Da Gaza all’Ucraina e al Sudan, il 2023 è stato un “anno terrificante” per i diritti umani, che si sono ulteriormente deteriorati in tutto il mondo. Lo afferma Human Rights Watch nel suo rapporto annuale pubblicato oggi e presentato ai giornalisti dell’ONU. Nel documento di oltre 700 pagine che passa in rassegna quasi 100 Paesi, l’autorevole Ong cataloga “immani sofferenze” causate dalla guerra tra Israele e Hamas, da quella tra i due generali rivali in Sudan, o dal proseguimento dei conflitti in Ucraina, Birmania, Etiopia e Sahel.
“Nel 2023 i civili sono stati presi di mira, attaccati e uccisi su una scala senza precedenti nella storia recente di Israele e Palestina”. Il dossier accusa di “crimini di guerra” Hamas per gli attacchi del 7 ottobre contro Israele, e le forze israeliane per le rappresaglie contro la popolazione di Gaza. Su Gaza “uno dei crimini più importanti commessi è la punizione collettiva” dei civili, “che corrisponde a un crimine di guerra”, così come il fatto di “far morire di fame” la popolazione, ha detto la direttrice esecutiva di HRW Tirana Hassan.
Per quanto riguarda l’iniziativa del Sudafrica che, davanti alla Corte internazionale di Giustizia a L’Aja, oggi ha accusato Israele di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza, HRW ha lodato l’iniziativa e ha esortato altri Paesi, tra cui gli Stati Uniti, a dare il proprio sostegno. Così ha risposto Hassan a chi chiedeva una reazione su quello che sta accadendo a L’Aja:”Il crimine del genocidio – ha spiegato – è una sfida molto alta perché devi dimostrare la volontà di distruggere un gruppo nel suo complesso o in parte. Ecco perché questo caso é molto importante”. “Il Sudafrica – ha aggiunto – sta essenzialmente chiedendo alla Corte di determinare se le operazioni militari di Israele a Gaza hanno violato la Convenzione sul Genocidio del 1948 (un trattato internazionale che mette al bando il genocidio e obbliga gli Stati a rispettare il divieto, ndr) e se hanno mancato di prevenire il genocidio. La situazione è talmente grave che non importa se Human Rights Watch approvi il caso o no”. “Noi – ha però sottolineato Hassan – diamo il nostro sostegno e pensiamo che altri Paesi, inclusi gli Stati Uniti, dovrebbero darlo e assicurare che Israele rispetti le decisioni della Corte”. Il fatto, ha aggiunto, che “Israele stia attivamente partecipando a questa procedura è un segno che Israele stessa è obbligata a rispettare le decisioni della Corte e ne riconosce la legittimità. Ogni decisione può lasciare una macchia sulla sua reputazione”.
Riguardo quello che potrebbe accadere, in caso di condanna di Israele da parte della Corte Internazionale, Human Rights Watch ritiene che, pur tra le difficoltà, ci siano gli strumenti. “Il passaggio successivo – ha spiegato Hassan – è andare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma ci sono molti altri passi che possono essere presi ancora prima. Stati e membri dell’Onu possono usare la decisione della Corte per imporre sanzioni e misure di embargo”.
Nel rapporto di HRW si afferma che il 2023 “è stato un anno terrificante non solo per la repressione dei diritti umani e le atrocità in tempo di guerra, ma anche per la rabbia selettiva dei governi e della diplomazia transazionale”. Questi comportamenti mandano “il messaggio che la dignità di alcuni merita di essere tutelata, ma non quella di tutti, che alcune vite valgono più di altre”, ha detto ancora la direttrice esecutiva di Human Rights Watch parlando di “ipocrisia”. L’ipocrisia degli occidentali “che chiudono un occhio davanti alle violazioni dei diritti umani, a livello nazionale o internazionale, solo per promuovere i propri interessi”.
Il rapporto critica in particolare l’Unione Europea, la cui “priorità in politica estera nei confronti dei vicini del sud resta quella di contenere a tutti i costi le partenze dei migranti verso l’Europa, perseverando in un approccio fallimentare che ha evidenziato l’erosione degli impegni del blocco nei confronti dei diritti umani”. E nel mirino di questo “doppio standard” è anche la differenza tra la “condanna rapida e giustificata” da parte di molti paesi degli attacchi di Hamas del 7 ottobre e le risposte “molto più contenute”, in particolare da parte di Usa e Ue di fronte al bombardamento israeliano di Gaza. Oppure l’assenza di condanne nei confronti dell’intensificazione della repressione in Cina, in particolare nello Xinjiang e in Tibet. In questo contesto, HRW descrive un sistema internazionale di diritti umani “sotto minaccia”.
Ma Hassan sottolinea anche come “abbiamo visto anche che le istituzioni possono mobilitarsi per resistere e lottare”, riferendosi in particolare al mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale contro il presidente russo Vladimir Putin.
Quando abbiamo chiesto come la sua organizzazione giudicasse il recente rapporto della ong UN Watch che accusa gli impiegati e insegnanti dell’Agenzia ONU per i palestinesi ( UNRWA ) di essere “complice” di Hamas e di esultare per le azioni terroriste, Hassan ha detto che quel rapporto “non porta prove per dare credibilità a quello che sostiene”, e che invece l’UNRWA, tra enormi difficoltà, si adopera per cercare di alleviare le sofferenze della popolazione civile a Gaza a costi altissimi per il suo personale che rischia ogni giorno la vita.