Questa mattina al Palazzo di Vetro di New York, il Segretario Generale dell’ONU António Guterres ha pronunciato un discorso davanti ai giornalisti che è suonato come un tentativo di schivare “il colpo in arrivo”.
Annunciando l’iniziativa UN80, lanciata ufficialmente oggi, Guterres la presenta come una necessaria riforma interna, uno sforzo coraggioso per rendere le Nazioni Unite più snelle, più efficaci e più efficienti proprio a partire dall’anno del suo 80° anniversario.
Questo piano però ha tutta l’aria di una manovra difensiva—una sorta di “Doge” (prendendo in prestito il termine che sta provocando un terremoto nella politica americana) in previsione della tempesta che già si sta abbattendo su Washington e si teme che la Casa Bianca possa spostare anche sull’ONU.
Guterres non ci sta a questa definizione. Alla domanda oggi diretta di una giornalista se questa sua mossa fosse paragonabile al “Doge” di Trump, il Segretario Generale ha rispedito l’idea al mittente: “No, è completamente diverso quello che faremo”, ha detto, spiegando che il suo piano segue un percorso già in atto all’ONU per migliorare l’efficacia dell’Organizzazione, mentre il “Doge” di Trump è un’altra operazione, con scopi e strutture differenti. A chi scrive, il Segretario Generale non è apparso convincente, anche se comprendiamo molto bene le sue motivazioni.
“L’ONU si adatta ed è resiliente per rendere il suo lavoro più efficace,” ha ribadito. “Ma il problema è che ci sono persone che hanno bisogno del soccorso delle Nazioni Unite. E se non ci sono le risorse…”

“The need is great and the goal is clear: an even stronger and more effective United Nations that delivers for people and is tuned to the 21st century,” he said. (UN Photo/Manuel Elías)
Una domanda pesante, rimane in sospeso. Quanto si può tagliare prima che l’ONU crolli?
Il discorso di Guterres ha toccato tutti i punti giusti—efficienza, trasparenza, razionalizzazione, riforma dei mandati, riduzione della burocrazia—insomma, pura poesia burocratica. Ma il Segretario Generale ha anche ricordato chiaramente che questa non è solo una questione di numeri. “I bilanci delle Nazioni Unite non sono solo cifre su un foglio contabile – sono una questione di vita o di morte per milioni di persone in tutto il mondo.”
E qui ripetiamo: quanto si può tagliare prima che tutto il sistema collassi?
Attualmente, gli Stati Uniti coprono circa il 22% del bilancio ordinario dell’ONU, oltre a una quota ancora maggiore delle missioni di peacekeeping. I pagamneti degli USA da anni arrivano sempre in ritardo, creando già non poche difficoltà al budget onuniano, ma se Trump dovesse tagliare drasticamente o azzerare del tutto i contributi americani, le conseguenze sarebbero devastanti.
L’ONU potrebbe funzionare senza i soldi americani? Tecnicamente sì, ma a malapena e comunque se il “bill” USA venisse in parte garantito da paesi come Arabia Saudita o Cina che aspirano ad aumentare il loro peso all’ONU. Significherebbe comunque tagli drastici agli aiuti umanitari, alle missioni di pace, ai programmi di sviluppo. Significherebbe una ristrutturazione globale delle priorità—che potrebbe spingere l’ONU tra le braccia di nuovi finanziatori (non necessariamente quelli più desiderabili).
Prendiamo lo scenario più estremo — ma dal 20 gennaio 2025 non del tutto inverosimile: e se Trump non si limitasse a tagliare i fondi, ma decidesse di ignorare del tutto l’ONU o addirittura di spingere gli USA a ritirarsi completamente?

Un possibile trasferimento da New York in altra sede potrebbe ovviare anche al problema del risparmio. Se i rapporti tra l’ONU e gli Stati Uniti dovessero deteriorarsi oltre ogni limite, potrebbe l’organizzazione decidere di impacchettare tutto e traslocare?
La prima opzione logica sarebbe Ginevra, dove già si trova una parte importante dell’apparato ONU. Poi ci sono le ipotesi più “geopoliticamente ambiziose”. Shangai? La Cina potrebbe essere ben felice di accogliere l’ONU in cambio di maggiore influenza diplomatica, ma ciò solleverebbe enormi problemi di credibilità per un’organizzazione che si vanta della propria indipendenza.
L’Arabia Saudita? Il principe ereditario Mohammed bin Salman ha chiaramente manifestato il desiderio di giocare un ruolo più influente negli affari mondiali. Ospitare l’ONU sarebbe il colpo di scena definitivo per Riyadh. Ma davvero l’ONU potrebbe sentirsi a proprio agio in un Paese con una situazione sui diritti umani… diciamo ancora “complessa”?
Guterres insiste sul fatto che la sua iniziativa UN80 non è una reazione alla crisi imminente, ma un processo di riforma necessario, a lungo atteso e in parte già iniziato. “Dobbiamo essere più efficaci ed economicamente efficienti. Dobbiamo semplificare le procedure e decentralizzare le decisioni. Dobbiamo rafforzare la trasparenza e la responsabilità”.
Il suo piano si articola in tre punti chiave:
- Snellire e rendere più efficiente la macchina burocratica dell’ONU
- Eliminare sovrapposizioni e revisionare i mandati inefficienti
- Proporre riforme strutturali di più ampia portata, che però richiederanno il consenso degli Stati membri.
Tutto molto bello. Ma quanto tempo ci vorrà?
Quando i giornalisti, durante un briefing, hanno chiesto se ci fosse una deadline fissata per il pano, i funzionari dell’ONU hanno ammesso che non c’è alcun termine definito. Insomma, un “processo in divenire” che secondo la stessa ammissione dei collaboratori di Guterres finirà sulle spalle del prossimo Segretario Generale. O, per dirla alla De Gaulle, un “vaste programme”.

Peccato che la ghigliottina del bilancio azionata dalla tempesta in arrivo chiamata Trump possa calare molto prima della conclusione di questa lunga riflessione interna.
E adesso? Guterres ha lanciato il primo segnale di battaglia per difendere il futuro finanziario delle Nazioni Unite. “L’ONU non è mai stata così necessaria. I nostri valori non sono mai stati così rilevanti. E i bisogni non sono mai stati così grandi”. Ma se Trump decidesse davvero di tagliare i fondi o, peggio ancora, di ritirare del tutto gli USA dall’ONU, l’organizzazione si troverebbe a dover prendere decisioni esistenziali prima di quanto si pensi.
Trovare nuovi finanziamenti. Nuovi alleati. O forse, persino una nuova casa. Perché se l’ONU vuole sopravvivere altri 80 anni, potrebbe doverlo fare senza il Paese che l’ha creata.