Quando poco più di una settimana fa sono andato alla preview americana del "Divo", durante l'attesa nella saletta riservata ai giornalisti sulla Broadway e la 46 strada, ho pensato di essere probabilmente l'unico tra i presenti ad avere, come dire, "il background" necessario per poter seguire quel film. Infatti ai giornalisti americani era stata consegnata, insieme ai fogli sui dati tecnici del film di Paolo Sorrentino premiato a Cannes l'anno scorso, una lunga guida ai fatti storici italiani che avevano visto protagonista il sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Scorrevano così i vari misteri d'Italia, le interminabili date di attentati, stragi, assassinii… E in mezzo c'era sempre lui. Qui era ministro degli Esteri, in quell'anno tornava Premier, e così via. Come potranno seguire mai questi critici cinematrografici americani un film del genere, sapendo poco o nulla della tormentata storia della Repubblica italiana, mi chiedevo. Poi, appena inziato il film di Sorrentino, fin dalle prime inquadrature, con subito le vibranti note musicali che accompagnavano i passetti di un credibilissimo Andreotti interpretato da Servillo, ecco che si capiva che anche quei critici "yankee" si sarebbero goduti "il Divo". Anche non sapendo nulla sull'uomo dalla carriera politica più longeva della Repubblica d'Italia, il film non poteva che risultare subito bello, "cool" come dirà alla fine ad alta voce un giornalista in ascensore. Per l'audacia delle inquadrature, il ritmo e gli agili scatti tra una scena e l'altra, l'intrigante storia del sette volte capo del governo italiano non era poi così importante se non la riuscivi a seguire del tutto, perché ti dava comunque l'opportunità di vedere all'opera un nuovo grande talento del cinema italiano. Un regista che rischiando rinnova l'importante tradizione del nostro cinema che sembrava fino a pochi anni fa vicina all'estinzione. Sorrentino ha ricordato infatti lo stile di un Elio Petri di "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" (che vinse l'Oscar nel 1971). E quindi, come appunto seppero fare Petri e anche Francesco Rosi, la naturale bravura di saper coniugare il film di impegno e denuncia con l'arte del cinema, che con stile innovativo e moderno riesce soprattutto a farsi piacere, per essere guardato e quindi finalmente capito.
Poi, appuntamento per una intervista con il regista, ad un albergo di Dowtonwn, che guarda sull'Hudson. "Il Divo" esce la prossima settimana nelle sale americane, e Sorrentino dopo la breve tappa a New York, volerà anche a Los Angeles per la promozione del film. Siamo tra giornalisti in attesa, a contendersi ogni minuto di quei venti concessi per l'intervista. Così mentre aspettiamo il nostro turno, vediamo Sorrentino sforzarsi di parlare in inglese, spiamo quelle conversazioni accompagnate dalla gestualità meridionale e ci piace ascoltare quel lieve accento napoletano alternare in inglese frasi perfette con parole sconosciute. Ovviamente accanto c'è l'interprete, ma il regista napoletano ne fa poco uso, l'arte del farsi comprendere a qualunque costo l'ha nel sangue.
Quando arriva il nostro turno e gli diciamo che con America Oggi ovviamente si parla in italiano, Sorrentino allarga il sorriso, si rilassa e in ventuno minuti esatti, ci racconta quello che è il suo quarto film.
Quale è stato il problema principale per realizzare un film su Giulio Andreotti?
«Trovare i soldi per farlo. Molti non avevano alcuna intenzione di finanziare un film su Andreotti. Erano attratti dalla sceneggiatura, ma avevano paura di procurarsi un nemico così illustre. Andreotti aveva già fatto sapere in giro che non amava l'idea che fosse fatto un film su di lui. Così fu molto difficile trovare i soldi, alla fine sono stati trovati in maniera piuttosto rocambolesca e non si è firmato per svariati mesi, e si stava rischiando di non farlo più…»
Stiamo parlando del 2007?
«Sì, il film l'ho fatto nel 2007»
Allora il senatore a vita Andreotti oggi detiene ancora molto potere in Italia…
«Nella misura in cui, essendo stato per tanti anni al potere, ha una ramificazione di amicizie e di persone che gli sono grate, che hanno fatto importanti carriere grazie a lui. Ovviamente la democrazia cristiana non c'è più, ma queste persone sono sparpagliate a macchia di leopardo ovunque nel paese e in posti chiave, anche nel cinema. Paradossalmente ora c'è una sorta di potere che non è più concentrato ma è diffuso, da parte degli ex uomini della Dc. Un potere anche trasversale, perché non tutti sono confluiti nel centrodestra, ma sono anche nel centrosinistra. E questo fa sì che molti, vuoi per gratitudine, vuoi per rispetto, vuoi per amicizia nei confronti di Andreotti, non avevano alcuna intenzione di fare una cosa che andasse contro la sua volontà».
