Anche alle Nazioni Unite bisogna che tutto cambi affinché tutto rimanga com’è? Il Palazzo di Vetro a New York assume forme “gattopardesche” quando si discute (da 30 anni!) di riformare il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ci sono diverse e opposte proposte per cambiare l’organo che quando funziona è il più potente dell’istituzione multilaterale, ma alla fine di annose e intense discussioni, tra commissioni e anche voti in Assemblea Generale, tutto resta immutato.
Quindi ecco un Consiglio di Sicurezza composto da 15 membri di cui cinque sono permanenti con diritto di veto (USA, Russia, Cina, Francia e UK, chiamati anche P5) che dal 1945 godono dello status, tra gli attuali 193 paesi dell’ONU, di essere membri “più uguali degli altri”. Agli altri dieci membri non permanenti ma eletti nel Consiglio per due anni dall’Assemblea Generale (5 paesi ogni anno divisi per continenti), resta il diritto di votare e presentare le risoluzioni al Consiglio di Sicurezza, che si approvano con nove voti in mancanza di veto, che corrisponde al voto negativo di uno dei P5. Questi possono anche astenersi, facendo approvare una risoluzione se riceve almeno nove “sì”, come è accaduto pochi giorni fa con gli USA. Ma agli E10 (i dieci eletti) tocca subire lo status dei P5, equivalente a quello del “bullo” che annulla ogni sforzo per approvare l’unica risoluzione “binding” (vincolante) dell’ONU, anche quando l’arroganza resta isolata dal voto positivo degli altri quattordici.

Ad ogni apertura di Assemblea Generale a settembre (ora siamo alla 78esima) si annuncia che questa è la volta buona per la riforma del Consiglio di Sicurezza, che deve andare avanti, perché non si può più farne a meno, l’ONU sta perdendo credibilità, così com’è non funziona più, è solo un retaggio degli equilibri usciti dalla Seconda Guerra Mondiale, funzionò durante la Guerra Fredda ma adesso si blocca… e così via.
Ci sono diversi gruppi di paesi “alleati” dietro a proposte di riforma, con i P5 che mostrano buon viso al monotono gioco degli altri 188, e ogni tanto dicono a parole di favorire un progetto di riforma su un altro (soprattutto le P2 più in colpa di esserlo ancora permanenti, Francia e UK), ma nei fatti alla fine ai P5 conviene che rimanga tutto com’è.
Ci sono invece quattro paesi che non vogliono più perder tempo: sono il più popoloso della terra, l’India, il più grande del Sud America, il Brasile e due tra le maggiori potenze economiche del G7, Germania e Giappone, che da un quarto di secolo sono i più attivi nel cercare di sfatare all’ONU la maledizione del Gattopardo. Questi spingono per una riforma che possa aprire anche a loro il “Paradiso” dell’ONU, mantenendo ovviamente tutti gli altri all’inferno: quindi aumentare i seggi permanenti del Consiglio di Sicurezza da 5 a 10, con la loro entrata + un paese africano (l’Unione africana, che però ne vorrebbe due, sarebbe l’incaricata di decidere quale). Germania e Giappone, per addolcire la pillola ai P5, si accontenterebbero anche solo dei seggi permanenti senza diritto di veto. L’India, come il Brasile, (e anche l’Africa), invece rilanciano: o il veto si annulla per tutti, o anche loro pretenderebbero col seggio permanente di averne il diritto.

Questa lunga premessa è necessaria per poter spiegare al lettore scopi e funzione della conferenza organizzata l’8 aprile dalla missione italiana alle Nazioni Unite, che per coincidenza si è svolta nello stesso pomeriggio in cui a New York avveniva l’eclissi di sole quasi totale. L’Italia, in questi anni, ha fatto eclissare più volte le speranze dei G4 (il gruppo dei grandi 4, India, Giappone, Germania e Brasile), fin dai tempi del leggendario ambasciatore Francesco Paolo Fulci (capo missione all’ONU quasi 30 anni fa!), riuscendo a bloccare ogni tentativo di riforma del Consiglio di Sicurezza che prevedeva un aumento dei seggi permanenti (con o senza diritto di veto). I diplomatici italiani sono riusciti in tutti questi anni nel loro scopo, adottando una strategia non soltanto difensiva, ma rilanciando in contropiede con una proposta di riforma di allargamento del Consiglio di Sicurezza “più democratica”. Questa è stata portata avanti con i suoi sostenitori all’ONU per la riforma (che sono tantissimi, tra cui i più “militanti” sono Pakistan, Colombia, Argentina, Messico, Corea del Sud, Spagna, Canada, Turchia). Questo gruppo di riforma che l’Italia guida ormai da un quarto di secolo, si chiama “Uniting for Consensus”, UfC (prima si chiamava “Coffe club”, dall’invito al caffé che l’amb. Fulci faceva agli ambasciatori per poi convincerli a bloccare la riforma del cosiddetto “quick-fix”, cercato invece da tedeschi e giapponesi…).

