Lui vende rigorosamente solo scarpe bucate, in cambio il mondo lo ha reso miliardario. Per Mario Moretti Polegato, presidente e fondatore di Geox, l’avventura nella moda non è mai stata però una questione di soldi. Ha creato il marchio di scarpe più venduto in Italia e il secondo al mondo nel settore casual, ha brevettato una nuova tecnologia per far respirare i piedi e non far entrare l’acqua dai fori inseriti nelle scarpe, infine dopo il successo ottenuto con le calzature, è partito alla conquista del mercato dell’abbigliamento. Tutto questo essenzialmente per far conoscere al mondo la sua idea. Moretti Polegato, grazie anche al suo carattere intuitivo, ha ricevuto negli ultimi anni tanti premi internazionali, l’ultimo è quello di "Innovator of the Year 2010", l’innovatore dell’anno attribuito da CNBC European Business Leaders Award. Organizzato da CNBC in collaborazione con il Financial Times, il premio è un riconoscimento in cui sono gli stessi alti dirigenti delle più importanti aziende mondiali a nominare il vincitore. Mercoledì il presidente e fondatore della Geox ha tenuto una lectio magistralis alla Columbia Business School di New York. «Intuizione e successo imprenditoriale: dall’innovazione tecnologica alla rivoluzione globale nell’industria della moda» è il titolo della lezione tenuta da Moretti Polegato e introdotta da Duncan Niederauer, l’amministratore delegato della Borsa di New York. L’imprenditore trevigiano entra così nella ristretta cerchia di industriali italiani invitati dal prestigioso ateneo newyorchese.
L’intuizione dell’imprenditore di Biadene di Montebelluna non è però stata capita subito. Il suo obiettivo all’inizio non era quello di fondare un’azienda nel settore della moda. Mario Moretti Polegato, come lui stesso ammette agli studenti dell’Università Columbia, è nato in una famiglia molto ricca, produttori di vino nel nordest d’Italia da ben tre generazioni. Dopo gli studi di enologia e la laurea in giurisprudenza, Polegato comincia a lavorare nell’azienda vinicola di famiglia. Alla fine degli anni Ottanta il giovane, durante un viaggio d’affari in Nevada, decide nella pausa di fare due passi nel deserto. Quella passeggiata determinerà una svolta nella sua vita e nel settore calzaturiero di tutto il mondo. Come racconta agli studenti, il caldo del deserto lo stava portando all’esasperazione, decise allora di farsi due buchi sulle suole delle sue scarpe da tennis, per far entrare l’aria.
Al rientro in Italia, non riuscendo a trovare sul mercato una scarpa che facesse respirare i piedi, cominciò lui stesso a studiare una nuova tecnologia, la brevettò e bussò alla porta delle principali case produttrici di scarpe sia italiane che straniere. Dopo tanti rifiuti, Mario Moretti Polegato creò lui stesso un suo marchio di scarpe. Non riusciva a capacitarsi che nessuno comprendesse la sua idea. Ci aveva investito anni a studiare il suo brevetto in collaborazione con alcuni istituti di ricerca universitari, arrivando persino alla casa produttrice delle tute degli astronauti della NASA in America, per saperne di più a proposito di quel materiale a prova d’acqua indossato dagli astronauti. Nasce così nel 1995 Geox, dal greco terra (geo) a cui il risoluto trevigiano ha aggiunto una X, che simboleggia la tecnologia. L’obiettivo di Mario Moretti Polegato è quello di "trasferire il linguaggio della scienza nella moda. La scienza parla di dati scientifici, la moda si basa sulla vanità. Ambedue però sono importanti, anche se in contrasto".
È questa l’idea del presidente del marchio che in poco più di quindici anni di vita è diventato un orgoglio per il made in Italy. Oggi Geox è presente in circa dieci mila negozi multimarca, 103 paesi e più di mille negozi monomarca in giro per il mondo. L’azienda quotata in borsa dal primo dicembre 2004 mette sul mercato un family brand, producendo scarpe sia classiche che casual da uomo, donna e bambino. L’azionista di maggioranza rimane la famiglia Moretti-Polegato con il 71% delle azioni, gestite attraverso la holding LIR.
Mario Moretti Polegato, si autodefinisce un self-made man, uno che in sostanza si è fatto da sé. Laddove si potrebbe storcere il naso perché farsi da sé con un nome importante alle spalle è più facile in Italia che altrove, l’imprenditore ha indubbiamente il merito di aver creato un business pensando a un modello globale: trasparenza, competenza e formazione, eliminando come dichiara in una lunga intervista, il sistema delle "spintarelle" e tante delle peculiarità di parte del sistema impresa italiano. Corporatura robusta, indossa sempre un completo Geox a righe e degli eccentrici occhiali disegnati da lui stesso, Polegato ha il tipico carattere solare mediterraneo, la determinazione e la tenacia veneta, una personalità carismatica che gli ha permesso di stringere amicizie importanti nel mondo degli affari. Come ammette il presidente di casa Geox "il computer è funzionale ma non può sostituire l’intelligenza umana. I business che funzionano sono quelli in cui l’uomo occupa una posizione centrale. Alla base del successo c’è sempre la persona. L’uomo che sa trasmettere questo agli altri è quello che raggiunge ciò che desidera. Io racconto la mia storia da pioniere, persona che ha fatto da zero un impero, non per sentirmi migliore degli altri ma per dare fiducia, sopratutto ai giovani. Se gli diciamo sempre che manca il posto di lavoro, che mancano i soldi, che c’è crisi, i giovani si demoralizzano, invece bisogna farli credere che il cervello può cambiare la loro vita".
