Venezia e New York hanno almeno una cosa in comune: l'acqua. Una presenza preziosa e affascinante, ma a volte anche insidiosa. E, mentre a New York il dibattito sulla protezione dalle acque è diventato d'attualità dopo la dolorosa sveglia dell'uragano Sandy, Venezia da sempre si pone il problema di controllare acque e maree che mettono a rischio la città, tanto da essersi guadagnata il titolo di campione europeo di resilienza. Per entrambe le città il problema si fa ancora più pressante, in considerazione dei cambiamenti climatici.
È per questo che l'amministrazione comunale newyorchese ha voluto saperne di più sul progetto MOSE (MOdulo Sperimentale Elettromeccanico), la mega barriera che dovrebbe proteggere Venezia dalle mareggiate. Per illustrare il sistema ai tecnici di Bloomberg è arrivata a New York una delegazione dell'amministrazione veneziana, guidata dal sindaco, Giorgio Orsoni. Lo abbiamo incontrato in occasione di una serata organizzata, giovedì 17 ottobre, da Confindustria Venezia, in concomitanza con la missione del sindaco, per presentare a New York l'offerta turistica, commerciale e industriale del territorio veneziano. Con Orsoni abbiamo parlato di gestione delle acque e di come Venezia possa coniugare conservazione e sviluppo.
Sindaco, cosa la porta a New York?
Siamo venuti per incontrare Bloomberg che era interessato al MOSE e ai nostri progetti di difesa dalle acque. Poi ne abbiamo approfittato per combinare con la missione di Confindustria per promuovere l'immagine di Venezia non soltanto dal punto di vista dell'arte e della cultura, ma anche come città moderna con un importante apparato produttivo che nella vita sociale sociale dei veneziani è importante quanto il turismo.
Come è andato l'incontro con Bloomberg?
Ero molto curioso di conoscerlo. È un personaggio particolare. Lo abbiamo incontrato ieri pomeriggio (mercoledì 16 ottobre, ndr) e ci siamo scambiati informazioni e idee. Poi gli ingegneri del consorzio del MOSE hanno illustrato i dettagli tecnici del progetto. Il MOSE è un intervento importante, finanziato dallo Stato e frutto di tecnologia italiana, di cui siamo fieri e che siamo pronti a mettere a disposizione di chiunque possa essere interessato, come altre città e istituzioni estere. È chiaro che quello è un progetto pensato specificamente per la laguna di Venezia e non è esportabile così com'è, ma può offrire degli spunti.

Un’immagine del sistema di barriere utilizzato dal MOSE
Insomma lei sembrerebbe un entusiasta del MOSE…
Guardi, nel '78 fu fatta una gara internazionale alla quale parteciparono otto progetti di cui però nessuno fu ritenuto idoneo. Quei progetti vennero poi acquisiti dallo Stato e venne creato un consorzio di imprese con l'incarico di fare un unico grande progetto che venne presentato a fine anni '80 e che per più di 10 anni è stato sottoposto a valutazioni di ogni tipo, tra cui anche quelle di impatto ambientale, fino al progetto definitivo e all'inizio dei lavori nel 2003. Io non sono un ingegnere, ma devo fidarmi di chi quel progetto lo ha valutato. Comunque era stato stabilito che dovesse essere un progetto non impattante e reversibile. Si tratta di barriere mobili che vengono alzate soltanto quando necessario e quando non sono alzate è come se non ci fossero. Poi è chiaro che qualsiasi intervento non può non alterare il contesto. Ma non dimentichiamoci che la laguna di Venezia è un ambiente artificiale. Se nel '500 la Serenissima non avesse fatto deviare il corso dei fiumi, oggi forse saremmo una palude oppure avremmo bonificato e saremmo interrati. A mio avviso è sbagliato aggrapparsi a concetti di naturalezza della laguna. Venezia è in un sito bellissimo, ma è artificiale e nella sua artificialità va conservato. Questo è un tentativo..
Un tentativo costoso, però. Se non dovesse funzionare?
Il MOSE costa 5 miliardi di euro. Lo sa quanti soldi sono stati usati per Roma Capitale e quanti debiti Roma Capitale ha lasciato alla città? Due volte il costo del MOSE. È più giusto che i soldi si spendano per cercare di salvare un tesoro come Venezia o che vengano utilizzati nella gestione ordinaria di una città?
Come ha ricordato, il progetto del MOSE risale agli anni '80. Una delle critiche che più spesso viene mossa al progetto è di essere obsoleto.
