Durante una visita alla città di Hebron in Cisgiordania, il ministro israeliano per gli affari di Gerusalemme, Amichai Eliyahu ha ribadito la sua idea di far cadere un’arma nucleare sulla Striscia di Gaza. Lui, forse, lo farebbe sul serio ma, per fortuna, non viene preso sul serio né dal governo né dalla popolazione ebraica israeliana sempre più confusa e incerta sulla guerra, dalla distruzione della striscia ai discorsi sul futuro della Palestina. Soprattutto, oggi, sul futuro degli ostaggi.
La morte dei 21 soldati israeliani uccisi da Hamas mentre stavano demolendo alcuni edifici vicini al confine tra Gaza e Israele ha allargato il dibattito interno israeliano e in qualche modo chiarito polemiche e spaccature tra la popolazione soprattutto ebraica del paese. Sono sempre di più le voci che chiedono le dimissioni del premier Netanyahu e nuove elezioni ma è sempre più chiaro che le divisioni interne al mondo ebraico israeliano seguono la tradizionale frattura tra destra e sinistra. E non solo perché la maggioranza degli ostaggi ancora in vita furono rapiti da Hamas nei villaggi a ridosso di Gaza che erano stati in buona parte creati e abitati da famiglie che votavano per partiti di sinistra e che – chi più, chi meno – erano favorevole all’idea di uno stato palestinese accanto a Israele.
All’indomani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre l’atmosfera in Israele era di rabbia e paura. Una parte del pubblico era anche favorevole all’idea (nettamente contraria alla tradizione militare e sociale israeliana) di non pensare tanto a recuperare gli ostaggi quanto alla distruzione di Hamas e a punire i responsabili dell’orrenda strage compiuta dal movimento islamista. Fin dall’inizio, però, il governo ha pensato che la pressione militare avrebbe portato a un accordo sugli ostaggi. “Parlando con le famiglie di ostaggi all’inizio di questa settimana – scrive Haaretz – il ministro della Difesa Yoav Gallant ha detto loro: “Ci sono i primi segnali che raggiungere i siti più sensibili di Hamas ci fa avanzare verso il raggiungimento dei due obiettivi principali della guerra”.
Ma, scrive Ha’aretz: “I tragici eventi di questa settimana, tuttavia, hanno dimostrato che Hamas è ben lontana dal sentirsi sconfitto. La prova di ciò è stata presentata martedì, quando una fonte egiziana ha detto all’Associated Press che l’organizzazione ha respinto la proposta di Israele di un cessate il fuoco di due mesi e il rilascio dei palestinesi imprigionati da Israele in cambio del trasferimento dei leader di Hamas nella Striscia di Gaza in altri paesi e del rilascio di tutti gli ostaggi”.

L’editoriale continua sottolineando come “In un’intervista con il programma televisivo “Uvda”, il ministro Gadi Eisenkot ha anche infranto l’illusione cercando di essere venduto al pubblico israeliano delle forze di difesa israeliane liberando gli ostaggi attraverso un’operazione militare. “Gli ostaggi sono sparsi in modo tale – anche sottoterra – che la probabilità [di un’operazione in stile Entebbe] è estremamente bassa”. Ha aggiunto: “Penso che sia necessario dire con coraggio che è impossibile riportare in vita gli ostaggi nel prossimo futuro senza un accordo, e chiunque stia alimentando bugie al pubblico sta alimentando bugie”.
Eisenkot, che fu capo di stato maggiore, è un antagonista di Netanyahu. Si sta in qualche modo posizionando per contrastarlo politicamente se e quando si andrà a nuove elezioni. Gallant e Netanyahu si parlano appena ma le loro idee e politiche, specialmente riguardo la guerra e il futuro sono abbastanza simili. Per il ministro della difesa, Israele deve mantenere il controllo di Gaza nel dopoguerra. Non dice per quanto tempo mentre Netanyahu esclude la creazione di uno stato palestinese nella striscia e anche, possiamo dire soprattutto, nella Cisgiordania occupata. Per il premier lo slogan che fu caro ad Arafat, (dal Mediterraneo al fiume Giordano) e che era scritta chiaramente nella prima piattaforma politica del Likud, rispecchia il futuro che lui e che buona parte della popolazione israeliana vuole. Destra, centro e, oggi dopo quello che è accaduto il 7 ottobre, probabilmente anche la maggioranza di chi si considera di sinistra. Le numerose manifestazioni pubbliche e gli appelli dei parenti degli ostaggi – 125 più o meno sarebbero ancora vivi – oltre all’alto numero dei militari uccisi a Gaza e anche al confine con il Libano hanno acceso i fuochi della prossima campagna elettorale.
Netanyahu alla Knesset ha parlato di andare avanti con la guerra per vincere. Il leader dell’opposizione, Yair Lapid, ha subito risposto con toni e parole da battaglia politica ma senza un suo accenno vero a un possibile futuro. Si è limitato a dire che al pubblico deve essere detto – suo parole – che: “Nella prima fase, riporteremo gli ostaggi perché questo è l’obiettivo più urgente. Nella seconda fase, Hamas sarà disarmato. Non solo per la nostra forza militare, ma anche perché abbiamo deciso e definito quale meccanismo dovrebbe prendere il suo posto. Perché non abbiamo solo tattiche ma anche strategia”. Ha aggiunto: “Israele vincerà la guerra, ma la vittoria non sta solo nell’uccidere Sinwar”.
Sembra chiaro, ascoltando le parole dei militari e dei politici, che il conflitto, per ora, va avanti mentre, al massimo, si cerca di impedire il suo allargamento verso Libano e Iran. Dei palestinesi, vivi, morti, feriti, come è accaduto in passato, interessa relativamente poco.