All’Università Columbia ha detto che tutti potrebbero ripetere il suo successo, ne è convinto?
«Certo, la mia invenzione è semplice. Certe volte ci sono delle cose semplici a cui nessuno mai ha pensato. Le grandi scoperte, sopratutto scientifiche, spesso vengono dall’ambiente universitario ma alcune volte innovazioni spettacolari arrivano dalle riflessioni personali, come nel mio caso».
Perché secondo Lei per molti giovani è più facile trovare fortuna fuori dall’Italia?
«Io non credo. Oggi c’è libero scambio, ognuno deve essere libero di andare dove vuole, se l’Italia ha paura di questo (ndr della fuga dei giovani) deve creare delle condizioni migliori dell’America e smettere di piangere. Il paese deve far in modo che, chi ha delle ambizioni riesca a metterle in pratica anche in Italia».
Cosa pensa di aver insegnato ai giovani della Columbia o delle tante università dove viene invitato?
«La mia storia mi ha portato a essere molto conosciuto nel mondo, ricevo inviti per essere in convegni molto importanti, in qualità di speaker. Sono stato invitato a convegni organizzati da Forbes, dalle borse mondiali, da Merrill Lynch… Rappresento una storia interessante nell’economia. Domani (ndr venerdì 16 aprile) sono a Parigi dove incontrerò Shimon Peres e Sarkozy in una visita privata. Io sono fiero di essere italiano. Quando rientro in Italia, sono in disappunto. Mi dispiace vedere questo paese in confusione. L’Italia è un paese con brave persone ma non si sa come mai abbiamo un sistema burocratico e politico che mette la gente nel caos. Il problema dell’Italia non sono gli italiani, il problema è che abbiamo una politica vecchia, tanta burocrazia, politici che hanno ottant’anni. Io spero che questo ciclo venga interrotto, e che in Italia ci sia una struttura democratica uguale a quella dei paesi moderni. Questo deve essere promosso dai giovani ed è per questo che dico che bisogna investire sulle nuove generazioni».
Lei ha fatto un esempio interessante alla Columbia: a Napoli c’è il miglior caffè ma poi sono gli americani a venderlo in giro negli Starbucks.
«Ho fatto quest’esempio per parlare dell’importanza del brevetto. Il mondo si divide in due aree: paesi ricchi e quelli in via di sviluppo. Nei paesi ricchi la sfida sarà quella del marketing e dell’investimento nella ricerca. Occorre fare prodotti nuovi. I paesi in via di sviluppo sono quelli che fabbricano. È una realtà alla quale neanche l’Italia si può sottrarre. Il made in Italy non è il prodotto in sé ma è il genio che l’ha fatto. Io non ho approfondito (ndr alla Columbia University) perché non ero là per criticare, io amo il mio paese. Ho vinto tanti premi nella mia carriera. Ogni premio è importante perché vuol dire che qualcuno apprezza il tuo lavoro, è un onore per me, per chi lavora a Geox, è un onore anche per l’Italia».
Lei però non ha scelto un sistema di gestione aziendale familiare come scelgono tante aziende italiane:
«Oggi tutto è cambiato. È cambiato anche il modello del business, una volta c’erano diverse teorie: c’era l’economia pianificata e quella libera, oggi c’è una sola economia. I ragazzi in giro per il mondo amano lo stesso cibo, gli stessi jeans, la stessa musica… Anche nel business c’è una sola maniera, ad esempio in Italia c’è la spintarella, questo modello nel business non esiste più».
Davvero?
«Nel futuro non oggi. Le società che hanno fortuna e grande successo sono quelle che presentano bilanci e business trasparenti. C’è la maniera di guadagnare lavorando in modo chiaro».
Una volta che esci dalla cerchia, il gioco non regge più?
«Noi dobbiamo ragionare come fanno gli americani, gli inglesi, i tedeschi: nella stessa maniera, anche se siamo italiani. Poi nella moda e nella cucina siamo più delicati ma nel business abbiamo tutti le stesse regole. Una volta i popoli si sfidavano nella cultura, nei giochi olimpici, oggi i popoli si sfidano nell’economia. L’America detta le regole perché ha l’economia più forte. Il nostro paese deve consolidare la propria economia.
Chi sono i concorrenti di Geox?
«Tutti e nessuno perché i concorrenti sono le aziende che producono un prodotto analogo a prezzo più alto o più basso, ma se il cliente è convinto che le nostre suole siano differenti, non abbiamo concorrenti ma un prodotto unico. Siamo unici nel mondo perché le nostre tecnologie sono brevetti».
E il futuro?
«Crescere molto e divenire un marchio importante anche in America. E soprattutto consolidare il nostro marchio di abbigliamento».