Un momento di profonda emozione ha attraversato oggi il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quando Noa Argamani, ex ostaggio israeliana di Hamas, ha preso la parola per raccontare il dramma vissuto durante la sua prigionia e lanciare un accorato appello alla comunità internazionale.
Argamani, rapita il 7 ottobre 2023 durante il massacro al festival musicale Nova nel sud di Israele, è stata liberata nel giugno 2024 grazie a un’operazione militare israeliana. Ma il suo compagno, Avinatan Or, è ancora nelle mani dei terroristi. Davanti ai diplomatici di tutto il mondo, Noa ha raccontato il suo calvario e quello di decine di ostaggi ancora prigionieri.
“So cosa significa sentirsi dimenticata, abbandonata dal mondo” – ha dichiarato con voce spezzata dall’emozione – “mentre parlo, 63 ostaggi stanno ancora vivendo questo incubo, tra cui il mio compagno. Questo accordo deve essere rispettato fino in fondo, in tutte le sue fasi”.
Nel suo discorso, Argamani ha raccontato alcuni dei momenti più terribili della sua prigionia, tra cui un attacco aereo che ha colpito la casa in cui era rinchiusa. “Non potevo muovermi, non potevo respirare… ho pensato che fossero i miei ultimi istanti di vita.” Ha anche denunciato la totale assenza di cure mediche da parte dei suoi carcerieri, sottolineando le condizioni disperate in cui si trovano ancora oggi gli ostaggi.
Argamani ha descritto il dolore devastante di vedere altri ostaggi venire rilasciati mentre lei restava prigioniera: “Non posso nemmeno descrivere la sensazione di essere lasciata indietro. Ma so che è esattamente ciò che stanno provando oggi gli ostaggi ancora detenuti. Si sentono abbandonati dal mondo.”
Il suo appello è stato chiaro e potente: “Senza un’azione immediata, altre persone innocenti moriranno. Tra loro potrebbe esserci il mio compagno, Avinatan.”
Le sue parole, cariche di dolore e determinazione, hanno scosso il Consiglio di Sicurezza e messo sotto i riflettori il dramma umano dietro al conflitto. Noa Argamani ha trasformato la sua sofferenza in un appello accorato affinché i leader mondiali agiscano con urgenza. “Abbiamo il dovere di riportare a casa ogni ostaggio. Il mondo non può voltarsi dall’altra parte”. Noa ha poi ripetuto il sul appello davanti ai giornalisti allo stake-out del Consiglio di Sicurezza.
Le sue parole hanno riportato al centro del dibattito la fragile tregua in corso tra Israele e Hamas e il difficile processo per il rilascio degli ostaggi ancora trattenuti a Gaza.
L’ambasciatore israeliano all’ONU, Danny Danon, ha ribadito l’urgenza di liberare tutti gli ostaggi, sostenendo con forza l’appello di Argamani. “La testimonianza di Noa è un monito per tutti noi: il Consiglio di Sicurezza deve agire affinché ogni ostaggio torni a casa e affinché si possa finalmente costruire una pace duratura”.
Di contro, l’ambasciatore palestinese, Riyad Mansour, pur esprimendo solidarietà per le sofferenze individuali, ha sottolineato la necessità di affrontare le cause profonde del conflitto. “Riconosciamo il dolore di tutti coloro che sono stati colpiti, ma una pace duratura non potrà mai esistere senza giustizia e senza la fine dell’occupazione” – ha affermato Mansour, in un intervento che ha suscitato reazioni contrastanti.

Mansour ha mostrato la fotografia della piccola Hind Rajab, una bambina di cinque anni tragicamente uccisa nel conflitto. Stringendo l’immagine tra le mani, Mansour ha raccontato con voce tremante le circostanze strazianti della sua morte: “Hind stava viaggiando con la sua famiglia, cercando di sfuggire alla violenza, quando la loro auto è stata colpita dal fuoco israeliano. Intrappolata, terrorizzata, è morta accanto ai suoi cari”.
L’ambasciatore palestinese ha sottolineato il devastante costo umano delle ostilità, esortando il Consiglio a riconoscere la sofferenza di tutti i civili coinvolti. “I nostri bambini meritano compassione e solidarietà. Non sono meno degni della vostra indignazione per la loro uccisione e il trattamento disumano che subiscono”.

