Nella patria dell’obesità la salvezza può arrivare dalla dieta mediterranea. Certo, la soluzione oggi non è alla portata di tutti, ma i principi che guidano questo tipo di alimentazione possono essere applicati con una certa facilità. Senza dire che sempre questo tipo di alimentazione può costituire una risposta concreta per la prevenzione delle malattie non trasmissibili (NCDs). Certo, ci vogliono educazione e informazione. A dirlo sono gli agricoltori italiani di Coldiretti che hanno preso parte a un incontro multilaterale delle Nazioni Unite a New York, nell’ambito del processo preparatorio per il quarto incontro ad alto livello dell’Assemblea Generale sulla prevenzione e il controllo delle NCDs e la promozione della salute mentale e del benessere.
Stando ai dati più recenti, negli USA quasi 3 adulti su 4 sono obesi o comunque in sovrappeso. E non solo, secondo quanto indicato da Luigi Scordamaglia – responsabile internazionalizzazione mercati e politiche europee di Coldiretti e amministratore delegato di Filiera Italia – che è intervenuto all’incontro in rappresentanza della filiera agroalimentare italiana, “entro il 2035, si prevede che l’impatto dell’obesità sull’economia globale raggiungerà la cifra di 4,32 trilioni di dollari, quasi il 3% del PIL globale con la possibile implosione dei sistemi sanitari nazionali di diversi Paesi”. Un disastro annunciato perché, dice Scordamaglia a La Voce di New York, “per la prima volta ci troviamo di fronte alla possibilità di invertire la tendenza dell’aspettativa di vita che nelle nuove generazioni potrebbe tornare a ridursi per l’anticipazione in individui più giovani di molte patologie”.
Quindi che fare? Scordamaglia sottolinea: “Orientare le scelte dei consumatori attraverso la coercizione piuttosto che attraverso l’educazione non ha funzionato. Non hanno nemmeno funzionato misure fiscali restrittive basate su singoli nutrienti, e nemmeno etichettature tipo Nutriscore, che addirittura hanno finito per penalizzare alimenti tradizionali e sani ed avvantaggiare alimenti ricchi di chimica (penalizzando un prodotto come l’olio d’oliva e avvantaggiando invece prodotti come coke light o snack dannosi)”. Una strada possibile, invece, potrebbe essere quella della dieta mediterranea che non è solo una semplice dieta. Ancora Scordamaglia precisa: “La dieta mediterranea, come altre analoghe a essa per tradizione nel mondo, non rappresenta solo un insieme di istruzioni nutrizionali ma un metodo di vita, adattabile a culture e aree geografiche diverse attraverso l’utilizzo di alimenti locali e stagionali prodotti in territori unici e distintivi grazie a una straordinaria biodiversità tutelata dagli agricoltori”. Certo, un’impresa complessa da realizzare, soprattutto in alcune aree geografiche. Torna poi il tema di prima: l’educazione. E quindi le famiglie e i comportamenti alimentari oltre che le scuole. Tutti aspetti che negli USA potrebbero essere ampiamente sviluppati, ma che si scontrano con abitudini alimentari del tutto diverse.
Tornare alle abitudini alimentari delle popolazioni che, nel tempo, sono arrivate negli States. Potrebbe essere questa un’indicazione da seguire. Il messaggio che i coltivatori lanciano all’ONU è comunque chiaro: “Adottare – spiega Scordamaglia – un’alimentazione sana, varia, equilibrata e che segua modelli dietetici validi sul piano scientifico e incardinati, per quanto possibile, su una diversità di alimenti, compresi quelli coltivati localmente e prodotti in modo sostenibile”. Appunto, con la dieta mediterranea come modello da seguire. Scordamaglia indica alcuni strumenti come particolari “meccanismi di premialità” per chi adotta un’alimentazione equilibrata e il contenimento del consumo di cibi ultra-formulati (cioè quelli frutto di preparazioni/formulazioni che combinano a volte anche decine di ingredienti chimici). E per far capire meglio fa un esempio: in uno studio sulla mortalità di adulti statunitensi di età superiore ai 20 anni, è stato scoperto che i maggiori consumatori di cibi ultra-formulati avevano un rischio maggiore del 31% di mortalità per tutte le cause. Ma su tutto conta l’informazione corretta. “I coltivatori in Italia – dice Scordamaglia – hanno fatto dell’educazione alimentare e della valorizzazione dell’alimentazione equilibrata due cavalli di battaglia ormai irrinunciabili. E siamo pronti, come già in alcuni casi facciamo, a promuoverli anche in altri Paesi”.