Karim Khan, Procuratore della Corte Penale Internazionale (ICC, CPI in italiano) ha esortato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad agire con decisione per affrontare le atrocità in peggioramento nella regione del Darfur in Sudan. La violenza in Darfur ha sfollato migliaia di famiglie e devastato la regione, con infrastrutture civili vitali attaccate, civili uccisi e comunità che soffrono fame e malattie.
Durante un briefing tenuto lunedì sera con i quindici ambasciatori, Khan ha sottolineato l’urgente necessità di giustizia e responsabilità mentre aumentano la violenza e le sofferenze umanitarie. “La criminalità sta accelerando in Darfur. I civili sono presi di mira, donne e ragazze sono vittime di violenze sessuali e intere comunità sono lasciate nella distruzione,” ha dichiarato. “Questa non è solo una valutazione; è un’analisi precisa basata su prove verificate”.

La gravità della situazione nella regione è stata sottolineata dal Segretario Generale dell’ONU António Guterres, che ha condannato “fermamente” l’attacco “spaventoso” all’ospedale principale di El-Facher, la capitale del Darfur, che avrebbe causato la morte di 70 persone venerdì. “Questo orribile attacco, che ha colpito l’unico ospedale ancora operativo nella città più grande del Darfur dopo oltre 21 mesi di guerra, ha lasciato il sistema sanitario del Sudan a pezzi”, ha affermato il portavoce del segretario generale, Stéphane Dujarric. Guterres ribadisce che, “secondo il diritto internazionale umanitario, i feriti e i malati, così come il personale e le strutture mediche, devono essere rispettati e protetti in ogni momento” e chiede che i responsabili di tali violazioni siano chiamati a risponderne. Il Segretario Generale ha ribadito che il diritto umanitario internazionale impone la protezione delle strutture mediche e del personale, e che il deliberato attacco a tali strutture potrebbe costituire un crimine di guerra. Guterres ha inoltre rinnovato il suo appello per un’immediata cessazione delle ostilità e un dialogo politico inclusivo e sostenibile per porre fine al conflitto.
Khan ha esortato il Consiglio di Sicurezza a rinnovare il proprio impegno verso i principi delineati nella risoluzione 1593, adottata 20 anni fa, che ha deferito la situazione in Darfur alla CPI. “Sentiamo quegli echi che hanno portato al deferimento iniziale,” ha detto, avvertendo che una nuova generazione sta subendo le stesse atrocità vissute dai loro genitori.
Il Procuratore della CPI ha annunciato che il suo ufficio sta preparando richieste per nuovi mandati di arresto legati a presunti crimini commessi nel Darfur Occidentale sottolineando che queste richieste procederanno solo con prove solide per garantire una prospettiva realistica di condanna, rafforzando l’impegno della CPI verso la giustizia per le vittime.
Khan ha inoltre sottolineato la necessità di una maggiore cooperazione nel trasferimento dei latitanti della CPI, inclusi l’ex presidente Omar al-Bashir e altri alti funzionari accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Il Procuratore della CPI ha poi dipinto un quadro cupo del panorama umanitario e di sicurezza in Darfur. “Le stesse comunità prese di mira 20 anni fa stanno soffrendo ancora oggi, con crimini utilizzati come armi di guerra,” ha dichiarato, sottolineando che tali atti violano il diritto umanitario internazionale e richiedono un’immediata cessazione della violenza.
Khan ha anche evidenziato l’importanza del processo presso la CPI contro Ali Muhammad Ali Abd-Al-Rahman, noto anche come Ali Kushayb, per crimini commessi nel 2003 e 2004. Questo processo ha mostrato al popolo del Darfur che non sono stati dimenticati e che “non sono stati cancellati dalla coscienza pubblica,” ha detto Kahn, elogiando gli sforzi fatti dagli stessi abitanti del Darfur per garantire giustizia e responsabilità.
Khan ha concluso sottolineando la responsabilità morale e legale della comunità internazionale di garantire giustizia. “Il popolo del Darfur è in pericolo e ha diritto alla giustizia. È tempo di mantenere la promessa della risoluzione 1593. È tempo che tutti noi, collettivamente, uniamo le forze e realizziamo quella promessa per prevenire questo costante ciclo di disperazione che le generazioni del Darfur hanno sofferto”.