La Casa Bianca, la Oval Office, i salotti bene (e nemmeno tanto bene) di Washington DC assomigliano ormai a un grande souk mediorientale. Tutti parlano, tutti commentano, anche i bambini vengono trascinati in mezzo ai grandi.
Per gli storici o i narratori ovunque siano, le botteghe degli ebrei non sono mai state diverse da quelle degli arabi. Non conta né la religione né il colore della pelle. Il caffè, garantito per tutti, è addolcito allo stesso modo. La prima vera domanda che forse mette in difficoltà, quando venditori e possibili acquirenti si siedono a parlare è: “Dove hai trovato questo tappeto?”. “A chi appartiene Gaza?”. A Israele? Al popolo palestinese?
Sabato, se tutto va bene, ci sarà l’ultimo scambio di ostaggi previsto dalla prima fase degli accordi raggiunti dal governo israeliano e la leadership di Hamas. Teoricamente dovrebbe cominciare subito il negoziato sulla fase successiva, che include un discorso più o meno chiaro sul futuro della Striscia. E dei suoi abitanti. A parlare, a trattare, saranno i capi di un movimento che non rappresenta l’insieme del popolo palestinese e il premier di un governo che rivendica il territorio dei palestinesi ma non rappresenta il popolo che abita né a Gaza né in Cisgiordania né a Gerusalemme Est.
Come spesso avviene nei dialoghi più o meno lunghi, tra i mercanti salta fuori un mediatore. Qualche volta disinteressato, altre volte impegnato a consolidare vecchie o nuove amicizie.
Verso la fine della Seconda guerra mondiale, qualcuno in Sicilia aveva suggerito di far diventare l’isola una nuova stella sulla bandiera americana. Nella relativamente breve storia di Israele, molti, dentro e fuori quel Paese, avevano suggerito di far aggiungere anche quel pezzo conteso di Medio Oriente agli Usa. Anni fa, un giovane amico israeliano non riusciva a capire perché arabi ed ebrei non potessero vivere in pace sulla stessa Terrasanta.
“Con la globalizzazione – sosteneva – le frontiere scompariranno e saremo pieni di cinesi”. La direzione del mondo cambia, ma resta ancora un problema fondamentale quando due mercanti si incontrano: se quel tappeto non è tuo, come fai a vendermelo? O a regalarmelo?
Ariel Sharon, quando era primo ministro di Israele, come molti prima e dopo di lui, era pieno di idee e incertezze. Quando decise di ritirare le truppe israeliane da Gaza e chiudere gli insediamenti degli ebrei, pensava a un primo passaggio verso un compromesso. Vedeva la Striscia come pezzo, l’inizio, di uno Stato palestinese.
I due più ricchi mercanti all’opera nel souk mediorientale – Trump e il principe ereditario saudita Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd – con l’aiuto della diplomazia europea hanno la capacità economica e politica di trasformare l’idea di Sharon in realtà. Devono “comprare” la terra dei palestinesi. E restituirla ai palestinesi.