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May 7, 2013
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Roberto Bolle parla con La Voce: “New York? È la mia seconda casa”

Francesca TarantinobyFrancesca Tarantino
Roberto Bolle parla con La Voce: “New York? È la mia seconda casa”

Roberto Bolle (flickr Kent G Becker)

Time: 8 mins read

Incontriamo Roberto Bolle – Étoile presso il Teatro alla Scala di Milano dal 2004 e Principal Dancer presso l’American Ballet Theatre di New York dal 2009 – indaffaratissimo con la stagione ballettistica del Metropolitan Opera House e in procinto di rappresentare l’Italia il prossimo Settembre con il suo spettacolo Gala Roberto and Friends, in scena il prossimo 17 Settembre 2013, presso New York City Center Theatre. Uno spettacolo di danza di grande lustro, che Bolle ha portato nelle piazze d’Italia e durante il quale i migliori ballerini del momento interpretano alcuni tra i brani più celebri e suggestivi del repertorio novecentesco.

Nato a Casale Monferrato in provincia di Alessandria, all’età di 12 anni entra alla scuola di ballo dell’Accademia Teatro alla Scala e viene notato da Rudolf Nureyev, che lo sceglie per interpretare il ruolo di Tadzio nell’opera Morte a Venezia. Da lì in poi comincerà la sua carriera da ballerino in tutto il mondo, che lo porterà a danzare davanti a prestigiose personalità tra cui Giovanni Paolo II e la Regina Elisabetta d’Inghliterra.

Roberto Bolle, foto di Andrea Varani
Roberto Bolle, foto di Andrea Varani

Roberto sembra nonostante tutti gli impegni di lavoro, molto rilassato quando lo incontriamo. Poche ore dopo andrà al Met per la serata di apertura della stagione, a presenziare insieme a grandi personalità del mondo della moda e dell’arte e della moda italiana. Intanto vediamo nei suoi occhi una luce particolare, una energia ed un entusiasmo che ci spingono a chiedere cosa gli piace di New York.

“Quello che colpisce è la sua forte energia e soprattutto, è una città multirazziale, multiculturale in cui si ha sicuramente un grande senso di libertà. Anche per me rispetto all’Italia, dove sono conosciuto e quando esco per strada, mi fermano, mi chiedono gli autografi. New York è invece una città in cui comunque si è più liberi”.

Cosa succede quando esci a New York, prendi la metro, vai a prendere un caffè? Ti senti sempre una star, oppure ti mescoli alla gente normale?

«Ecco queste sono cose che qui posso fare tranquillamente –sorride- mentre in Italia è molto più difficile. Sì, mi capita di essere riconosciuto, mi stupisco, ma capita. Nonostante New York sia così grande e con tante persone di cultura anche diversa, alcuni mi riconoscono. In questi casi però, non è mai un chiedere che diventa oppressivo. In Italia invece vado sempre in giro più o meno “coperto” . Cerco di nascondermi in qualche modo, qui invece anche nel modo di vestire sono me stesso».

Durante una tua intervista hai detto una volta che per te la danza è «bellezza, dinamicità, plasticità, forza fisica, leggerezza, espressività.»  New York secondo te cosa incarna di queste cose?

«Sicuramente avendo grande energia è una città molto dinamica, questo si percepisce subito ed ancor di più stando qui, si capisce quanto New York sia costantemente in evoluzione. Con tutte le cose che succedono, il numero di eventi da seguire è una città che sa coinvolgerti molto. Ed è sicuramente molto aperta essendo, come dicevo prima, multiculturale ha imparato ad accogliere anche diverse comunità. New York è una città che accoglie tutti molto bene, quando vengo qui, mi sento parte di New York, ho degli amici con i quali esco e condivido delle esperienze e comunque negli anni, visto che è dal 2007 che vengo con l’American Ballet. Chiaramente ogni anno e ogni stagione il mio rapporto con la città cambia, ma posso dire che è diventata la mia seconda casa».

Quali sono le differenze tra i lavorare in Italia ed in America

«Innanzitutto sono i ritmi di lavoro ad essere diversi. Qui si lavora molto di più, ci sono più spettacoli rispetto alla Scala, noi a Milano spesso e volentieri prepariamo una produzione alla volta, e di solito si va in scena con quella. Qui invece, si lavora anche su 3/4  produzioni alla volta anche perché la stagione del Metropolitan dura 8 settimane. È una stagione molto impegnativa. In nessun altro posto al mondo esiste una programmazione così. Chiaramente è molto bello ed interessante per tutti, anche per il pubblico che viene in poco tempo e vede diversi cast, balletti, produzioni  ed interpreti ed è molto faticoso. A livello mondiale non ci sono paragoni».

metropolitan opera house
Metropolitan Opera House

Com’è il clima di lavoro nei teatri americani?