La proposta dell’Italia e del suo gruppo “Uniti per il consenso”, ormai nelle sue ultime varianti, prevede un allargamento da 10 a 21 membri non permanenti del Consiglio, con più seggi riservati in proporzione ai paesi africani, con anche seggi di più lunga durata dei due anni (si può restare nel Consiglio per più mandati di seguito fino 6 anni ma sempre attraverso la riconferma democratica dell’Assemblea) e soprattutto alzando un muro contro ogni tentativo di riforma che aumenti i seggi permanenti. Nel suo modello, l’UfC suggerisce che anche i 5 membri permanenti accettino di non esercitare il loro veto in casi specifici, come “atrocità di massa e crimini di guerra” (questa è una proposta già portata avanti da uno dei P5, la Francia).
La tavola rotonda interattiva sul tema della riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che si è tenuta lunedì, era intitolata “La riforma delle Nazioni Unite: fare il punto e guardare avanti”. All’evento, organizzato dal’Italia in collaborazione con la Foreign Policy Association e UNITAR (Istituto ONU per la Formazione e la Ricerca), hanno partecipato oltre 200 tra diplomatici delle varie missioni, funzionari ONU, rappresentanti di ONG e della società civile, e giornalisti anche collegati alla video-diretta.
🇺🇳 Security Council reform: Uniting for Consensus proposal, quickly explained 🇦🇷🇨🇦🇨🇴🇨🇷🇮🇹🇲🇹🇲🇽🇵🇰🇰🇷🇸🇲🇪🇸🇹🇷 pic.twitter.com/NNVKGy2gmK
— Italy UN New York (@ItalyUN_NY) March 25, 2024
In apertura dei lavori, il Rappresentante Permanente d’Italia all’ONU, l’Ambasciatore Maurizio Massari, ha sottolineato come “a quasi ottant’anni dalla nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, la riforma del suo Consiglio di Sicurezza è un tema non più procrastinabile che vede impegnati tutti gli Stati membri, con l’Italia in prima linea. Il moltiplicarsi delle crisi e dei conflitti che è purtroppo sotto gli occhi di tutti, implica una nostra urgente responsabilità collettiva nel rendere il Consiglio davvero all’altezza del suo mandato”.
L’evento è stato moderato dallo storico americano Stephen Schlesinger (autore di “Act of Creation”, un celebre libro sulla nascita delle Nazioni Unite) e ha visto fra i suoi relatori l’Ambasciatore Volkan Bozkir, già Presidente della 75ma sessione dell’Assemblea Generale ONU, Solomon Derrso, Direttore fondatore della Amani Africa Media and Research Services, Michael Doyle, Professore alla Columbia University e già Assistant Secretary-General ONU per la pianificazione delle politiche.
Tra i numerosi interventi, oltre a quello dell’ambasciatore pakistano Munir Akram che con Fulci era l’animatore del “coffe club” precursore di “Uniting for Consensus”, ha destato particolare attenzione quello dell’ambasciatrice dell’India Ruchira Kamboj. La diplomazia indiana da tempo spinge per allargare la proposta dei G4, con due seggi permanenti anche per l’Africa, anche perché una riforma senza l’appoggio del blocco dei paesi africani non avrebbe speranze di passare dall’Assemblea Generale (serve la maggioranza dei 2/3). L’India si presenta così come la paladina del Sud del mondo, e per esempio il suo supporto è stato fondamentale per portare l’Unione africana nel G20.
