Potrebbe sembrare controintuitivo, ma chi intende che l’autentica scoperta derivi dall’imprevisto dice il vero. Come sottolineato in un recente editoriale pubblicato su Nature Biotechnology, l’essenza della ricerca risiede nella sua “natura evolutiva” e imprevedibile ed è l’apertura mentale a renderla possibile.
Le agenzie di finanziamento e le istituzioni accademiche richiedono ai ricercatori di progettare percorsi lineari e rigorosi che dovrebbero guidare i progetti per anni. Ma la realtà della ricerca è ben diversa: è fatta di deviazioni, false partenze, intuizioni impreviste e nuovi quesiti che emergono strada facendo. Nella pratica, il progresso scientifico raramente segue il piano iniziale. I momenti più significativi spesso nascono da risultati inattesi, cambiamenti di rotta o dall’incontro con nuove idee.
La metafora evolutiva aiuta a comprendere come si sviluppa realmente un progetto di ricerca: le variazioni nuove ipotesi, strumenti, approcci rappresentano la materia prima; il team scientifico, come la selezione naturale, decide quali percorrere. È un equilibrio dinamico tra l’improvvisazione creativa e la progettazione metodica. Nella cosiddetta “night science”, si generano idee, mentre nella “day science” si testano con rigore.
Tuttavia, tutto questo rimane nascosto nella forma finale di una pubblicazione scientifica. L’articolo, infatti, non racconta la storia completa del progetto, ma ne presenta solo la traiettoria “vincente”, quella che ha condotto ai risultati pubblicabili. È una narrazione costruita a posteriori, ordinata, coerente e spesso illusoria.
L’importanza dell’apertura all’esperienza
Nel cuore del processo scientifico c’è l’apertura all’esperienza. Tra i tratti della personalità studiati dagli psicologi, è proprio l’“openness” che include curiosità, flessibilità mentale e capacità di immaginare scenari alternativi – ad avere la correlazione più forte con la creatività. Ed è anche il tratto più essenziale nella ricerca. Essere aperti significa non solo accogliere nuove idee, ma anche sapersi porre domande come: “Come può questa intuizione contribuire al mio progetto?”.
L’apertura è anche una pratica. Può essere coltivata, alimentata dal confronto con colleghi, dallo scambio interdisciplinare, dalla disponibilità a rimettere in discussione ciò che si pensava di sapere. Come nella fiaba della Zuppa di Pietra, il progetto cresce grazie al contributo di molti: uno porta un’idea, un altro uno strumento, un altro ancora una prospettiva diversa. Il ruolo del ricercatore è quello del “guida”, che raccoglie, seleziona e armonizza gli input, decidendo quali direzioni seguire e quali no.
Tra controllo e caos: la vera arte del fare scienza
Gestire un progetto scientifico richiede equilibrio. Troppa rigidità lo soffoca, troppa libertà lo disorienta. Il compito più difficile, e affascinante , per chi fa ricerca è proprio questo: trovare la giusta tensione tra progettazione e apertura, tra disciplina e intuizione. In fondo, come disse Eisenhower, “i piani sono inutili, ma pianificare è indispensabile”.
La vera guida alla scoperta non è il piano, ma l’atteggiamento. È l’apertura – mentale, intellettuale, umana – a fare la differenza tra chi semplicemente conduce un esperimento e chi, invece, contribuisce davvero all’avanzamento della conoscenza.