Daniel Levy, Presidente del U.S./Middle East Project, è intervenuto al Consiglio sottolineando la necessità di affrontare le disparità di potere tra israeliani e palestinesi per ottenere progressi concreti. “Qualsiasi tentativo di riprendere i negoziati tra le parti senza affrontare le asimmetrie di potere è un esercizio vuoto e ridondante.” Levy ha inoltre evidenziato l’importanza della giustizia nella risoluzione del conflitto, affermando che l’attuale condizione di spossessamento e la negazione dei diritti fondamentali ai palestinesi minano ogni possibilità di sicurezza sostenibile. “La spoliazione permanente e la negazione dei diritti e delle libertà più basilari al popolo palestinese non saranno mai una ricetta per raggiungere una sicurezza duratura.”
La coordinatrice speciale dell’ONU per il processo di pace in Medio Oriente, l’ex ministro degli Esteri olandese Sigrid Kaag, ha messo in guardia contro il rischio di una ripresa delle ostilità. “Il trauma di questa guerra è devastante per entrambe le parti. La tregua è fragile e la sua prosecuzione è essenziale non solo per motivi umanitari, ma anche per preservare ogni possibilità di dialogo e pace”.
Intanto, l’ambasciatrice Dorothy Shea, incaricata d’affari statunitense all’ONU (la missione degli USA resta in attesa di Elise Stefanik), ha ribadito con fermezza la posizione americana. “Hamas deve essere eliminato” – ha dichiarato Shea. “Ogni piano di ricostruzione di Gaza deve garantire che Hamas venga completamente rimosso dal potere e che sia chiamato a rispondere per il massacro del 7 ottobre.”
La tregua, in vigore dal 19 gennaio 2025, ha già permesso la liberazione di decine di ostaggi israeliani in cambio della scarcerazione di centinaia di prigionieri palestinesi. Tuttavia, la fase successiva dell’accordo resta ancora in bilico: Hamas rifiuta di proseguire le trattative senza il rilascio di 600 prigionieri palestinesi, mentre Israele frena, esprimendo preoccupazione per la sicurezza degli ostaggi rimasti.
L’impasse potrebbe compromettere la fragile tregua, alimentando il timore di una nuova escalation di violenze.

Mentre il Consiglio di Sicurezza discute il destino della tregua, la popolazione di Gaza continua a vivere in condizioni disperate. Dopo mesi di bombardamenti, la Striscia è ridotta in macerie, con oltre 48.000 vittime palestinesi secondo le autorità locali. Le agenzie umanitarie dell’ONU denunciano una crisi senza precedenti, con centinaia di migliaia di sfollati e infrastrutture completamente distrutte.
“Ho visto con i miei occhi la devastazione totale di Gaza,” ha dichiarato Kaag, “l’assistenza umanitaria deve essere garantita senza ostacoli, mentre si lavora per un accordo politico che possa portare stabilità e sicurezza a entrambi i popoli”. Kaag ha esortato i membri del Consiglio a garantire che Gaza rimanga parte integrante di un futuro Stato palestinese e che l’enclave sia unificata politicamente, economicamente e amministrativamente con la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est. Allo stesso tempo, ha sottolineato che non dovrebbe esserci una presenza militare israeliana a lungo termine a Gaza, pur riconoscendo la necessità di rispondere alle legittime preoccupazioni di sicurezza di Israele.
“Dobbiamo impegnarci a porre fine all’occupazione e a trovare una soluzione definitiva al conflitto basata sulle risoluzioni dell’ONU, sul diritto internazionale e sugli accordi precedenti”, ha affermato Kaag, delineando quattro priorità. Tra queste, la necessità di sostenere l’accordo di cessate il fuoco garantendo contemporaneamente il rilascio di tutti gli ostaggi e prevenendo un’escalation di violenza in Cisgiordania, dove la situazione sta rapidamente peggiorando.