Nuova Delhi propone ora un modello di riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a nome degli Stati del G4, che aumenti i membri da 15 a 25-26, con 6 nuovi membri permanenti e 4 o 5 non permanenti. L’India, in questa continua pressione per una riforma che la promuova a membro permanente, ha ricevuto finora segnali positivi da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e persino dalla Russia. Finora è la Cina – storica rivale in Asia – che non si è pronunciata sulla riforma voluta dai G4, semmai i diplomatici di Pechino hanno fatto capire pubblicamente di tenere in alta considerazione la riforma del gruppo guidato dall’Italia, Uniting for Consensus.
Alla conferenza di lunedì, abbiamo ascoltato con particolare attenzione l’intervento dell’ambasciatrice indiana Kamboj, perché il più o meno avanzamento nel processo di riforma cercato dal gigante indiano segnala lo stato della strategia diplomatica italiana di “contenimento”.
“Vorrei fare le congratulazioni a Maurizio” ha detto subito l’elegante diplomatica indiana rivolgendosi all’ambasciatore Massari, “penso sia una meravigliosa opportunità dove tutti noi possiamo scambiarci opinioni e impariamo gli uni dagli altri. Noi sappiamo che potremmo non essere d’accordo con ciascuno altro, ma è comunque una meravigliosa opportunità, poter magari ottenere alcune idee su come possiamo gestire questa conversazione in avanti”.
Ma dopo un inizio dal tono amichevole, la diplomatica indiana ha lanciato la propria sfida a chi cerca di impedire la riforma voluta dal suo governo: “La domanda che ci dobbiamo chiedere è questa: il Consiglio di sicurezza così com’è configurato oggi, è attrezzato per mantenere la Pace e la Sicurezza? Non ho bisogno di rispondere a questa domanda, penso che possiamo guardarci tutti intorno per capire la risposta. Ora ho notato dagli oratori che per qualcuno la soluzione dovrebbe arrivare dall’espansione nella categoria soltanto dei membri non permanenti. Rispettosamente metterei questo problema difronte a tutti voi, per il cammino della pace abbiamo bisogno di una riforma e questa non sarebbe una riforma significativa”.
Cioè quella di espandere solo i “membri eletti” lasciando i cinque “permanenti”, non risolverebbe per l’India il problema di “portare una maggiore diversità di voci, in modo da avere decisioni più consensuali. Che ne dite quindi di avere più democrazia al tavolo?”. Cioè l’ambasciatrice indiana, sembra dire a Massari: dato che nella vostra proposta i cinque permanenti rimangono indisturbati, allora non è più democratico aggiungerne altri in modo da fargli da contrappeso? Soprattutto, sostiene l’India, se qualcuno di questi è lì per fare gli interessi del Global South?

L’ambasciatrice Kamboj continua: “Come si rettifica l’errore della storica ingiustizia? L’ingiustizia che è stata commessa in Africa, come tutti sappiamo. Come abbiamo già ascoltato dal collega dell’Unione Africana, la posizione africana è che cercano due seggi permanenti. Ma se optiamo per una riforma che si sostiene qui (quella UfC) , questa non soddisferà affatto i requisiti o le aspettative dell’Unione Africana. O anche di altre regioni sotto rappresentate”.
L’ambasciatrice indiana ripete che “abbiamo diversi punti di vista, portiamo punti di forza diversi al tavolo ma alla fine della giornata, speriamo ancora di riuscirci, possiamo trovare una via d’uscita per andare avanti. Ma rispettosamente agli oratori dico che spingere solo per una riforma non metterà la casa in ordine, non soddisferà il requisito per la pace globale”.
L’India paladina del Global Sud, così intende il suo ruolo all’ONU: “Per il Global Sud devi ottenere di più, per i rappresentanti dall’Africa e dell’ America Latina e anche dall’Asia questa espansione solo nella categoria non permanente non porta alla pace, ricordiamocelo”.