Sono tutti bravi a criticare, ma è evidente che un progetto che parte e poi viene realizzato 20-30 anni dopo rischia di essere obsoleto. Mi auguro che chi lo sta realizzando sia all'altezza di capire cosa va modificato in progress. La critica che mi sembra più sensata è quella del cambiamento degli scenari climatici generali. Questo è un tema che va certamente affrontato. Ci dicono che questo sistema riesce a salvaguardare Venezia fino a mareggiate di 3 metri. Questo significa che, anche se il livello del mare dovesse salire come si prevede, saremmo comunque al sicuro per i prossimi 100 anni. Poi attenzione, questo è un sistema che non serve per eliminare il problema dell'acqua alta, ma serve ad evitare la grande mareggiata, gli eventi eccezionali. Per affrontare il problema dell'acqua alta i percorsi principali della città sono stati rialzati di 1.20 metri. Poi c'è piazza San Marco che fa discorso a sé: lì c'è un progetto autonomo che prevede la messa in sicurezza del contorno dell'Isola Marciana e il rialzamento del molo in modo che non arrivi l'acqua alta fino a 1.20 metri, altezza dopo la quale scatta il MOSE. È un progetto complesso che prevedeva lavori complessi che non stati ancora fatti, come per esempio l'impermeabilizzazione della basilica che presenta evidenti difficoltà.
Altro annoso problema di Venezia è il passaggio delle grandi navi da crociera. Ci sono novità?
I ministri Orlando e Lupi mi hanno garantito che entro fine mese ci incontreremo per trovare una soluzione. Ormai c'è unanimità sulla convinzione che le grandi navi vadano bloccate almeno del canale San Marco. La proposta fatta dal porto era di scavare un nuovo canale per arrivare alla marittima, ma è un progetto che richiederebbe ingenti sforzi economici e tempo. La città si è espressa, anche col voto, contro questa idea che sembra difficilmente perseguibile e a favore invece di una soluzione, almeno in via transitoria, per far arrivare le navi a Marghera.
Tutti questi sforzi per conservare Venezia, ma, come accennava all'inizio della nostra intervista, la sua è anche una città che guarda avanti. Come si coniugano conservazione e sviluppo?
Venezia è una città unica, difficilmente omologabile al resto del mondo anche da un punto di vista fisico. Quello che dico sempre è che per affrontare un fenomeno economico non si possono assumere degli atteggiamenti di tipo dirigistico, per esempio cose come imporre il numero chiuso per gli accessi turistici. Una cosa del genere servirebbe solo a deprimere la città e farne una città museo. È evidente che il turismo è una risorsa ma non può essere l'unica risorsa. Dobbiamo puntare su altre risorse che possano creare lavoro e residenza stabile.
Per esempio?
Lo sviluppo del terziario. Stiamo cercando di attirare uffici internazionali, abbiamo già l'UNESCO, il consiglio d'Europa, l'OMS, il Master in diritti umani che è un'istituzione europea. Venezia è una città da sempre collegata col mondo. Bisogna puntare allo sviluppo di istituzioni culturali e renderle stanziali. Poi la mia amministrazione punta sul recupero di un artigianato compatibile con la città. Il vetro, in primis, che va protetto dalle imitazioni cinesi che ormai hanno invaso anche Venezia: i negozi non legati alle fabbriche vendono questi oggetti made in China e poi finisce che il turista americano che li compra si senta truffato. E poi l'artigianato nautico.
E per quanto riguarda il settore industriale? L'industria pesante è un capitolo chiuso per il territorio veneziano?
No. Questo è anzi un discorso che la mia amministrazione ha riaperto. Marghera viene da un momento di grave crisi della chimica pesante. Molti siti sono stati chiusi anche per problemi di inquinamento e ne è seguita una desertificazione. E tuttavia a Marghera sono tuttora impiegati 12.000 lavoratori. Dopo 20 anni di discussione la mia amministrazione ha deciso per la prima volta di destinare quell'area di Marghera all'industria. Esiste una vocazione industriale consolidata e tradizionale in quell'area che vogliamo risvegliare anche recuperando aree di bonifica e attraverso accordi con il ministero per ottenere procedure più snelle per il recupero dei siti inquinati.
Più snelle significa anche meno rigide?
Quando Marghera è stata dichiarata SIN (Sito di interesse nazionale: si tratta di aree contaminate molto estese, classificate dallo Stato come pericolose e che necessitano di interventi di bonifica, ndr) è stata sottratta alla potestà regionale ed è passata alla gestione da parte dello stato, in una logica di recupero totale del sito. Ma in quel modo non sarebbe mai stata recuperata, intanto perché servivano risorse enormi e poi perché si perseguiva una visione di completa trasformazione in senso ludico del luogo che avrebbe perso il suo potenziale produttivo. E questo ha peggiorato la crisi di Marghera. Con la mia amministrazione abbiamo stabilito che quello era e doveva rimanere un sito industriale, pur se all'interno di una logica di industria verde. Così abbiamo concordato con il ministero un recupero, sì, ma a fini industriali: se io in un sito inquinato devo fare una gettata di cemento per il parcheggio di una fabbrica, l'intervento è diverso da quello che sarebbe richiesto per trasformare quel sito in un'area picnic. Questa scelta sta dando i suoi frutti. Stiamo aspettando il via dal ministro Orlando per alcuni progetti importanti e poi andremo avanti.
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