“Volevamo divertirci, abbiamo esagerato”. Sara Errani sorride a tutti, stringe mani, bacia gli amici in tribuna, abbraccia suo fratello e il padre di Andrea Vavassori nel box tricolore. È lei la più felice per il trofeo appena conquistato nell’Arthur Ashe Stadium ai danni degli americani Donald Young e Taylor Towsend, a capo di due set sul filo: 7-6, 7-5 è lo score di una partita risolta solo sotto lo striscione. La vittoria vale un pezzetto di storia, perché è la prima volta che una coppia tutta italiana entra nell’albo d’oro del doppio misto in uno Slam. Vavassori più Errani, il gigante e la veterana che pare una bambina piccola com’è. E pensare che questa squadra non esisteva a inizio anno: s’è formata per vedere l’effetto che fa in coincidenza delle Olimpiadi. Poi a New York è arrivato un titolo che vale l’intera carriera.
La seconda vita dell’emiliana, 37 anni, ha trovato conferma in un mese di pura magia: prima l’oro ai Giochi di Parigi con Jasmine Paolini e stavolta l’US Open. Numero 5 del mondo in singolare come best ranking, Errani è ancora, e sempre, sul campo a tastare il polso delle nuove generazioni. È curioso il modo in cui Nostra Signora delle racchette guarda le ragazzine terribili tutte uguali, macchine sparapalle e poco altro, dall’alto delle undici finali Slam collezionate in carriera: cinque le ha vinte con Roberta Vinci, la sesta oggi al fianco di Vavassori. Il piemontese, 28 anni, è un ragazzone modesto e coraggioso, padrone assoluto della rete e dintorni. Sembra un fante che si sporge senza elmetto da una trincea della Grande Guerra, a fronteggiare eroicamente il fuoco nemico. In questa stagione irripetibile è arrivato finalmente al tesoro a lungo inseguito con Simone Bolelli, dopo averlo sfiorato in Australia e a Parigi. Il tandem uomo-donna ha funzionato a meraviglia. L’uno ha sorretto l’altra e viceversa, perché — hanno sottolineato nel dopopartita — due amici sono tali nella buona e cattiva sorte. “Accidenti Sara, come stai rispondendo”, “Andrea sei un muro a rete, qui non passa nessuno”: l’energia è il frutto della passione, chi sbaglia divide l’errore con il partner senza alcuna recriminazione. È questo il segreto, se ce n’è uno.
Il match è stato molto complicato. Donald Young e Taylor Townsend si conoscono da bambini e giocano a memoria. Lui, eterna promessa statunitense schiacciata dalle aspettative, era all’ultimo giro di giostra: ha detto basta a 35 anni dopo una vita da mediano e un viaggio che l’ha portato fino al best ranking 38. Un traguardo più che discreto, eppure inferiore al valore potenziale di uno che era stato campione del mondo tra gli juniores. Da adulto, invece, poche luci e molte zone buie, strisce di sconfitte rovinose, infortuni, sfiducia, un malinconico declino. “Sono felice di questa decisione — ha spiegato — è arrivato il momento di smettere. Vincere a Flushing Meadows sarebbe stata una favola, pazienza. Ora mi dedicherò a tempo pieno al picklerball”. Una disciplina a metà tra padel e volano, utilissima ad avviare i bambini allo sport e capace di attirare ex campioni in disarmo.
“Quando tornava vincitore dai tornei gli chiedevo di farmi toccare la coppa. Se sono diventata una giocatrice di tennis è grazie al suo esempio”, ha raccontato la compagna di viaggio Taylor Townsend, sette anni meno di lui. Entrambi nati a Chicago, sono stati allenati dai genitori di Donald che gestivano un centro tennis ad Atlanta: destrimane, lei è stata impostata come mancina proprio da mamma Young. Mancino è anche Donald e insieme rappresentano un unicum nelle formazioni di doppio misto. Potenza unita a una mano delicata, Townsend sta vivendo la sua miglior stagione: è entrata tra le prime 50 in singolare e s’è presa Wimbledon in coppia con Siniakova, altra specialista. “Avrei voluto vincere qui anche perché ero l’unica nera rimasta in gara”, ha confessato orgogliosa durante la premiazione. L’amico di sempre era tornato in servizio per lei, e per salutare il suo pubblico, a un anno esatto dall’ultima partita disputata a Charleston. Non è bastato.
Taylor ci credeva a giusta ragione. Lei e Don si erano sbarazzati in volata dei campioni in carica Heliovaara-Danilina, mentre gli italiani avevano passato il primo turno col brivido di un match point annullato. La partita si è snodata in equilibrio perfetto, seguendo l’ordine dei servizi fino al sei pari del primo set. Un tiebreak da fantascienza ha mandato in orbita la coppia azzurra, letteralmente decollata una prodezza dopo l’altra. Inermi e storditi, gli avversari sono così affondati dentro un rovinoso 7-0. Sullo slancio i nostri hanno fatto il vuoto salendo 4-1 nel set successivo. A quel punto l’inatteso colpo di coda degli statunitensi, abili a ricucire lo strappo impattando sul 5-5 finché è salita in cattedra la professoressa Sara, che conosce a memoria il manuale del buon tennista. Il game di servizio vinto a zero ha spostato tutto il peso su Townsend, che ha ceduto di schianto: 7-5 rapido ed è cominciata la festa. Si tratta del sedicesimo titolo conquistato dal tennis azzurro nell’avventurato 2024. Dietro le punte Sinner e Paolini, dietro Errani e Berrettini ci sono tanti giovani prospetti che premono per scalare la classifica. I vecchi padroni del vapore, spodestati, bussano alla porta e domandano: come avete fatto? Incredibile ma vero, il sistema Italia funziona e fa scuola.