Il gioco delle parti? Un dialogo tra sordi? Un tentativo maldestro di confondere il nemico? Quello regionale, nella vasta area geografica intorno al Vicino Oriente? O quello ancora più pericoloso nelle confuse comunità degli Stati Uniti alla vigilia di una complessa, incerta campagna per le elezioni presidenziali del prossimo novembre?
La nuova visita del segretario di Stato Antony Blinken in Medio Oriente ha prodotto una marea di dichiarazioni, di comunicati, di piccole iniziative israeliane studiate per inviare alla Casa bianca segnali distensivi ma la distruzione di Gaza va avanti, la sua popolazione continua a morire, il numero dei militari israeliani morti nell’invasione della striscia aumenta e il pericolo di un vasto allargamento del conflitto continua ad aumentare.
Il capo della diplomazia USA è stato accolto a Tel Aviv, dove da mesi si azzardano soltanto le compagnie israeliane, da una dichiarazione dell’estremista ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir. “Signor Segretario Blinken, non è il momento di parlare dolcemente con Hamas, è il momento di usare quel grosso bastone”, ha scritto riferendosi a una citazione attribuita al ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt: in politica estera si dovrebbe “parlare dolcemente tenendo in mano un grosso bastone”.
Da due giorni il ministro della difesa israeliano Gallant aveva praticamente risposto picche alle esortazioni della Casa Bianca, spiegando che la guerra andrà a Gaza avanti per un anno almeno. I bombardamenti, saranno forse più mirati, ha spiegato, ma alla popolazione civile palestinese costretta a spostarsi verso il sud della striscia non sarebbe permessa di tornare a ciò che resta delle loro abitazioni se prima non erano tornate a casa tutti gli ostaggi israeliani nella mani dei militanti di Hamas o delle altre organizzazioni terroristiche.
Che ci sia uno scontro all’interno del governo, con il premier Netanyahu apertamente osteggiato da alcuni dei ministri meno estremisti è vero. Ma è vero anche che la stragrande parte della popolazione israeliana appoggia la linea dura nei confronti non solo di Hamas ma anche del popolo palestinese in generale di cui non vede raccontato in tv le sofferenze e la distruzione subito dalle loro città e villaggi nella striscia. E nemmeno le minori devastazioni compiute giorno dopo giorno nei campi profughi della Cisgiordania occupata.
Washington continua a parlare di uno Stato palestinese indipendente accanto a Israele ma pochi in Israele prendono in considerazione la sola ipotesi e al momento guardano con molta incertezza il quadro più vasto, ossia un eventuale attacco preventivo contro Hezbollah in Libano e contro l’Iran. L’arsenale missilistico di Hezbollah è molto più potente di quello che era a disposizione di Hamas e lo scontro diretto con Teheran significherebbe sicuramente il coinvolgimento indispensabile degli Usa. Gli USA continuano a far sapere che Israele uscirebbe molto male da un conflitto allargato e Biden ha sicuramente chiesto a Netanyahu di almeno ridurre la retorica politica sua e degli altri leader israeliani. E di parlare poco dei suoi progetti per un futuro molto incerto della regione compresi la costruzione di nuovi insediamenti da parte di coloni estremisti in Cisgiordania.
In questa direzione – mentre Biden faceva il suo giro di incontri – un portavoce del ministero degli Esteri israeliano ha voluto smentire alcune notizie pubblicate sulla stampa internazionale e sostenere che Israele non sta esplorando attivamente la possibilità di trasferire i palestinesi dalla Striscia di Gaza a Paesi africani, contrastando le recenti pubblicazioni. La dichiarazione diceva: “Va notato che Israele non è impegnato nell’esame della fattibilità del trasferimento dei palestinesi dalla Striscia di Gaza ai paesi dell’Africa”.