L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha ripreso accelerando i suoi lavori venerdì e riuscendo ad approvare una risoluzione presentata dalla Giordania per una tregua umanitaria nella guerra tra Israele e Gaza. Ha anche respinto (pur raggiungendo la maggioranza, non era quella dei 2/3 necessaria) un emendamento presentato dal Canada che chiedeva di inserire un riferimento ai crimini di Hamas e agli ostaggi. Questo sessione di emergenza dell’UNGA si è tenuta in un contesto di “paralisi” nel Consiglio di sicurezza e con le condizioni nell’enclave assediata di Gaza che diventano sempre più terribili.
L’Assemblea aveva deciso per consenso generale che per l’adozione di qualsiasi progetto di risoluzione e di eventuali emendamenti alla stessa sarebbe stato necessario una maggioranza di due terzi.
La risoluzione ha avuto il sostegno di 120 Stati membri, ed è stata approvata tra gli applausi. Passa quindi la bozza della Giordania presentata a nome degli Stati arabi che si concentra sulla tregua a Gaza, garantendo l’ingresso degli aiuti e impedendo lo sfollamento forzato. Il testo, che non ha però un valore vincolante – anche se ha forte peso politico – ha ottenuto 120 voti a favore, 14 contrari. Con gli Usa e Israele, hanno votato contro Austria, Croazia, Fiji, Cecoslovacchia, Guatemala, Ungheria, Isole Marshall, Micronesia, Nauru, Tonga, Papua Nuova Guinea e Paraguay. Per passare era richiesta la maggioranza dei due terzi presenti e votanti (gli astenuti non contano). 45 alla fine gli astenuti che hanno abbassato così il quorum necessario ai due terzi. Tra gli astenuti, oltre all’Italia, tra gli altri anche la Germania, Regno Unito, Ucraina, Tunisia, Australia, Canada, Polonia, Finlandia, Danimarca, Estonia, Lettonia e Lituania.
Le questioni chiave nella bozza includeva richieste per una “tregua umanitaria immediata, duratura e prolungata”, nonché “richieste” che tutte le parti rispettino il diritto internazionale umanitario e per la fornitura “continua, sufficiente e senza ostacoli” di forniture e servizi essenziali a Gaza. Chiedeva inoltre il “rilascio immediato e incondizionato” di tutti i civili tenuti prigionieri e chiedeva la loro sicurezza, benessere e trattamento umano in conformità con il diritto internazionale.
Il Canada aveva proposto un emendamento che “respinge e condanna inequivocabilmente gli attacchi terroristici di Hamas” in Israele a partire dal 7 ottobre e la presa di ostaggi. L’UNGA lo ha bocciato (aveva anche il sostegno degli Usa). A favore hanno votato 88 paesi, contro 55 e 23 si sono astenuti. Per passare serviva la maggioranza dei due terzi presenti e votanti (le astensioni non contano).
Nel testo non c’è l’espressione “cessate il fuoco”, ma il termine “tregua umanitaria immediata”, che dovrà essere: “duratura e prolungata, che conduca alla cessazione delle ostilità”. Si domanda inoltre che “tutte le parti rispettino immediatamente e pienamente i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale, in particolare per quanto riguarda la protezione dei civili”. Si esorta poi la “fornitura immediata, continua e senza ostacoli di beni e servizi essenziali ai civili in tutta Gaza, incoraggiando la creazione di corridoi umanitari e altre iniziative per facilitare la consegna degli aiuti”, e la “revoca dell’ordine da parte di Israele di evacuazione dei palestinesi dal nord della Striscia”. Infine, si incoraggia “il rilascio immediato e incondizionato di tutti i civili tenuti illegalmente prigionieri”.
L’ambasciatore Maurizio Massari, ha motivato in Assemblea l’astensione dell’Italia sulla risoluzione Onu per la tregua a Gaza “perché se da un lato riconosce gli sforzi delle parti arabe”, questi “non sono stati abbastanza per votare a favore. Manca la condanna inequivocabile degli attacchi di Hamas a Israele, manca il riconoscimento del diritto di difendersi di ogni Stato sotto attacco, in questo caso Israele, e non menziona la richiesta del rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi del 7 ottobre”.