Nel film c'è una scena in cui Andreotti si aggira per il suo famoso "archivio privato". Magari il "rispetto" per Andreotti è dovuto anche alla paura che questo suo celebre archivio – ma esiste veramente? – possa ancora oggi incutere nei confronti di molti potenti d'Italia?
«Sì, e questo io l'ho constatato di persona incontrando molti personaggi, è sempre diffusa questa sorta di paura nei confronti di Andreotti. Amicizia, gratitudine, rispetto ma c'è anche una sorta di paura nei suoi confronti. Perché lui ha usato sempre in maniera spregiudicata queste sue risorse tipo l'archivio segreto. E' una delle risorse utilizzate: ah stai andando contro di me, sappi che io ho un archivio. Dato che tutti, bene o male, hanno qualche scheletro nell'armadio, tutti ce lo abbiamo, ecco allora scattare la paura che ci sia un nemico che ne sia a conoscenza e che lo possa usare contro di noi. In questo famigerato archivio di Andreotti molti poi sospettano che in realtà non ci sia niente, c'è questa diceria… ».
Cioè sarebbe per lo più un'arma psicologica…
«Esattamente».
In Italia il film ha avuto la reazione che si aspettava? Insomma, secondo lei il messaggio del film è arrivato o no? Ma alla massima che "ogni popolo si merita i politici che ha", lei cosa risponde?
«Non saprei rispondere… Eppure no, voglio rispondere, è una massima che secondo me non corrisponde a verità. La popolazione è decisamente migliore dei politici in Italia. Per esempio, in Abruzzo dove sono appena stato subito dopo il terremoto, e per mia ignoranza non avevo grande conoscenza degli abruzzesi, ma è un popolo straordinario, di una vitalità, orgoglio e forza incredibile. Sì per me la gente è meglio dei politici, che però poi in maniera un po' perversa e masochista si votano. Questo è un meccanismo psicologico che non riesco a capire. Perché poi quello italiano è un popolo che secondo me ha grandi qualità ma poi si sceglie politici scadenti, per non dire mediocri. Ma la gente è meglio dei suoi politici, sicuramente».
E il messaggio? Come è stato accolto il suo film in Italia?
«Il film è andato molto bene e fortunatamente, io speravo che accadesse questo, non ha scatenato polemiche. Io infatti temevo che questo film diventasse oggetto di polemiche politiche e che si perdesse di vista che fosse un film e che potesse piacere come film. Insomma che diventasse solo un oggetto di discussione come se fosse una puntata di ‘Porta a porta'. Per fortuna c'è stato un silenzio diffuso da parte dei politici, tranne certo Andreotti, di Cirino Pomicino (l'ex ministro del bilancio tra i protagionisti nel film, ndr) ma gli altri, sia di destra che di sinistra, non hanno in realtà commentato… ».
Si dice chi tace acconsente.
«Sarà pure così, comunque paradossalmente la gente si è concentrata più sull'aspetto stilistico e moderno del film che sulla sterile polemica che si poteva cavalcare e sbandierare. Certo poi il film ha diviso nel senso che ha indignato i sostenitori di Andreotti, qualcuno lo ha trovato invece preciso ma altri ancora, addirittura, invece lo hanno trovato troppo indulgente nei confronti di Andreotti, cioè avrebbero voluto un attacco ancora più sferzante e unilaterale. Ma questo non era il mio obiettivo, l'attaccare Andreotti, semmai era quello di raccontare un uomo in tutte le sue sfumature… ».
Come è stata messa insieme una scenneggiatura che affronta il grande puzzle dei "misteri" italiani, con Andreotti sempre in un modo o nell'altro sullo sfondo? Deve essere stato un grande lavoro di ricerca…
«Ho fatto ricerche per un anno, però studiare Andreotti è come studiare la storia d'Italia e quindi mi sono ritrovato con una quantità di materiale enorme. Mi sono destreggiato e poi mi sono fatto aiutare nelle ricerche dal giornalista Giuseppe D'Avanzo, con il quale sono amico, lui mi ha aiutato ad orientarmi soprattutto sulle questioni giudiziarie».