«All’interno della compagnia devo dire che è molto buono, è competitivo però è un bell’ambiente. C’è una volontà di fare meglio, di emergere, non è un’invidia negativa e questo è bello anche perché poi si ha la consapevolezza di far parte di una stessa squadra quindi come dire nel nome della compagnia, nella riuscita dello spettacolo, il legame è molto forte. E poi sicuramente una grossa differenza sta nel fatto che mentre in Italia i ballerini hanno i contratti a vita, qui invece sono rinnovabili ogni anno. In Italia essendoci l’età pensionabile fino a 45 anni chi sta in teatro ha le sue sicurezze, le sue vacanze. Questo da una parte, è favorevole per il lavoratore, dall’altra non aiuta in un’arte come quella del ballo, molto fisica, dove comunque nel giro di qualche anno si può cambiare. Poi un’altra grande diversità è l’aiuto dei privati in America, mentre in Italia è tutto molto basato sul finanziamento pubblico. E adesso che ci sono i tagli ai fondi pubblici, sicuramente i teatri saranno maggiormente in crisi. Dovrebbero imparare un po’ dal modello americano, a coinvolgere quelli che sono gli sponsor privati, le aziende private. In questo ci vorrebbe soprattutto quindi, un’iniziativa governativa per defiscalizzare quelli che sono i contributi per l’arte, per la cultura, per i teatri».

Questa è una cosa da “prendere” dall’America?

«Assolutamente, anche perché sia in America che in Inghilterra si può vedere quanto è importante l’aiuto che danno sponsor o semplicemente persone benestanti o molto ricche, è determinante anche come viene riconosciuto il loro supporto. Quando ad esempio si vedono targhe, con su scritto il nome della persona che ha fatto la donazione. Così che anche il privato vede concretamente cosa ha fatto. E rimane a suo nome. Può dire che ha creato qualcosa, che ha dato un contributo».

C’è per contro qualcosa che i teatri americani possono imparare da quelli italiani?

«Beh in Italia ciò che abbiamo di forte, è sicuramente un grande senso dell’arte e della cura dei dettagli, del gusto che si vede, che non si può imparare ed è semplicemente italiano, fa parte delle nostre tradizioni che qui sicuramente mancano. Nel nostro paese le lavorazioni che fanno dei costumi o delle scenografie a volte sono veramente dei capolavori, delle opere d’arte, qui è un po’ tutto approssimativo. Da noi ci sono scuole, atelier, anche all’interno della Scala ci sono laboratori, dove si creano costumi e scenografie che sono delle eccellenze che il mondo ci invidia».

Il Teatro alla Scala di Milano (flickr)

Tu hai dichiarato in varie interviste che hai sempre voluto diventare un ballerino, fin da piccolo. Secondo te, che nella danza ci sei dentro fin da bambino, com’è cambiata la disciplina negli anni? Consiglieresti di intraprendere questa carriera?

«Si consiglierei a chiunque ha la passione di intraprendere questa carriera. Per intraprenderla però, ci vuole naturalmente molto talento, tante qualità, fisiche innanzitutto perchè oggigiorno come dicevo, comunque la danza e l’estetica della danza si sono evolute verso una fisicità più estrema sia per la elasticità, che per le posizioni che si assumono, quindi, il talento e le dosi sono una base indispensabile. E da lì si costruisce, c’è ovviamente tanto lavoro. E’ sicuramente un bel mestiere, perché permette di stare in scena, di vivere in un mondo molto bello che è quello del teatro, lavorare sul corpo, sui sentimenti, sulle emozioni ed avere il contatto col palcoscenico ed il pubblico. Dare emozioni, interpretare personaggi quando si è in scena, tutte cose che si ritrovano raramente in altri mestieri. Per questo secondo me i lavori più belli sono quelli in cui riesci a regalare emozioni, ma anche a sentirle. Con la musica o a teatro, vivere a seconda del proprio talento le emozioni e riuscire a trasmetterle».

Qual è il ruolo che ti piace di più ballare. Non necessariamente dove rendi al top, ma quello dove ti senti più libero?

«Sono a pari merito tutti quelli più interpretativi -come Romeo o l’Armand de La Dame Aux Camelias – sono tutti a pari merito perché molto intensi emotivamente e con una tale ricchezza di sentimenti, che si modificano ad ogni esibizione. Io stesso quando li interpreto ogni volta sento un cambiamento, quando li riprendo poi, ad esempio dopo una stagione, sento che li ballo in maniera diversa».

Anche al pubblico si daranno sensazioni diverse giusto? E’ una cosa reciproca?

«Si assolutamente».

Sei ambasciatore Unicef, ci vuoi parlare del tuo impegno per questa organizzazione, com’è nato? Come continua.

