Abbiamo intervistato Aldo Cazzullo, discutendo dei temi a noi più cari. Giornalista, dopo quindici anni alla “Stampa”, dal 2003 è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Oltre alle vicende italiane, ha seguito le elezioni di Bush, Obama, Erdogan, Abu Mazen, Zapatero, Rajoy, Sarkozy, Hollande, Cameron, le Olimpiadi di Atene, Pechino e Londra, i Mondiali di calcio in Giappone, Germania e Sud Africa. Ha pubblicato tredici saggi: l’ultimo: Viva l’Italia! , ha venduto oltre centomila copie. Ora è di nuovo in libreria con un altro libro sugli italiani: Basta piangere. Storie di un’Italia che non si lamentava (Mondadori).
Lei ha scritto molto sull’Italia e gli italiani: Viva l’Italia, Outlet Italia, L’Italia de noantri, L’Italia s’è ridesta. Viaggio nel Paese che resiste e rinasce ed ora, l’ultimo, Basta piangere. Storie di un’Italia che non si lamentava. Consiglierebbe ad un giovane di vivere in Italia? In altre parole, usando le sue quando scrive “un adolescente di oggi è l’uomo più fortunato della storia”, un adolescente italiano è anche lui l’uomo più fortunato della storia?
Sì, ho lavorato sull'identità italiana. Outlet è una parola chiave dell'Italia di oggi: indica non solo i centri commerciali che stanno sostituendo la piazza, il paese, il centro storico come luogo d'incontro, è anche una metafora della svendita, del degrado dei rapporti umani, della mercificazione dei valori. Noantri è un'altra parola-chiave: la dico in romanesco ma potrei dirla in veneto o in siciliano. A Verona chiedono "a me che mi vien?", a Catania "pe mmia cu c'è?", ma il concetto è lo stesso: l'interesse privato prevale su quello pubblico, il "particulare" come lo chiamava Guicciardini prevale sul generale, e quindi la fazione, la corporazione, il campanile, il familismo vengono sempre prima dello Stato. Con "Viva l'Italia!" però ho voluto difendere la Resistenza e il Risorgimento, e ricordare che gli italiani sono capaci anche di virtù civili. Oggi l'Italia è un Paese depresso, di cattivo umore. Per questo ho intitolato l'ultimo libro "Basta piangere!", la frase che mi diceva mia madre quando mi vedeva triste e sfiduciato. I ragazzi di oggi hanno davanti gravi difficoltà, ma i nostri padri e i nostri nonni ne hanno superate di peggiori. E i ragazzi di oggi hanno enormi opportunità di comunicare, viaggiare, conoscere, che la mia generazione non ha avuto.
Cosa pensa del cosiddetto fenomeno della fuga dei cervelli? Non è più giusto pensare che un “cervello” faccia le sue esperienze all’estero, abbia il mondo come orizzonte e decida liberamente dove vivere?
E' proprio questo il punto. Siccome ce la dobbiamo giocare sulla scena del mondo globale è positivo che i giovani italiani facciano esperienza all'estero. L'essenziale è che l'Italia crei le condizioni per consentire a chi lo desidera di tornare. Oggi questo non accade. Bisogna lavorare perché sia così.
Il mondo degli italiani all’estero ha quasi sempre poco interessato gli italiani, eppure molti di loro rivendicano con orgoglio le loro origini. E’ stato eletto da poco Bill De Blasio, sindaco di New York di origini italiane, abbiamo un papa di origini italiane e il più grande calciatore del mondo: Messi, ha origini italiane. Di queste origini loro sono orgogliosi, perché, invece, negli italiani, spesso, prevale la logica della lamentela e dell’autodenigrazione?
Perché non sappiamo più soffrire. Perché abbiamo perso l'energia e la capacità di sacrificio dei nostri emigrati. Ma siccome sono convinto che quella forza morale e quella fiducia nel futuro non possano essersi disperse nel tempo, sta a noi riaccenderle nei nostri figli. Mia bisnonna Tilde sposò un uomo che non aveva mai visto: nella campagna piemontese un tempo i matrimoni si combinavano. Mio nonno Lorenzo a 18 anni partì per la Grande Guerra, nonno Aldo di cui porto il nome a 12 anni andò a fare il garzone, cioé lo schiavo, a casa d'altri. Ho scritto "Basta piangere!" anche perché i miei figli sapessero da dove vengono, e dove possono andare.
L’Italia è amata e odiata al tempo stesso. Se ne ama la cultura, il patrimonio artistico, la creatività, il saper fare nell’impresa. Ma non si ama lo Stato-italiano, la politica e le istituzioni. Prevale la difficoltà di viverci e di vivere insieme, l’impossibilità storica di progettare un futuro. Come osservò qualche tempo fa’ La Nacion in Argentina: “molti… si domandano come sia possibile che nel paese di Machiavelli non si trovino le soluzioni politiche più adatte”. Dove sono, secondo lei, le radici del “male”?
Gli italiani non credono nella politica perché non credono nello Stato. Faticano a concepire che una persona possa fare qualcosa nell'interesse di qualcuno che non sia se stesso. Purtroppo lo Stato si comporta in modo tale da confermare i pregiudizi negativi dei cittadini. Ma non ne posso più di sentir dire "questo Paese": come se l'Italia fosse altro rispetto a noi. Preferisco che si dica piuttosto "il nostro Paese".
Mi dica, concludendo, tre parole con le quale definirebbe l’Italia?
Bellissima, ma non all'altezza di se stessa. Di cattivo umore, perché convinta che il futuro coincida con il destino. Invece dipende soprattutto da noi.