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February 25, 2024
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Una Capitol Hill intercontinentale? Il rischio geopolitico di Trump

I paesi UE dovrebbero correre verso un'alternativa strategica

Angelo LucarellabyAngelo Lucarella

Former President Donald J. Trump delivers remarks during the Conservative Political Action Conference (CPAC) 2024 at National Harbor, Maryland, USA, 24 February 2024. The Conservative Political Action Conference is an annual political conference attended by conservative activists and elected officials from across the United States and beyond. EPA/SHAWN THEW

Time: 3 mins read

“Niente soldi, no party”.  È questa la sintesi di quanto ha detto Donald Trump ai Paesi Nato che non riescono a versare il contributo concordato del 2% di prodotto interno lordo per la difesa comune. Fin qui il discorso di Trump non è lontano dalla sua esperienza di imprenditore basata sul rapporto del “Mi paghi, Ti do il servizio”. Il rischio geopolitico però c’è e vive su due direzioni.

In primo luogo, la denunciata debolezza di Pil di alcuni Stati Nato implica un ragionamento psico-politico al contrario: gli Stati Uniti d’America, se vogliono mantenere influenza strategica e comune linea militare deterrente nei confronti di Stati potenzialmente antagonisti, dovranno investire di più nella questione militare e contribuire maggiormente ai fondi Nato per “dovere di compensazione”. Quel che dice Trump, inoltre, potrebbe nascondere un disegno ulteriore che parte dal suo modo imprenditoriale di ragionare: se uno Stato Nato non riesce a pagare il debito per la spesa militare comune, allora, o esce dalla Nato oppure va occupato o annesso politicamente o istituzionalmente (come se si comprasse all’asta fallimentare qualcosa). Pertanto, è la logica del fallimento aziendale, non l’arte della diplomazia politica, che spinge il Tycoon a parlare in quel modo.

Fin qui si tratta di un semplice gioco delle parti perché Trump, in vista delle elezioni presidenziali 2024, vorrebbe far capire agli alleati Nato che gli Stati Uniti d’America non possono pagare e rischiare più degli altri senza avere un ritorno: la contropartita a cui forse pensa Trump sarebbe la cessione di debito pubblico buono su cui Washington potrebbe investire oppure ancora infrastrutture strategiche da affidare in concessione a società americane (magari collegate all’ex presidente).

Se verranno rispettati o meno gli accordi, quindi, sarà verificato a fine anno ovvero dopo le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America.

Ciò che è pericoloso, nel frattempo, è che si alimenti il senso di frustrazione di una fetta di americani e dei popoli Nato (che sono anche Onu) dinanzi agli inadempienti del fondo comune per la difesa. Un modo di fare, quest’ultimo, che appartiene alla tecnica comunicativa della “drammatizzazione del debole” ovverosia un metodo puntuale di attribuire tutte le colpe del mal andamento della propria casa (ad esempio la Casa Bianca) al debitore del condominio (ad esempio lo Stato membro indietro con il versamento del contributo del 2% di Pil) affermando che non paga perché coperto dall’amministratore o perché quest’ultimo è debole tanto quanto il debitore (e per questo va cambiato alle elezioni). È un’antica tecnica che fu utilizzata (ben più rigidamente e scientificamente) anche nell’epoca delle dittature del secolo scorso.

Quindi da qui sino alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America il rischio è che la benzina da gettare sul fuoco sarà maneggiata in maniera più intensa per raggiungere l’obiettivo di un cambiamento alla Casa Bianca basato sull’idea della incapacità di Biden a farsi rispettare nel mondo e in particolar modo nella Nato.

Non è un gioco diverso al risiko, solo che c’è in ballo non solo il futuro degli Stati Uniti d’America ma soprattutto della stabilità culturale occidentale che dopo la seconda guerra mondiale ha incluso diversi stati ex sovietici che di Russia (e anche Cina sotto altri aspetti) non vogliono sentirne più parlare.

Arriviamo, così, alla seconda direzione su cui vive il rischio geopolitico di frammentazione (per non dire implosione) dell’accordo Nato se si attuassero le parole di Trump.

Immaginiamo per un attimo l’invasione della Russia nei confronti dei Paesi Nato morosi a cui l’ex Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha fatto invito pubblicamente. Significa che la Russia sarebbe nella potenziale occasione di riannetterebbe parte di aree, oggi in Unione Europea, scatenando un problema di risposta militare per rispettiva nazione colpita (che non sarà mai all’altezza della sfida se non in un’altra dinamica: il rafforzamento o la nascita definitiva di un apparato militare europeo).

Su questo fronte, quindi, le parole di Trump dovrebbero far riflettere i Paesi europei verso una direzione: correre per creare l’alternativa strategica.

Invece, le parole di Trump conducono a pensare ad un altro tema che pone una domanda delicata: si tratta di uno stimolo a nuove Capitol Hill decentrate rispetto a Washington ed in altri Stati?

Non è decifrabile, ma c’è un nervo scoperto: l’invito di Trump a non difendere più i Paesi Nato debitori potrebbe essere un reato. In Italia, ad esempio, esiste la reclusione per chiunque istighi militari a disobbedire alle leggi o a non rispettare il giuramento prestato. E chiunque significa tutti. Tycoon incluso.

 

 

 

 

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Angelo Lucarella

Angelo Lucarella

Giurista, saggista, editorialista, ex vice pres. coord. della Commissione Giustizia del Ministero dello Sviluppo Economico

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