero studente in poi. Questo va bene, ma molti ragazzi partono amareggiati. Io li chiamo i Montecristo, perché vanno via come se volessero evadere dall’Italia, da un carcere, da un luogo che non gli dà lavoro, dignità, dove ci sono troppe persone che si approfittano del sistema, anzi lo mungono. Ci sono in Italia i mungitori del sistema, e a questi dei ragazzi italiani non gliene frega niente. Certo, andar fuor per tornare. Il mio consiglio è: scappate per tornare! A me piacciono i Marco Polo, quelli che vanno per esplorare pieni di gioia. Gli Ulisse che magari si innamorano della Circe di turno e vedono Nausica, ma hanno passione. Mi preoccupano i Montecristo, e i numeri dicono che stanno aumentando, cioè i ragazzi che vanno via con rabbia, amarezza e con un atteggiamento che dice: “Io non voglio più tornare”. E questo è un dramma perché noi produciamo degli ottimi medici nelle università italiane e riempiamo gli ospedali austriaci, tedeschi e inglesi. Ormai nel mondo un laboratorio ha una pianta verde, un computer e un italiano.
Cosa ne pensi di tutto il mondo dell’Italian sounding? Non quello delle frodi ma quello del Frappuccino di Starbucks, del Mocaccino della Unilever o dei Soffatelli. Fa bene o meno al mondo del made in Italy?
Forse non fa molto bene nel breve periodo e non è neanche tanto leale, diciamo la verità. In qualche caso è ovviamente scorretto. Ma è anche vero che l’American sounding ha riempito il mondo dalla Polinesia al Sud America, dalle Valli del bergamasco ai fiordi della Norvegia, se gli americani dovessero protestare per tutti quelli che si chiamano New York Bar o Miami Dance è finita. E i francesi che, secondo me, sono diventati segretamente invidiosi visto che non c’è più abat-jour e négligé nell’immaginario erotico del mondo, ma, magari, c’è: “Bella, come stai?”, oppure “amore”. Ecco, pensate questo.
Negli ultimi tempi ho scoperto che molti studenti viaggiano poco o scelgono mete piuttosto stereotipate seppur importanti: Barcellona e Londra su tutte. Tu hai sempre avuto la passione per il viaggio. Perché viaggiare è così importante nella tua esperienza?
Perché ti apre la testa. Perché ti abitua ai confronti. Perché ti fa capire che la diversità è il sale della vita e non deve mai essere un fastidio. Perché i viaggiatori sono saggi per forza, sono costretti ad ammettere continuamente i propri errori. Certo i viaggiatori devono imparare ad accettare l’imprevedibilità. Tempo fa c’erano i viaggi organizzati, ora Tripadvisor o booking.com, però in sostanza è sempre una ricerca di rassicurazione. Questo va bene fino ad un certo punto. Il mio prossimo libro esce il 2 Aprile in Italia e si chiama La vita è un viaggio e proprio nel primo capitolo, che si chiama Atlante, racconta quello che dovrebbe essere l’atteggiamento di un buon viaggiatore.
La grande bellezza vince l'Oscar e in Italia si accende uno scontro verbale violento, al di là se il film sia piaciuto o meno, che mai avrei immaginato. Perché ci roviniamo i grandi successi?
Innanzitutto perché l’invidia è una caratteristica comune non solo all’Italia ma a tutti gli ambienti, quindi non c’è dubbio che nel mondo del cinema, al di là dell’omaggio formale, moltissimi rosicano, esattamente come quando uno scrittore italiano ha un grande successo all’estero o in Italia. Il successo è sostanzialmente imperdonabile. La grande bellezza è un caso particolare perché due altri grandi film su Roma, La dolce vita e 8½, sono stati accolti in maniera diversa. Gli stessi romani li hanno salutati con amore perché Fellini ritraeva un’Italia ottimista, in salita che guardava al domani. Sorrentino ritrae un’Italia non in discesa ma in stallo, ansiosa, preoccupata ma anche decadente e vedere qualcuno che ti mette in faccia lo specchio non è mai bellissimo. È bello quando hai venticinque anni, quando sei giovane e ti senti lanciato verso il mondo, allora ringrazi volentieri chi ti alza uno specchio sulla faccia. Quando hai una certa età, con le rughe, il doppio mento l’operazione di alzarti lo specchio in faccia diventa meno gradita e Sorrentino ha fatto questo: ha alzato lo specchio in faccia ad un Italia, un po’ invecchiata, stanca e preoccupata. È anche vero che è piaciuto all’estero, come ho avuto modo di scrivere sul New York Times, in Beauty among the ruins, dove spiego che Sorrentino racconta anche il fascino dell’Italia dentro le sue difficoltà. L’Italia per molti stranieri, americani, è la palestra delle sensibilità, il campionato mondiale delle sensazioni, la sede del congresso universale delle tentazioni. Io credo che La grande bellezza riveli che molti stranieri, americani vorrebbero essere come noi, almeno talvolta, e non osano.