Un’altra priorità è la riforma dell’Autorità Palestinese, che governa la Cisgiordania, per chiarire il suo ruolo nella gestione di Gaza nel periodo post-bellico. Ha inoltre sottolineato la necessità di mobilitare sostegno finanziario e politico per la ricostruzione dell’enclave devastata dal conflitto.
Kaag ha accolto con favore il rilascio di 30 cittadini israeliani e stranieri detenuti a Gaza, oltre alla restituzione dei corpi di quattro ostaggi deceduti. Tuttavia, ha ribadito che “tutti gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas devono essere rilasciati immediatamente e senza condizioni.” Ha inoltre condannato il trattamento riservato ai prigionieri da parte di Hamas, denunciando abusi, detenzioni forzate e umiliazioni pubbliche sotto costrizione. Ha richiesto con urgenza che il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ottenga accesso immediato ai prigionieri ancora trattenuti.

Sul versante palestinese, Kaag ha evidenziato il rilascio di 1.135 prigionieri e detenuti palestinesi, pur esprimendo preoccupazione per le segnalazioni di maltrattamenti durante la detenzione. Fornendo un aggiornamento sulla situazione umanitaria, ha evidenziato che la consegna di aiuti è aumentata dal cessate il fuoco del 19 gennaio, con l’avvio delle prime evacuazioni mediche da Gaza all’Egitto a partire dal 1° febbraio. “La ripresa delle ostilità deve essere evitata a tutti i costi. Esorto entrambe le parti a rispettare pienamente gli impegni presi nell’accordo di tregua e a concludere rapidamente i negoziati per la seconda fase.”
Sottolineando l’enorme devastazione dell’enclave, Kaag ha citato una valutazione congiunta della Banca Mondiale, dell’UE e dell’ONU, secondo la quale saranno necessari almeno 53 miliardi di dollari per la ricostruzione di Gaza. Gli Stati arabi stanno guidando i negoziati per la ricostruzione, con l’Egitto pronto a ospitare una conferenza internazionale sul tema. “Le Nazioni Unite sono pronte a sostenere gli sforzi di ricostruzione. I civili palestinesi devono poter riprendere le loro vite, ricostruire le proprie case e costruire un futuro a Gaza. Non ci deve essere alcuna ipotesi di trasferimenti forzati della popolazione.”
Sebbene l’attenzione internazionale sia focalizzata su Gaza, Kaag ha avvertito che la situazione in Cisgiordania sta peggiorando rapidamente. Le operazioni militari israeliane, la violenza dei coloni e le severe restrizioni ai movimenti stanno alimentando nuove tensioni. “Sono profondamente allarmata dall’uccisione di una donna incinta e di bambini durante queste operazioni. Episodi simili devono essere indagati a fondo e i responsabili devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni.” Ha inoltre riferito che Israele ha approvato piani per la costruzione di 2.000 nuove unità abitative negli insediamenti, accelerando gli sfratti e le demolizioni di abitazioni palestinesi. “Questi sviluppi, insieme ai continui appelli all’annessione, rappresentano una minaccia esistenziale alla possibilità di uno Stato palestinese vitale e indipendente e, di conseguenza, alla soluzione dei due Stati”, ha avvertito Kaag.
Il suo intervento – che ha riassunto poi davanti ai giornalisti rispondendo anche a delle domande – ha posto una domanda cruciale al Consiglio di Sicurezza: la comunità internazionale è pronta a intraprendere le azioni necessarie per evitare una nuova esplosione di violenza e garantire finalmente un futuro di pace e sicurezza per entrambi i popoli?
Tuttavia, la sessione del Consiglio ha messo in luce quanto la strada verso una pace duratura sia ancora disseminata di ostacoli politici e diplomatici. La comunità internazionale si trova ora di fronte a una scelta cruciale: limitarsi a gestire la crisi nell’immediato o lavorare per un accordo che possa garantire una pace stabile e duratura. L’intervento di Noa Argamani ha dato un volto umano alla crisi, riportando al centro del dibattito la necessità di un’azione concreta per il rilascio degli ostaggi e la protezione della tregua.
Mentre il mondo osserva con il fiato sospeso, una certezza resta: il tempo per gli ostaggi ancora prigionieri, come spesso ripete il presidente degli USA Donald Trump, sta per scadere.