Nino Melito Petrosino è l’orgoglioso e instancabile pronipote del leggendario Joe, il poliziotto più famoso d’America, il detective medaglia d’oro al valore civile con la seguente motivazione: “Poliziotto coraggioso e determinato, impegnato in una difficile missione per scoprire i legami tra mafia siciliana e quella di New York, veniva trucidato con quattro colpi di pistola esplosigli alle spalle da un ignoto sicario in un vile agguato. Fulgido esempio di elette virtù civiche ed elevato spirito di servizio, spinti sino all’estremo sacrificio. 12 marzo 1909, Palermo”. Lavorò per sconfiggere la mafia, allora chiamata Mano Nera. Ebbe la stima del Presidente degli Stati Uniti, di cui era grande amico. Intuì che la mafia presente in New York aveva le sue radici in Sicilia. Nino Melito Petrosino dal 1974 ricorda l’illustre antenato nelle scuole, nelle università, nei centri culturali e ovunque lo invitano a raccontare. Ha fondato a Padula (Salerno) una Casa Museo in quella che era stata la casa natale di Joe Petrosino. Ogni angolo della casa trasuda amore e senso civico, i buoni valori sono riflessi nella sapiente disposizione degli arredi e degli oggetti che appartennero all’eroe Joe. È stato ricostruito il camino, l’angolo studio, la sala da pranzo dove consumò il suo ultimo pasto insieme ai suoi cari, la vigilia del vile agguato che lo vide soccombere in Sicilia.
In foto Nino Melito Petrosino
Perché racconta di suo zio?
«Perché ho avuto la fortuna di sedere accanto al caminetto per anni con mio nonno Michele che è stato per me una televisione speciale. Mio zio Joe era il figlio di Prospero Petrosino. Prospero ebbe sei figli, quattro maschi e due femmine, Giuseppe, nome di battesimo di Joe, Caterina, Vincenzo, Giuseppina, Antonio e Michele. Nel 1873 partirono tutti non per bisogno ma alla ricerca di migliori opportunità. Per un caso mio nonno, il più giovane, ritornò. Il caso fu la dipartita del padre e la volontà della madre, rimasta vedova, di ritornare a Padula. Imposero a mio nonno, diciannovenne, di accompagnare la madre. Michele si sposò ed ebbe il primo figlio. Poco dopo però ripartì per l’America lasciando la famiglia a casa. Nel 1933 ritornò definitivamente a Padula».
Questo ritorno ha significato molto per lei?
«Grazie a lui ho potuto conoscere la storia del mio illustre antenato».
Suo nonno materno è stato il testimone della vita dell’eroe italiano Petrosino, cosa ricorda di suo nonno?
«Aveva un bel posto in una sartoria di New York. Il mio bisnonno Prospero ci teneva moltissimo a che anche il suo primogenito, Joe, diventasse sarto. Ma, come diceva il presidente degli USA, Theodore Roosvelt, mio zio era nato poliziotto, non era diventato poliziotto».
Un poliziotto nato in Italia, nell’Italia meridionale, che si fece onore nel mondo. Ancora oggi la sua coraggiosa lotta alla criminalità organizzata rende onore alla sua terra d’origine.
«Sì, ma come ogni emigrato dovette conquistare i titoli sul campo perché l’emigrato, di ieri e di oggi, è accompagnato dalla triste equazione: emigrato uguale emarginato».
Come ci si salva?
«Solo se si dimostra di valere. È quello che è capitato a mio zio Joe. Non c’erano giustificazioni, non c’erano psicologie o psichiatriche che reggevano, non si doveva sbagliare: questo era Petrosino».
L’ingresso della Casa Museo dedicata a Joe Petrosino a Padula (SA)
Com’è nata la Casa Museo?
«Grazie a mio nonno Michele e a mia madre Gilda Petrosino ho potuto presentare il patrimonio di famiglia a degli sceneggiatori italiani che si sono avvalsi di consulenti venuti dalla California per conto della polizia americana, così è nata la Casa Museo. Oltre alla documentazione storica legata al personaggio, è una testimonianza unica della casa degli emigranti di quegli anni: gli oggetti della loro esistenza, le loro abitudini, gli strumenti di lavoro, le valigie, sono magicamente conservati, grazie soprattutto alla vigilante attenzione di mia madre, che qui abitò fino al 1997, anno della sua scomparsa».
Per visitare la Casa Museo Joe Petrosino di Padula (Salerno) telefonare al n. 39- 0975081009