Giovedì sera, il Consiglio di Sicurezza si è riunito a porte chiuse per consultazioni sul Sudan. Ha partecipato alla riunione il direttore della Divisione Operazioni dell’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), Edem Wosornu.
Quando l’ambasciatore sloveno Samuel Zbogar, presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, è uscito dalla riunione a porte chiuse, si è fermato allo stake-out dai giornalisti, subito precisando che avrebbe parlato nelle sue “capacità nazionali”, come per avvertire che quel poco che avrebbe riferito non poteva essere attribuito al pensiero del Consiglio di Sicurezza.
“Volevo informarvi sulle consultazioni che abbiamo avuto sul Sudan, il direttore Wosornu ci ha informato soprattutto sulla situazione umanitaria. Credo che la maggioranza dei membri del Consiglio abbiano riconosciuto e accolgano con favore la decisione delle autorità sudanesi ad aprire il valico di passaggio umanitario, qualcosa per cui il Consiglio di sicurezza ha fatto appelli per mesi, anche nelle sue risoluzioni. Accogliamo favorevolmente che le autorità sudanesi alla fine tengano aperto il valico per la consegna di aiuti umanitari (….) Ci sono ancora enormi bisogni per milioni di persone in Sudan, che soffrono la scarsità di cibo. Sette milioni di persone stanno morendo di fame… quindi i problemi non sono finiti, ma almeno ce l’abbiamo fatta ad avere l’accesso che consente di (far arrivare gli aiuti ) alle persone bisognose”.

Quindi l’ambasciatore Zbogar, anche se parlava nella sua “national capacity”, ha detto che “la maggioranza dei Consiglio esprime il sostegno per gli sforzi in corso per aiutare le parti a iniziare a discutere del cessate il fuoco e di un accordo…. Per trovare una soluzione per fermare il conflitto in Sudan. Abbiamo anche diversi membri, che esprimono preoccupazione per l’interferenze esterne che sono ancora un problema e comunque è importante per il consiglio per mantenere la pressione o per richiamare gli attori stranieri a fermarsi dall’interferire nel conflitto”.
Infine, dopo ave menzionato gli sforzi della mediazione in corso portata avanti da Stati Uniti e Svizzera, l’ambasciatore sloveno ha ammesso che bisogna “migliorare il coordinamento di tutte queste mediazioni e sforzi in corso”.

Possiamo solo immaginare cosa il rapporto di Wosornu abbia riferito nei dettagli. Il conflitto in corso tra le Forze armate sudanesi (SAF) e le Forze di supporto rapido (RSF), iniziato nell’aprile 2023, ha innescato infatti una devastante crisi umanitaria in Sudan, caratterizzata da vittime civili, sfollamenti di massa, gravi carenze alimentari e idriche, e il collasso dell’assistenza sanitaria e dei servizi essenziali. La guerra ha causato lo sfollamento di circa 10,4 milioni di persone, 2,2 milioni delle quali hanno cercato rifugio nei paesi vicini al Sudan, Repubblica Centrafricana (CAR), Ciad, Egitto, Etiopia, Libia, Sud Sudan e Uganda, rendendola la più grande crisi di rifugiati del mondo. Allo stesso tempo, circa 25,6 milioni di persone si trovano ad affrontare livelli acuti di insicurezza alimentare, con 14 aree in nove stati identificate a rischio di carestia.
Intanto, come se non bastasse la tragedia portata dalla guerra nel Nord, delle alluvioni stanno devastando anche le regioni del sud Sudan e l’emergenza riguarda, al momento, più di 700 mila persone. L’ONU riferisce che le sue forze di pace stanno costruendo barriere per proteggere infrastrutture chiave come il principale ospedale dell’area. La situazione più drammatica è a Pibor, vicino al confine con l’Etiopia.