Una sorprendente, e giusta, unanimità di giudizi. Dal socialista Bernie Sanders (emozionante vederlo su Internet sparare sul “dittatore Putin”, lui che nella Russia dei Soviet c’era andato nel 1988 in viaggio di nozze gemellando Burlington, la città del Vermont di cui era sindaco, con Yaroslavl) agli editorialisti filo conservatori del New York Post e del Wall Street Journal di Rupert Murdoch. Tutti a criticare Trump per le recenti uscite su Zelensky e su chi porta la colpa dei tre anni di guerra. E mi ci aggiungo io, su La Voce di New York: Trump ha ribaltato la verità quando ha detto al presidente ucraino “siamo a questo punto da tre anni, avresti dovuto finirla (la guerra, NDA) tre anni fa… Non avresti mai dovuto iniziarla… avresti potuto fare un accordo”. Falso: l’aggressore è stato Putin e il popolo ucraino si difende con eroismo. “E tu sei un dittatore che non tiene le elezioni”, ha incalzato Trump. Ridicolo: anche Churchill sospese il voto durante l’attacco nazista. Così questo, invece di un Controcanto, è diventato una Voce del Coro.
Però io vado oltre. E a Trump muovo un’altra accusa: non sa vincere e sperpera capitale politico. Dovrebbe metterlo in cascina, assicurando al partito repubblicano il mantenimento della maggioranza alle elezioni di medio termine e a se stesso un secondo biennio per completare la sua agenda. Gli servirà un Congresso fedele. Il voto è fra soli 20 mesi (ma la campagna inizierà molto prima).
Invece Trump ha monopolizzato le news sul piano internazionale con le sparate pro Putin e contro Zelensky. In Europa, dove i venti di guerra soffiano dal confine russo ai Paesi della Nato più esposti. Ma pure negli USA. Qui, l’immagine di un Trump che si defila dal teatro ucraino evoca le figuracce storiche di altri presidenti finiti male: Biden da Kabul, Carter da Teheran, Johnson dal Vietnam…
È vero che Trump sta ingaggiando una partita con Kiev che potrebbe portare, con la pace, notevoli vantaggi economici e geo-strategici per l’America e l’Ucraina. Si vedrà se, e quando, l’accordo in discussione tra gli inviati di Trump e Zelensky sulle terre rare in cambio di armi e di sicurezza verrà firmato e di quale portata sarà. Finora, il patteggiamento finanziario emerso è suonato come un ricatto oltraggioso: il Trump che dice di voler porre fine alle centinaia di migliaia di morti (causa nobile) fa a pugni con il Trump offeso perché Zelensky chiede uno sconto (ma non è “art of the deal”, Donald?).
Questo è il Trump che non sa vincere, perché ha rinunciato a incassare i dividendi del suo primo mese alla Casa Bianca. Ha fatto tante cose di successo, che avrebbero dovuto intasare giornali e tv. Immigrazione clandestina? Debellarla era la sua prima promessa e a El Paso (Texas) gli agenti hanno fatto meno di 100 arresti la settimana scorsa, contro i 1.800 al giorno nel 2023 e i 277 al giorno nel dicembre 2024. Lungo tutto il confine meridionale, questo mese i poliziotti hanno arrestato 359 illegali al giorno, il numero medio più basso negli ultimi 25 anni. Roba da andare sul confine con la ministra della Sicurezza Nazionale Kristi Noem (a cavallo!), e un codazzo di reporter, a snocciolare i dati record. E a far interviste ai cittadini locali “liberati”. Ma Trump non ha battuto il chiodo caldo, occasione persa per illustrare sul campo l’ordine esecutivo con cui ha designato le gang dei cartelli “organizzazioni terroristiche”.
Non è tutto qui. Trump ha vietato agli uomini transessuali di gareggiare con le ragazze. Il tema aveva occupato le cronache prima del voto, scandaloso com’era. Adesso, scattata alla Casa Bianca la foto di rito con qualche studentessa grata alle spalle mentre firmava l’ordine, tutto dimenticato.
E il DEI (diversity, equity, inclusion)? Era stata con Biden l’apoteosi del wokismo, ma ora che il criterio genere/sesso/razza è stato bandito ed è tornata la meritocrazia, Trump non ne parla. Non sa vincere, appunto.