L’idea dei liberal circa la loro superiorità morale sui conservatori è a prescindere. Il loro comportamento davanti ai fatti della vita non farà mai vacillare questa convinzione e i Repubblicani ne prendano atto, accontentandosi della realtà, ovvero del voto di un mese fa che ha sancito la debacle della linea politica dei DEM, e dei loro leader. Stavolta, però, la coda delle elezioni fornisce il destro per una considerazione che potrebbe scalfire, hai visto mai?, il loro *superiority complex*. Sono come i conservatori, e forse peggio, quando si tratta di questioni etiche.
Qualcuno ricorderà che fu John Fitzgerald Kennedy, tra i moderni presidenti, a nominare per il cruciale posto di Attorney General (ministro della Giustizia) niente altro che il fratello Robert Kennedy. Lo fece sotto la spinta esplicita del babbo capostipite Joseph P. Kennedy Sr. La nomina fu nel gennaio 1961, ed ebbe un singolo oppositore tra i senatori del Gop nel dibattito per la conferma (altri tempi di “polarizzazione”…).
Comunque, l’ovvia aberrazione nepotistica nell’esercizio del potere esecutivo indusse il Congresso a introdurre pochi anni dopo, nel 1967, lo Statuto Federale Anti-Nepotismo, che alla Section 3110 (parte della riforma del Servizio Postale) specificava che il “titolare di una agenzia esecutiva non può nominare un parente – padre, madre, figlio, figlia, fratello, sorella, zio, zia, cugini, naturali o acquisiti – a una posizione civile nella stessa agenzia in cui egli esercita un ruolo di giurisdizione o controllo”.
In seguito, questa norma è stata invocata quando, nel 2017, Trump ha nominato il genero Jared Kushner e la figlia Ivanka consiglieri della Casa Bianca. Il presidente confermò nondimeno la nomina usando la disposizione del paragrafo successivo, secondo cui “individui nominati in violazione di questa sezione 3110 non hanno diritto a essere pagati, e il denaro non può essere versato dal Tesoro”. Trump li “assunse” gratis (lui stesso ha donato in beneficenza il suo stipendio federale, come Herbert Hoover e JFK prima di lui), imitando peraltro Bill Clinton che aveva dato alla moglie Hillary l’incarico formale, non retribuito, di guidare la task force per la riforma sanitaria.
Oggi in prima pagina c’è il caso di nepotismo giudiziario di Biden che ha “perdonato” il figlio Hunter: sia per quanto è stato già dichiarato colpevole e che gli avrebbe garantito la galera, sia per quanto ha combinato nei 10 anni dalla sua assunzione mafiosa alla Burisma ucraina durante la vicepresidenza del papà; atti che sarebbero finiti sotto esame del ministro della Giustizia trumpiano. È ancora da scrivere la storia su quanto potrà capitare a Joe e a suo fratello James, lo zio di Hunter: il loro passato da affaristi sospetti è noto, e il presidente uscente farebbe bene ad auto-perdonare se stesso, e l’intera famiglia, prima di passare il potere a Donald. La cronaca sarà ricca.
Ciò che vorrei notare qui è che Joe ha creato un precedente scabroso sul perdono presidenziale. Non lo dico io, ma il deputato DEM della Virginia Gerry Connolly del Comitato della Camera per la Supervisione degli atti governativi. “Io posso simpatizzare con la sua visione (di Joe) secondo cui suo figlio (Hunter) era stato oggetto di una giustizia militante. Detto questo, quale altro padre in America ha il potere di ‘perdonare’ suo figlio o sua figlia se sono stati condannati di un crimine? Penso veramente che dobbiamo rivedere il potere di ‘perdonare’ nella Costituzione. Come minimo, dobbiamo circoscriverlo in modo che il presidente non possa dare il pardon ai suoi parenti, anche se pensa appassionatamente che sono innocenti”.
Insomma, i Democratici sono quelli che aprono strade nuove di privilegio nepotistico a loro beneficio, e poi si battono il petto per aggiustare le cose. E chi mai li potrà spogliare di questa aurea di superiorità morale?