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INTERVISTE/ “L’Italia doveva fare di piu’…”

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 5 mins read

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Nella foto, l’ambasciatore libico alle Nazioni Unite Mohammed Shalgam

 

NEW YORK. Abdurrahman Mohammed Shalgam, è l’ambasciatore della Libia alle Nazioni Unite. Di sicuro lo sarà ancora fino a quando non ne arriverà un altro inviato da Gheddafi per sostiuirlo. Infatti Shalgam, con tutto il personale della missione libica al Palazzo di Vetro, è stato "licenziato" da Muammar Gheddafi, dopo che l’amico di gioventù – erano diventati amici ancor prima della rivoluzione del 1969 – ha "tradito" il dittatore libico per schierarsi al fianco del popolo che lotta per la libertà da un regime che dura da oltre 40 anni. Il Ministero degli Esteri libico ha chiesto la sua revoca quale rappresentante permanente del governo di Tripoli al Palazzo di Vetro, ma il nuovo ambasciatore designato Ali Treki non ha ancora presentato le credenziali al segretario generale Ban Ki-moon, mentre il diplomatico "ribelle" continua a rappresentare la Libia e ad avere il pass diplomatico per accedere alle Nazioni Unite. Al suo ufficio sulla 48esima strada, vicino al Palazzo di Vetro, la missione libica ora espone la bandiera tricolore che sventolava in Libia prima della rivoluzione di Gheddafi. Shalgam e il suo vice Ibrahim Dabbashi, sono diplomatici determinati a tutti i costi a non mollare la rappresentanza della Libia libera da Gheddafi all’Onu.

Shalgam è stato pure ministro degli Esteri libico e, per anni, anche ambasciatore di Tripoli a Roma. Abbiamo incontrato l’ambasciatore Shalgam all’uscita del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, prorio subito dopo lo storico voto della risoluzione 1973 che consente alla comunità internazionale di venire in soccorso, anche con l’intervento militare, alla popolazione libica che ad armi impari sta resistendo all’assalto del regime di Gheddafi e che proprio giovedì aveva dichiarato, in un discorso alla radio, che non avrà alcuna pietà per gli insorti.

L’ambasciaotre Shalgam, che parla perfettamente in italiano, dopo il voto al Consiglio di Sicurezza giovedì appariva euforico e lo abbiamo visto abbracciare a lungo l’ambasciatrice Usa all’Onu Susan Rice, rigraziandola per il risultato raggiunto. Poi, con disponibilità, ha risposto alle nostre domande:

È contento della risoluzione del Consiglio di Sicurezza? Soddisfatto?

"Senza dubbio, e ora possiamo sperare. Il popolo libico oggi certamente sta guardando a questa posizione della comunità internazionale come ad una posizione di coscienza dell’umanità, speriamo che si vada avanti per la libertà completa del popolo libico che sta lottando in questa battaglia contro Gheddafi per raggiungere la stabilità nella democrazia. Costruiremo una Libia nuova".

Ma Gheddafi ha minacciato che in poche ore sarà a Bengasi. Lei pensa che la comunità internazionale sia ancora in tempo per riuscire a proteggere la popolazione libica?

"Bisogna avere pazienza, vediamo cosa succede domani e anche dopodomani. Il popolo sta in strada, sono tutti pronti a dare il sangue per proteggere la loro città e resistere per questa battaglia di libertà, tutto il popolo libico lo farà".

Cosa ne pensa delle cinque astensioni sulla risoluzione? Cina, Russia, India, Brasile, Germania, paesi molto importanti non se la sono sentita di votarla. Cosa ne pensa di questo voto di astensione da paesi che messi insieme avrebbero quasi la metà della popolazione mondiale?

"Durante i loro interventi tutti hanno dichiarato di essere per la libertà del popolo libico e tutti hanno condannato il sangue versato dal regime di Gheddafi. Ma ciascuno poi fa le sue valutazioni. Tutti i paesi africani nel Consiglio di Sicurezza hanno votato per la risoluzione e anche il Libano, che rappresenta i paesi arabi, ha appoggiato la risoluzione, questo è importantissimo, un segnale forte e chiaro per il regime di Gheddafi".

L’Italia è un paese geograficamente molto vicino alla Libia e che ha un rapporto molto stretto con la nazione libica. Cosa si aspetta dall’Italia in questo momento, cosa può fare l’Italia per aiutare il popolo libico adesso?

"Veramente in questi ultimi giorni siamo stati colpiti dalle posizioni dell’Italia, perché non ha preso le posizioni avute per esempio dalla Francia. Ci aspettavamo dall’Italia delle posizioni più forti, invece siamo colpiti dalle recenti dichiarazioni del ministro Frattini che sono state un po’ deboli. (Proprio quel giorno Frattini aveva dichiarato che era favorevole alle posizioni della Russia nel Consiglio di Sicurezza, che stava spingendo per una risoluzione per un semplice cessate il fuoco invece che per la risoluzione poi passata, la 1973, che rende possibile l’intervento militare per proteggere la popolazione civile, ndr). Ma speriamo che l’Italia possa fare adesso dei passi avanti. Su questo io vorrei aggiungere una parola: Gheddafi è finito, l’Italia deve capirlo e venire verso il popolo libico, cioè verso una Libia democratica, in cui potremo lavorare insieme anche sui tanti investimenti in Libia e sui tanti investimenti che noi abbiamo in Italia. Dobbiamo lavorare insieme per il futuro".

Ma quindi il suo è un avvertimento nei confronti del governo Berlusconi a cambiare e scrollarsi di dosso una volta per tutte il regime di Gheddafi?

"E già, questo è il fatto, Berlusconi stesso, dovrebbe capire che per gli altri Gheddafi non esiste più, anche fisicamente non può più resistere. Quindi aspettiamo che nel futuro dell’Italia ci siano delle posizioni più forti per aiutare la Libia ad essere completamente libera dal dittatore Gheddafi".

Questa domanda riguarda anni precedenti ma molto importanti. Lei era ministro degli Esteri di Gheddafi nel periodo della guerra contro l’Iraq, scoppiata nel 2003. In Italia girano delle voci e da parecchio tempo, che poco prima dell’invasione dell’Iraq voluta da Bush e Blair, il premier Berlusconi fosse riuscito a trovare un accordo con Gheddafi per l’esilio di Saddam Hussein in Libia, che avrebbe evitato la guerra. Ma poi all’ultimo momento….

"Saddam Hussein, in Libia?"

Sì, e che lei avrebbe infatti incontrato il Premier Berlusconi per…

"Mai! No, non è vero. Mai. Assolutamente, non è vero".

Ma si dice che …

"Assolutamente, assolutamente non è vero!".

Ambasciatore Shalgam, allora congratulazioni per la risoluzione dell’Onu che tanto aspettavate.

"Grazie, un abbraccio, grazie".

 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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