Chiedo perdono subito a chi si occupa di cinema su questo giornale ma il mio è un bisogno di sapere, l’urgenza di capire se davvero abbiamo perso tutto, anche l’immaginario del paese che abbiamo sempre considerato, nel bene e nel male, un termine di paragone esistenziale; oppure se qualche cosa resiste ancora al caos di questo presente americano. Perché Giurato numero 2, l’ultimo lavoro di Clint Eastwood, questo è stato per me, una luce di conferma che c’è ancora qualcosa che non si piega all’idea dell’imbarbarimento, della divisione tra la volgarità di chi ha vinto e la rassegnazione di chi ha perso in questo secondo inizio dell’epoca di Trump.
Siamo in Georgia, uno stato tornato saldamente nelle mani dei repubblicani, c’è un tribunale, c’è una procuratrice che punta ad essere rieletta e c’è un caso perfetto per vincere. Un femminicidio, un maschio dal passato violento, imputato ideale per una giuria popolare che incrocia realisticamente suggestioni da tv crime e luoghi comuni, fretta di decidere e voglia di tenersi lontano dai guai. Naturalmente tutto non è come sembra ma non è questo che ci interessa ora, il punto è come Eastwood racconta questo scorcio d’America contemporanea.
La sua Georgia è conservatrice, con le bandiere a stelle e strisce che sventolano sul pennone del tribunale, con i giurati gonfi di pregiudizi e di certezze che alla fine decidono in un modo, eppure lo fanno dopo avere accettato l’idea di coltivare un dubbio, e anche un rimorso.
Il film senza strepiti e senza effetti speciali, con stile direi se avessimo ancora il senso di questa parola, scava nella coscienza di tutti i protagonisti, compresa l’accusa e la difesa. Tutti fanno i conti con un dilemma morale, con la difficoltà di scegliere tra la possibile verità e la voglia di vivere tranquilli. E non siamo dalle parti delle nevrosi newyorkesi di Allen, qui siamo nel profondo sud, in un pub dove si balla, si beve e si gioca a biliardo e un uomo e una donna litigano come sempre ma stavolta forse va a finire male.
Una piccola storia diventa domanda universale, illuminata da un rigore fotografico e morale che sembra impossibile ritrovare nelle cronache di oggi dove effetti speciali e menzogne si mescolano senza soluzione di sorta. Per questo, uscito dal cinema, sentivo il bisogno di fare a voi questa domanda: esiste ancora l’America di Clint Eastwood, capace di interrogarsi, di vincere sapendo di perdere e di pagare alla fine quello che deve alla verità o è solo il suo straordinario ultimo sguardo su un paese che non c’è più?
Ps. So che il film in America è stato distribuito in pochissime sale, questa potrebbe essere già una risposta ma francamente non mi basta, vorrei una bella discussione, come si faceva una volta.