Si può discutere “quanto sia cambiato” Donald Trump dopo l’attentato, ma l’ex presidente che l’America ha visto ieri, 18 luglio, alla Convention della sua Nomination in Wisconsin, è una persona assai diversa dal Trump sconfitto alle elezioni del 2020. Non ci sono dubbi e per un paio di motivi forti.
Il primo motivo è che l’esperienza di essere stato colpito da un proiettile vero, dopo una vita di attacchi personali, d’affari, politici, legali, verbali, mediatici, non l’aveva mai provata prima. La quasi totalità di noi, gente che non è mai stata in guerra, non l’ha mai provata. Per questo ci siamo emozionati al racconto diretto dei minuti tragici di quel sabato maledetto, dal bacio alla divisa dell’ex pompiere suo sostenitore morto proteggendo le figlie, all’insolito appello all’unità della nazione: “Noi cresciamo insieme o crolliamo a pezzi… Noi siamo americani, l’ambizione è la nostra tradizione, la grandezza è il nostro marchio di nascita. Ma finché spendiamo le nostre energie a combatterci gli uni contro gli altri, il nostro destino rimarrà fuori dalla nostra portata”.
La prima mezz’ora del discorso di accettazione è passata così, nel segno di un uomo umanizzato e reso umile dalla “grazia ricevuta”. “Non dovevo essere qui”, ha detto nel tono cupo, serio, persino tetro con il quale si era mostrato dal primo giorno della Convenzione.
Se questa parte della sua presenza sul palco aveva confermato le speranze di chi, da indipendente, era disposto a dargli una nuova fiducia, pur memore del Trump arrogante, fuori misura, aggressivo, culminato il 6 gennaio 2021 nella peggiore pagina del suo passato da uomo pubblico, l’ora che è seguita non è stata all’altezza. È vero, ha nominato una sola volta Biden, e senza offenderlo. E le ovvie critiche politiche all’amministrazione precedente (immigrazione, energia, inflazione…) non potevano mancare in una convenzione del partito che la vuole scalzare al governo. Ma Trump, che pure sta vincendo nei sondaggi, aveva a disposizione due rigori e li ha calciati fuori: ha ricicciato la battuta sulle elezioni precedenti vinte dai Democratici truffando e non ha fatto quel passo che davvero avrebbe aperto il futuro a una nuova era di pacificazione, la promessa che il suo ministro della giustizia non avrebbe perseguito Biden. Forse era chiedere veramente tanto, troppo.
Da una parte, infatti, protestare che i seggi hanno prodotto esiti manipolati ha un contraltare politico di non poco momento: quello che vede il partito Democratico, e Biden personalmente, sempre opposti ferocemente all’idea, e alle relative proposte di legge, di esigere che gli elettori si presentino al voto con un documento di identità con la fotografia. Per noi italiani suona assurda, ma è proprio così: la prima volta che ho votato qui non ci volevo credere che la scrutatrice respingesse la mia offerta di verificare la mia patente americana (non esiste la carta d’identità). Dall’altra, l’unico argomento efficace e concreto per chiedere, come ha fatto Trump, che l’apparato giudiziario in mano ai Democratici ritirasse le incriminazioni residue contro di lui sostenendo che erano politicamente motivate, era l’impegno della sua futura amministrazione a non “vendicarsi”.
Il secondo motivo è la forza politica che oggi Trump sente di avere dai sondaggi. Lo rende più “presidenziale”. Dietro al messaggio pronunciato a Milwaukee (“Sono qui davanti a voi con un messaggio di fiducia, forza e speranza: insieme noi lanceremo una nuova era di sicurezza, prosperità e libertà per i cittadini di ogni razza, religione, colore e convinzione politica”) ci sono i numeri. Le condizioni penose di Biden e il proiettile di Butler (PA) hanno alzato le quotazioni di Trump a un livello mai toccato.
La media dei sondaggi RCP dice oggi che Trump è davanti a Biden per 3 punti secchi, 47,7 a 44,7. Il distacco nazionale, congiunto al vantaggio che il Repubblicano ha nei sei Stati Swing, sembra anticipare non solo la conquista della Casa Bianca ma pure la vittoria del GOP in Senato e alla Camera. La prova che la sinistra e i DEM sono sempre più consapevoli della disfatta all’orizzonte viene da due notizie riportate dalla CNN e dalla AP. L’analista dei voti della CNN, John King, dopo la Convention ha sparso sale sulle ferite dei Democratici. Ha detto che la previsione più ottimistica per Biden, al momento, è che Trump si aggiudichi 272 voti di grandi elettori nel Collegio Nazionale. Ma superare 270 garantisce la vittoria, e il trend negli Stati indispensabili per Biden, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, è a favore di Trump. E pure i sondaggi in altri Stati solitamente Blu, come il Nevada e la Virginia, sembrano tradire Biden.
Un reportage della AP cita gente comune, tra gli indipendenti e gli incerti, intervistata dopo il tentato omicidio di Trump e il suo discorso; in maggioranza hanno “riscoperto” Trump e hanno intenzione di votarlo in novembre.
Biden forse lascerà perdere la sua candidatura nel weekend nascondendosi dietro il Covid. La storia è bizzarra a volte: nel 2020 Biden vinse grazie al coronavirus che mise in ginocchio Trump, ora il virus potrebbe essere l’unica scappatoia per consentire a Biden di mollare con una parvenza di dignità. Il partito della Pelosi e di Obama è sempre più convinto che Biden non potrà essere in testa al ticket, e ha davanti a sé una convention, tra un mese a Chicago, che è l’ultima chance per offrire al pubblico un’alternativa alla strapotenza attuale di Trump.