Quindi ecco il clou del discorso dell’India, mentre in sala restava un rispettoso silenzio nei confronti del paese più popolato del mondo: “Questo è ciò che sentiamo fortemente mentre arriviamo ai negoziati intergovernativi alle Nazioni Unite, che è un processo continuo, come sapete l’unico modo per portarlo avanti è mettere questo alla prova avendo negoziati basati su testi all’interno di un periodo di tempo specificato che è assolutamente essenziale. Quando lo dico non c’è niente di nuovo, in ogni processo, anche alle Nazioni Unite, come per tutti noi, c’è bisogno di sapere che ci sarà un testo con una sequenza temporale ben definita. Questo è l’unico processo che invece si distingue per procedere senza testo e con una linea temporale non definita, ciò è incredibile, incredibile!”.
Chiaro? Il gigante indiano è stanco della “melina”, del tik-tok, che gli altri paesi imporrebbero sul processo di riforma. “Stiamo parlando di 30-40 anni di negoziati senza un testo e senza una timeline. Spesso ci viene detto che prima di avere un testo, ci deve essere un consenso, prima ancora del testo. Ma quando si è sentito questo? L’opportunità costruttiva ora si presenta per tutti noi al vertice ONU del futuro, che è dietro l’angolo… Ma bisogna negoziare seriamente con un testo e una sequenza temporale, in modo che con questa opportunità che stiamo per cogliere, possiamo aggiustare il sistema e guardare al futuro e non al passato, per arrivare ad un risultato ambizioso”.
Kamboj ha lanciato la sua sfida e conclude rilanciando: “Con un riforma vera del Consiglio, non cerchiamo solo la riforma della categoria dei membri permanenti, o meglio la loro espansione, ma cerchiamo una riforma anche delle modalità di funzionamento del Consiglio di Sicurezza, che include la questione del veto. Quindi una riforma comprensiva nella sua essenza iniziale è la nostra proposta che vorremmo presentare al tavolo dei negoziati”. Quindi la diplomatica indiana saluta così: “Grazie mille, apprezziamo l’iniziativa che avete fatto, una meravigliosa opportunità per tutti noi di mettere la nostra opinioni sul tavolo. Ripeto, potremmo non pienamente essere d’accordo ma questo è il processo e l’idea alla base del discussione e, auspicabilmente, negoziazione finale. Penso che ci sarà una in arrivo, già dalla prossima settimana, grazie mille”.
Alla fine dell’ennesima conferenza, tutti hanno tirato l’acqua al loro mulino che continuerà a girare in senso inverso a quello degli altri: tutti a parole vogliono un allargamento del Consiglio ma l’ostacolo insormontabile resta tra gli aspiranti al “Paradiso” del seggio permanente e coloro che, come l’Italia, non vogliono precipitare più giù nell’inferno del ranking onuniano e sostengono che più democrazia si ha solo con l’accesso a rotazione che rende tutti uguali (anche se poi restano i P5 più “uguali” degli altri). Chi la spunterà?

Avvicinando l’ambasciatore Massari, gli chiediamo se è soddisfatto di ciò che ha sentito in sala: “Certamente, questi eventi servono a chiarire le posizioni”. Insomma c’è anche l’Italia nel ballo della riforma? “Eccome se c’è l’Italia!” ci dice orgoglioso il diplomatico napoletano.
Ma c’è una novità che esce da questa conferenza? Qualcuno ha forse smussato una previa obiezione o avanzato nuove idee? “Non mi sembra che ci siano state novità sui contenuti” ci dice Giorgia De Parolis, diplomatica della missione italiana all’ONU incaricata proprio di seguire la riforma del Consiglio di Sicurezza.
At🇺🇳GA #IGN, on behalf of #UfC, 🇮🇹 shared the group’s comments on the revised co-chairs elements paper, reiterating that the IGN is the only relevant platform for SC reform. New permanent seats contradict the principles of democracy & MS sovereign equality, hampering SC’s action. pic.twitter.com/88dvhCSTXH
— Italy UN New York (@ItalyUN_NY) April 15, 2024
Allora a che serve una riunione del genere? “Innanzitutto a confrontarsi sulle proprie posizioni, discutere serve sempre, mi sembra sia stato un incontro molto utile in questo senso. E’ stato confermato come siamo tutti convinti che una riforma si debba fare al più presto”.
A chi scrive dal Palazzo di Vetro di riforme dai tempi del “gladiatore” Fulci, anche oggi è apparso che all’ONU basti volere che tutto cambi per rimanere per altri trent’anni tutto com’è.
Sotto il video con tutti gli interventi.