È made in Italy il duo di jazzisti formato da Giancarlo Mazzù e Luciano Troja, che dal 2006, si esibisce sui migliori palcoscenici d'America: lo Spectrum e lo Shapeshifter Lab a New York; il Chris Jazz Cafe a Philadelphia; l'Outpost 186 a Boston. Senza dimenticare la Metropolitan Room, tempio della canzone americana nella Grande Mela, dove ogni sera si alternano le star di Broadway, del cinema e della TV a stelle e strisce. Proprio qui è stato registrato dal vivo il CD Live at the Metropolitan Room NYC, presentato in anteprima mondiale lo scorso aprile alla Casa Italiana Zerilli-Marimo della New York University, ed uscito da poco in Europa per l'etichetta inglese Slam. “Abbiamo reinterpretato alcune fra le più famose canzoni dell'American Songbook – ci dicono i due artisti – coniugandole con le caratteristiche del nostro background musicale: il contrappunto melodico, la composizione spontanea, il jazz tradizionale legato ad una estetica molto italiana”. In sintesi, l’influenza europea nella tradizione americana.

La Metropolitan Room, New York
Quello proposto dal calabrese Mazzù alla chitarra e dal siciliano Troja al piano, è un ponte musicale fra Stati Uniti ed Italia, nato dal profondo amore per la canzone americana. È infatti il terzo CD dedicato al genere e a tutte le sue implicazioni: dal repertorio di Broadway al cinema di Hollywood. Senza espedienti stilistici o formali, il duo si è cimentato in brani famosissimi: Cheek to Cheek, scritta da uno dei precursori della musica popolare americana, Irving Berlin; Softly as in a Morning Sunrise, My Funny Valentine, considerata un pilastro della musica jazz e All the Things You Are, composta per il musical Very Warm for May, presentato a Broadway nel 1939. La VOCE ha fatto una chiacchierata con i due musicisti per capire quale sia stata la loro formula per conquistare il Paese che ha dato i natali al jazz.
Cosa cercate in America?
“Contaminazioni, siamo ricercatori di nuovi generi e varianti, interessati agli artisti di downtown del filone dell’avanguardia. Abbiamo capito che nonostante le dovute differenze, il nostro linguaggio di matrice europea è perfettamente compatibile con quello americano. Cerchiamo attraverso la musica di veicolare una parte della nostra cultura italiana per vedere come viene percepita”.
Suonate insieme da tempo, coordinate laboratori, avete composto musiche per diverse opere teatrali. In Italia siete considerati esponenti di spicco del jazz, che però nel nostro Paese resta ancora un genere di nicchia. Perché?
“A differenza dell'America, dove ci sono migliaia di localini che offrono la possibilità ai musicisti di esisbirsi in pubblico, in Italia manca la cultura quotidiana del jazz. Si fa poco per avvicinare la gente alla musica in genere. Ci sono i festival è vero, ma coinvolgono quasi sempre appassionati di lunga data e persone che fanno parte dell’ambiente”.
Avete fatto esperienze con numerosi musicisti come nel caso del CD D'Istante3 in cui avete collaborato con Blaise Siwula, tra gli artisti più rappresentativi della musica creativa newyorchese. Però preferite lavorare in duo, perché?
“Il rapporto con Blaise Siwula dura ormai da sette anni, da quando ci invitò con il quartetto Mahanada, a tenere un concerto all'ABC No-Rio di New York. Abbiamo suonato anche in trio e con delle orchestre, ma restiamo un duo. Trattiamo il brano con un approccio comune anche nella diversità dei nostri strumenti, dialoghiamo perfettamente producendo un preciso sound con caratteristiche armoniche simili. Ed è importante per noi mantenere questo equilibrio”.
In America riscuotete successo, avete registrato a New York, pubblicato con una casa discografica inglese, in Italia siete apprezzati dalla critica e dal pubblico. Quali sono i vostri programmi futuri?
“Stiamo seguendo vari progetti, uno di questi è interamente dedicato a Fred Astaire”.