Nel film mancano gli Stati Uniti e la Casa Bianca, mai menzionati. Eppure circolava negli anni Novanta la voce che i guai di Andreotti con la giustizia, la stagione dei processi, nascesse proprio da un "complotto" iniziato oltre oceano, che l'America con la fine della Guerra fredda si fosse voluta vendicare con Andreotti di alcuni "sgarbi" di politica estera…..
«Avevo tante cose da raccontare e non era facile, ma c'è qualcosa, forse appena accennato… non sono riuscito forse a farla venire fuori, però c'è qualcosa e Andreotti l'avallava molto questa tesi, a sentire lui le accuse di mafia non partono dall'Italia ma proprio dagli Stati Uniti. C'è un interrogatorio che fanno dei magistrati americani, non ricordo se a Buscetta o a qualcun altro, e le prime accuse partirono da qua. Quello che innescò la miccia mi sembra anche un articolo uscito sul New York Times, e poi successivamente sono arrivate le accuse dei pentiti in Italia… Lui questa tesi l'avallava. Questo non c'è nel film nella misura in cui mancano tante altre cose. Certo, si dovrebbe andare a vedere nei suoi anni da ministro degli esteri, quando era un grande equilibrista in politica estera… »
Il film si svolge nel momento dello scoppio di Tangentopoli, quando cominciano a crollare i partiti della Prima Repubblica. Andreotti non sarà mai accusato di corruzione come Craxi e tanti altri leader, però addirittura verrà processato con accuse ancora più infamanti, di essere stato complice della mafia!
«Infatti all'inizio lui era supponente nei confronti degli altri politici che erano stati tirati in ballo da Mani Pulite, per poi ritrovarsi con accuse molto più gravi. Comunque volevo aggiungere che secondo me è molto fantasiosa l'interpretazione di Andreotti di essere stato vittima di un complotto americano, figuriamoci, agli americani ormai a quel punto che gliene fregava… »
L'ex Presidnte Cossiga, che nel suo film ha un ruolo importante, ha recentemente dichiarato al Corriere della Sera, proprio in occasione del compleanno di Andreotti: "Tutti i partiti in Sicilia hanno avuto rapporti con la mafia, anche i comunisti. E non sempre a fin di male: fu la mafia a consegnare allo Stato il bandito Giuliano. Una stagione che si chiude solo quando la mafia decide la linea stragista". Di questa dichiarazione di Cossiga, che cioè quello che avrebbe fatto Andreotti con la mafia lo avrebbero fatto praticamente tutti gli uomini di governo in Italia, cosa ne pensa?
«Per me dice la verità, ma è anche una verità lapalissiana, insomma non è una grande rivelazione, è una cosa che si sa… »
Beh, finché a dirlo è un giornalista o un regista, ma che lo Stato ha collaborato con la mafia lo dichiari ad un giornale nazionale un ex Presidente della Repubblica, già premier e anche ministro dell'Interno…
«Certo, certo e Cossiga ci ha abituato spesso a confermare certe cose che sospettavamo clamorose, e penso che dica la verità. E' opinione comune, non so quanto i comunisti, ora non perché appartenga a quella area politica, ma penso che più forti rapporti di collaborazione e pacifica convivenza li abbia intrattenuti con la mafia la Democrazia Cristiana, almeno fino a quando poi non sono arrivati i cosidetti corleonesi, persone che uscivano troppo dal seminato nella tipologia dei rapporti da intrattenere con la politica, e la politica quindi fa un passo indietro e comincia a combatterli. Quante volte poi Andreotti ha cavalcato quest'ultimo periodo, affermando ‘sono io quello che ha fatto il decreto contro i mafiosi' etc etc»
Nel film c'è la scena importantissima del bacio tra Andreotti e il boss Totò Riina. Lei ha dichiarato che ci teneva moltissimo a girare quella scena, che rappresentava il bacio tra il potere e il contropotere: è questo per lei la mafia, un contropotere?
«Premesso che non so se sia avvenuto realmente, quello che viene ricostruito nel film è basato sulla testimonianza di un pentito. In quella fase storica, in cui Riina è al comando della mafia, ci sarebbero due autentici poteri in opposizione tra di loro che in quel momento si incontrano, se fosse avvenuto quel bacio»
Cioè un bacio come una specie di armistizio…
«Esatto. E questo dal punto di vista cinematografico è un'immagine di grandissima forza e potenza».
Un incontro senza parole. Sarebbero state superflue?
«Superflue sì, ma soprattutto sarebbe stato difficile trovarle. Mi viene difficile immaginare cosa si possano dire realmente Andreotti e Riina».
