I Repubblicani devono tirare un sospiro di sollievo. Hanno visto che il loro candidato, Donald Trump, ha scelto come vice D.J. Vance, e sono delusi (almeno, i più lungimiranti tra di loro). Non solo perché Vance non aggiunge nulla alla coalizione del GOP in termini di allargamento della base sul piano ideologico—è in pratica una replica di Trump—ma anche per la sua propensione alle battute secche, discutibili se non infelici, da talk show, che fanno ridere i già schierati ma sono una manna per i critici liberal. Se Trump avesse scelto Nikki Haley, questa sì che avrebbe aiutato a raggranellare consensi tra le donne, i non bianchi, e gli scettici di Donald.
Sul fronte dei Democratici, Kamala Harris doveva prendere la sua prima decisione vera da candidata con la nomination in tasca, e ha fatto flop. Tutti sanno che l’ex senatrice californiana, e vicepresidente per soli meriti di essere una donna di pelle scura, aveva un problema enorme: il suo passato politico da ultra-liberal. “Io sono una radicale” è la frase che ha pronunciato con orgoglio in TV qualche tempo fa e che è già diventata il leitmotiv degli spot dei Repubblicani.
Harris, insomma, doveva non solo “correggere” se stessa—come sta cercando di fare passando per banderuola su temi come il fracking, il “defund the police”, e l’eliminazione delle polizze sanitarie private—ma anche compiere un atto concreto. Ad esempio, elevare a suo vice qualcuno che, pur Democratico, avesse sostenuto i buoni scuola osteggiati dai sindacati e appoggiato Israele nel conflitto con Hamas. C’era questo personaggio, ed era il governatore della Pennsylvania Joe Shapiro: ebreo, con una reputazione da moderato capace di vincere la carica di governatore, con largo margine, in uno stato swing che Kamala deve assolutamente conquistare. Invece, il prescelto è stato Tim Walz, governatore del Minnesota, uno stato che non elegge un candidato presidente del GOP da mezzo secolo.
Non solo. Walz, bianco, 60 anni, ex deputato a Washington, ha un passato da insegnante vicino al sindacato dei maestri, notoriamente contrario alle charter school e ai buoni scuola. Ed ecco alcune delle mosse che caratterizzano politicamente Walz, spostandolo a sinistra: ha aumentato le tasse e il Minnesota è ora una sorta di “California del nord”, con un’imposta sui redditi al 9,85% per chi guadagna 193mila dollari annui, la quinta più alta tra i 50 Stati. Walz ha aggiunto una sovrattassa dell’1% per chi ha un reddito netto da investimenti sopra il milione di dollari. Il Minnesota è, inoltre, tra i pochi Stati con una tassa sulle eredità, pari al 16% sopra il 40% federale.
In Minnesota ci sono 81 mila immigrati illegali con il diritto di avere la patente di guida e accesso al sistema sanitario statale. Quindi, non è proprio un campione nella soluzione del problema dell’immigrazione clandestina. La legge sugli aborti è tra le più permissive della nazione, essenzialmente senza limiti di tempo e senza considerazione per l’età dei minori. Walz è anche orgoglioso di aver approvato una legge che ha reso il suo Stato un “rifugio per transessuali”, con una legge specifica di protezione.
Si capisce quindi perché la sua designazione sia stata subito festeggiata dal socialista Bernie Sanders. E, di riflesso, dai Repubblicani. Questi ultimi temevano di dover contrastare un ticket più attraente per gli indipendenti e i moderati, e invece si trovano davanti Kamala e il suo sosia.