Nella comunicazione scientifica, la narrazione tende spesso a seguire una sequenza ordinata ed elegante: ipotesi, esperimento, risultati, conclusione. Ma chi vive la scienza “dal di dentro” sa bene che questo percorso lineare è, nella maggior parte dei casi, una ricostruzione a posteriori che finisce per celare la vera natura della ricerca: incerta, disordinata, a tratti caotica. È proprio questa rappresentazione edulcorata che Keith R. Yamamoto invita a superare, esortando la comunità scientifica a raccontare la scienza per ciò che realmente è.
Il suo commento su LinkedIn prende spunto da un saggio di Itai Yanai e Martin Lercher, che indaga il valore del “pensiero aperto” all’interno del processo scientifico. Il fulcro del loro messaggio è un’immagine eloquente: dietro ogni pubblicazione — rifinita, coerente, apparentemente logica — si cela una trama fatta di fallimenti, intuizioni abbandonate, vicoli ciechi e scoperte improvvise. È il territorio della cosiddetta “scienza notturna”, come la definì François Jacob: uno spazio grezzo, ma intensamente creativo, in cui germoglia l’innovazione.
Yamamoto rilancia con una proposta tanto concreta quanto provocatoria: e se ogni articolo scientifico iniziasse la sezione “Discussione” con un paragrafo dedicato a raccontare le deviazioni, le incertezze e gli errori che hanno segnato il percorso di ricerca? Un simile gesto restituirebbe umanità al lavoro scientifico e valorizzerebbe quelle fasi spesso ignorate ma cruciali per l’avanzamento della conoscenza. Sarebbe anche un modo per riconoscere il contributo di chi, pur non apparendo nei risultati finali, ha influenzato il cammino con idee, suggerimenti o esperimenti non riusciti.
Questa visione tocca una delle tensioni più profonde della comunicazione scientifica: il difficile equilibrio tra rigore e trasparenza. L’eleganza formale degli articoli nasce da esigenze di chiarezza e credibilità, ma può contribuire a diffondere l’immagine di una scienza infallibile, quasi meccanica. Un’immagine che rischia di allontanare il pubblico e di scoraggiare i giovani ricercatori, confrontati con una realtà ben più complessa.
Accogliere il caos non significa rinunciare all’accuratezza, ma scegliere di mostrare anche il volto vulnerabile, imprevedibile e straordinariamente creativo della scienza. È un atto di onestà e fiducia: verso i lettori, i colleghi, gli studenti e, più in generale, verso la società. Perché la scienza non è un percorso già scritto, ma un viaggio nell’ignoto. E come ogni autentica esplorazione, nasce dal disordine fertile dell’inizio.