«Il mio impegno con l’Unicef è nato 13 anni, sono stato coinvolto dal presidente dell’organizzazione per seguire alcune iniziative in Italia, per promuoverle e sensibilizzare i giovani. E da lì è stato tutto un percorso che è aumentato, è cresciuto e si è consolidato. Sono stato in Africa due volte, e sono stati viaggi molto importanti per l’Unicef, ma soprattutto per me perché mi hanno cambiato profondamente. Perché si arriva in questi luoghi dove c’è una povertà ed una desolazione assoluta e c’è bisogno di tutto così si assume una consapevolezza diversa. Io ho fatto anche due spettacoli per raccogliere fondi, per le missioni dell’Unicef, quindi diciamo che mi piace non solo sensibilizzare, ma aiutare, vedere e raccogliere finanziamenti con la mia arte. Non si vive solo di arte, la mia vita è nella danza, ma avere una finestra sul mondo come quella dell’Unicef è molto importante».

© UNICEF Patrick Brown
Children raise their hands to answer a question in class at a UNICEF learning space in Cox’s Bazar, Bangladesh. (8 July 2019).

Cosa pensi dei social netoworks?Quanto tempo li usi?

«Li utilizzo spesso, soprattutto Twitter sul mio telefono, è diciamo quello che uso di più –ride- instagram invece di meno. Devo dire che è un mezzo che consente molto di stare a contatto col pubblico, quindi con i fan che mi seguono, posso vedere cosa dicono dopo uno spettacolo ecc. Questa vicinanza aiuta davvero, perché alla fine leggo direttamente ciò che la gente pensa, senza filtri, cose che prima non potevo certo sapere».

In una tua intervista hai dichiarato «Conosco la frustrazione di avere così poco tempo per le altre cose che ami – il cinema, una serata con gli amici –, di doverti allenare tutti i giorni della vita, perché a certi livelli di atletismo bastano due giorni di stop per accorgerti che hai perso terreno» riesci a bilanciare vita privata e lavoro?

«E’ molto difficile –afferma Roberto, con un’espressione sofferta e divertita allo stesso tempo- soprattutto in questo periodo il lavoro è la priorità e credo che sia giusto così. E’ giusto ma è anche dura, perché la danza richiede un impegno quotidiano di tante ore di allenamento e dedizione che, quando sei giovane ed alle prime armi so fa e non pesa. Dopo inizia a pesare avere quotidianamente questo rigore».

Pesare in che senso?

«Nel senso che desidereresti avere più tempo per te stesso, credo che sia normale anche soltanto due tre giorni per staccare, andare da qualche parte, ma per me è molto difficile. Anche non fare niente! O semplicemente passare del tempo con la mia famiglia, voglio dire anche le cose molto semplici sono difficili da bilanciare col mio lavoro. In una stagione in cui hai un impegno dietro l’altro e comunque si è sempre sotto i riflettori, e sei comunque molto seguito, non puoi permetterti di sbagliare, non puoi farlo perché rischi di essere fuori forma e di non essere al 100%. Poi vabbè, una volta all’anno un po’ di riposo in Agosto me lo prendo».

Roberto Bolle, Romeo and Juliet, giugno 24, 2016 (flickr Kent G Becker)

Scoppia a ridere..

Quanto tempo?

«Due settimane in agosto in genere»

E riesci a fare tutto in due settimane?

«No – e ride – vorrei averne molte di più! Assolutamente, ma sai sono scelte di vita».

Pensi mai ad una carriera nel cinema?

«Una carriera la vedo difficile! Un cameo perché no. Vediamo che succede».

In Italia adesso la situazione difficile per migliaia di giovani senza lavoro, per la instabilità politica ed economica, sei preoccupato?

«E’ un momento di grande crisi, molto difficile, siamo un po’ ad un punto in cui bisogna necessariamente risalire altrimenti si finisce nel baratro. E l’Italia rischia veramente tanto, per tutto, dalla disoccupazione per i giovani, all’economia del paese. Credo che ci sia questa consapevolezza di essere arrivati ad un punto di non ritorno. E spero che adesso le cose cambieranno con questo nuovo governo di larghe intese, speriamo che faccia almeno quelle riforme strutturali, come la legge elettorale, cose indispensabili per poter far andare avanti il paese. Certo le scelte che sono state fatte per i presidenti di camera e senato, sono positive e adesso vediamo, speriamo che questo governo faccia bene».

Se potessi esprimere tre desideri, quali sceglieresti ed in che ordine?

«Vuoi sapere anche l’ordine? – ci chiede ridendo- dedicare più tempo agli affetti e agli amici, continuare il più possibile quello che sto facendo e queste esperienze uniche che mi portano a ballare nei teatri più importanti del mondo. Un sogno realizzato che spero duri il più possibile. E poi non so –ride di nuovo- il terzo, è essere sorpreso dal destino! Speriamo, mi ha sempre sorpreso molto fino ad ora! »

Lo salutiamo affettuosamente e con un sorriso, dandoci l’appuntamento a Settembre.

Info sulla prevendita di Roberto Bolle and Friends Gala

Prezzi: $25.00 – $120.00

Prevendita disponibile cliccando qui

http://www.nycitycenter.org/tickets/productionNew.aspx?performanceNumber=7440

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Francesca Tarantino

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