Nessuno rimpiangerà il sanguinario regime dell’ayatollah Ali Khamenei e della sua cricca di tagliagole, responsabili di orribili delitti, oppressori spietati del popolo iraniano. Brutale ma vero quello che dice il cancelliere tedesco Friedrich Merz: “Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti noi”.
Vero. Dopo aver spuntato le zanne ad Hamas e Hezbollah, Benjamin Netanyahu affronta direttamente l’Iran, grande sostenitore e finanziatore di ogni movimento terroristico il cui scopo sia la distruzione di Israele. Da questo punto di vista la guerra non è iniziata il 3 giugno scorso con l’operazione “Rising Lion”. Da anni Israele e Iran combattono, e senza esclusione di colpi.
E’ la fine del regime instaurato dall’ayatollah sciita Ruhollah Khomeini il primo febbraio del 1979? Possibile, ma realismo ed esperienza impongono di non cantare troppo presto vittoria: spazzato via un dittatore, non è detto che in automatico si instauri la democrazia. Ricordiamo tutti, vero, la fine delle cosiddette “primavere arabe”? Stesso discorso per Irak e Afghanistan. Per non parlare della Russia, passata dal comunismo reale a Putin. Democrazia e libertà non si esportano e neppure si impongono, ammesso, e non concesso, che questo sia nei disegni di Netanyahu e del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
La democrazia e la libertà sono beni difficili da conquistare, esigono di essere nutrite e alimentate con pazienza, rigore, caparbietà, senso pratico, fantasia, capacità e volontà di rispettare le opinioni e i diritti altrui: dei nostri sodali, ma soprattutto dei nostri avversari. Democrazia e libertà richiedono manutenzione costante dei delicati meccanismi istituzionali che ne sono alla base: strumenti delicati e per nulla scontati.
Così in Iran, come altrove in passato, un amaro paradosso: “eliminare” non risolve, ma per risolvere occorre “eliminare”. Ma poi? Esiste un progetto per il “poi”? Anche il piu’ inguaribile degli ottimisti se la sente di dare una risposta positiva?