E l'attore che interpreta Totò Riina è di una somiglianza incredibile, sembra proprio il boss…
«È proprio uguale, sì»
La scena clou del film comunque è un'altra, è quella del monologo di Andreotti, con una grande interpretazione di Servillo. È come una confessione alla moglie, che avviene in una specie di sogno. Lei a proposito di questa scena ha dichiarato: "C'è un unico momento in cui prendo posizione e cioè nel monologo di Toni Servillo, che è totalmente immaginario. In quel momento lascio l'ambiguità del personaggio, e faccio capire chiaramente cosa penso". La mia domanda è: la verità in Italia è sempre come una bomba che il potere è costretto a disinnescare?
«Sì, la mia idea è proprio quella. Sarebbe riduttivo dire tutta colpa di Andreotti, ma è un sistema di quel tipo che ha fatto della verità un qualcosa che non deve assolutamente uscire fuori. Molto presto giustificando il tutto in nome della Guerra Fredda e di interessi alti e altri, che andavano rispettati. Però sta di fatto che c'è una natura occulta del potere in Italia che si protrae da anni e che secondo me esiste ancora adesso perché non è vero che dopo la Guerra Fredda le cose sono cambiate. Insomma hanno preso altre forme, meno chiare perché almeno prima c'era questo grande cappello della Guerra Fredda nel nome della quale si potevano commettere certe cose. Ora ci sono altre forme di occultamento della verità. Però io penso che questo sia il grave problema della democrazia italiana, la difficoltà di arrivare anche dopo molti anni alla verità. Quando per esempio ho visto il film "Frost and Nixon", che è un film analogo al mio dal punto di vista delle tematiche scelte, almeno lì alla fine c'é un momento catartico in cui l'uomo di potere ti dice ‘sì, è vero, ho sbagliato, ho fatto etc etc…'. Questo è molto difficile da trovare in Italia. L'idea di perpetuare la propria innocenza anche difronte all'evidenza dei fatti e fino alla morte e dopo la morte. Questo è frustrante per i cittadini».
Quindi "Il Divo" non è solo un film su Andreotti, il sette volte premier italiano sembra essere più un pretesto per fare un film sull'ambiguità del potere, forse anche del meglio intenzionato uomo di potere? Voglio dire, il famoso monologo, dove Andreotti grida che si deve fare il male per poter realizzare il bene, potrebbe essere recitato tra vent'anni da un attore che impersoni, che so, anche Barack Obama? È questo l'inquietante messaggio che potrebbe arrivare dal suo film al pubblico americano?
«C'è una inquietante caratteristica del potere e della politica, quella della frequentazione del male in nome di un sedicente bene. Questo ovviamente lo si può riscontrare con sfumature e gradazioni diverse non solo in Italia ma ovunque. Ecco, qui ci si potrebbe domandare se il Viet Nam o le varie guerre in Iraq non siano state una specie di utilizzazione del male a fin di bene. Il che non vuol dire che ci sia sempre una malafede da parte di chi intraprende queste iniziative. Io sono sicuro che in Andreotti c'è un reale convincimento in buona fede… ».
Già la fede, infatti anche l'attaccamento alla fede cattolica, alla particolare religiosità da parte di Andreotti è molto presente nel fim.
«Certo, è anche una sua accezione religiosa quella espiazione. Sicuramente è una caratteristica del potere quella di fare il male per voler portare il bene, ed è anche indipendente dalle qualità e malvagità degli uomini. Cioè io penso, e sottolineo penso da comune mortale quale sono, che a certi livelli di potere inevitabilmente ci si imbatte nella frequentazione del male».
E quindi il tanto amato nuovo presidente Barack Obama anche lui, prima o poi, come Andreotti potrebbe…
«E sì, prima o poi anche lui».
Andreotti, alla visione del suo film, ha detto furibondo: "E' una mascalzonata, è cattivo, è maligno…" Se l'aspettava questa reazione? Dove è finita la proverbiale calma e battuta pronta del senatore a vita che tanto si vede nel film?
«Questo devo dire è stato molto sorprendente. Pensavo che dopo aver visto il film, si fosse preparato una delle sue solite battute per liquidarlo con il suo tagliente sarcasmo. Invece è stato molto sorprendente in quella sua reazione, lui che per anni a qualunque attacco di giornale aveva sempre reagito con una calma ammirevole. Invece in questo caso, a novanta anni, ha perso le staffe. Questo lo imputo alla forza che ha il cinema come mezzo di comunicazione rispetto agli altri media. Cioè essendo il cinema un mezzo di comunicazione che gioca sull'emotività molto di più di un articolo di giornale o di un libro, dal punto di vista emotivo lo ha scalfito».