Quando gi ambasciatori dei paesi arabi, con in testa quello palestinese Rayad Mansour, si sono presentati allo stake-out del Consiglio di Sicurezza, dai loro occhi sprizzava gioia per una difficile vittoria. L’Ambasciatore Mansour, nel celebrare, ha ringraziato tutti i paesi “grandi e piccoli, ricchi e poveri, che sono venuti in soccorso del popolo palestinese”, dicendo che, dopotutto, “c’è ancora tanta umanità nel mondo”. Quando gli abbiamo fatto notare – dato che la risoluzione dell’Assemblea Generale non è binding (vincolante) – cosa si aspettasse che potesse accadere nei prossimi giorni, l’ambasciatore Mansour non ha accettato la nostra definizione della risoluzione dell’UNGA appena votata: “Non sono d’accordo, la risoluzione di un organo così importante dell’Assemblea Generale ha un grande peso ed è per noi ‘vincolante’, e gli israeliani devono smetterla di non rispettare le risoluzioni dell’ONU. Poi sono certo avrà un grande effetto sul Consiglio di Sicurezza, che è rimasto finora fermo, ma adesso ha questa risoluzione che deve farlo smuovere”. Accanto a lui per celebrare, tanti ambasciatori arabi tra i quali quello della Giordania Mahmoud Hmoud, quello dell’Egitto Osama Mahmoud Abdel Khalek Mahmoud, e l’ambasciatrice degli Emirati Arabi Lana Zaki Nusseibeh, che siede anche al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e ultimamente ha guidato gli sforzi per far approvare una risoluzione su Gaza anche dai Quindici.
All’uscita dall’Assemblea Generale, gli ambasciatori uscivano di fretta ma qualcuno si è fermato e ha risposto alle nostre domande. Ambasciatore russo Vassily Nebenzia, soddisfatto? “Questa è la vittoria del senso comune”. Questo successo di una risoluzione per Gaza potrà essere replicato al Consiglio di SIcurezza? “Vediamo, è difficile, ma ci sono idee che girano, se ne sta preparando una per la prossima settimana, la stiamo mettendo a punto”. La Russia è coinvolta nella stesura ? “No, non è la nostra, ma speriamo sia in grado di funzionare meglio”.
Passa l’altissimo ambasciatore brasiliano Sérgio França Danese, che è il presidente di turno del Consiglio di Sicurezza fino alla fine del mese: ora che è passata questa risoluzione all’Assemblea Generale, diventa più che necessario farla approvare al Consiglio di Sicurezza? “Stiamo lavorando sodo per arrivarci”. Ci riprova il Brasile a presentarla? “Ci stiamo consultando con altri paesi”. Ma state studiando un ‘trucco’ per farla passare? All’ambasciatore brasiliano, di solito sempre molto serio, scappa un sorriso e dice: “Nessun trucco, lavoriamo”.
L’ambasciatrice maltese, Vanessa Frazier, che siede nel Consiglio di Sicurezza, esce soddisfatta dall’Assemblea Generale e ci conferma che una risoluzione è in preparazione anche al Consiglio di Sicurezza e sarà redatta da tutti e dieci paesi membri eletti e votata la prossima settimana. Con lei abbiamo analizzato questo voto in Assemblea Generale dove Malta ha votato “sì”.
Ambasciatrice Frazier, gli europei hanno votato in ordine sparso… Voi con la Francia per il “sì”, Italia e Germania “astenuti”, Austria e Ungheria per il “no”. Normale?
“All’Assemblea Generale accade spesso che gli occidentali si dividano”.
Ma i paesi che non l’hanno votata la risoluzione avevano una forte motivazione: non c’era il riferimento ad Hamas. Voi avete votato “sì”, dopo l’appassionato e molto applaudito discorso dell’ ambasciatore pakistano Munir Akram, esperto veterano dell’ONU, che ha detto che se i canadesi avessero insistito sui crimini di Hamas nella risoluzione, allora avrebbero dovuto aggiungere anche i crimini di Israele, “che ha ucciso già settemila civili palestinesi”. Il diplomatico del Pakistan ha spiegato che la risoluzione giordana cercava di essere bilanciata non includendo entrambi i contendenti e consentendo così un più largo consenso. Sembrava equiparare i crimini di Hamas e quelli di Israele… L’Ambasciatrice Frazier ascolta con attenzione, quindi replica:
“Vedi, tutte le risoluzioni all’ONU sono così, soprattutto in Assemblea Generale, mettere d’accordo 193 paesi è veramente difficile. Per avere consenso, non si avrà mai il testo perfetto, mancherà sempre qualcosa per qualcuno. Uno deve guardare al grande quadro, e a che cosa si sta puntando in questo caso”.
Malta cioè aveva chiaro “the big picture”, per questo ha votato sì?
“Per noi essere consistenti è importante, e su queste risoluzioni su Gaza lo siamo stati già anche al Consiglio di Sicurezza”.
Arriverà presto una risoluzione che possa passare al Consiglio di Sicurezza?
“Ci stiamo lavorando, sul testo della risoluzione del Brasile, vedendo cosa bisogna aggiungere o togliere per essere approvata. Bisogna lavorare per cambiare il testo e non ripetere la stessa esperienza”.
Quindi ci conferma che anche Malta sarà dietro la risoluzione?
“Sì, ci saremo con tutti gli altri paesi eletti al Consiglio, la presenteremo in dieci”.
Già a questo punto solo un veto dai permanenti potrebbe bloccarla come avvenuto già recentemente.
All’Assemblea generale invece i 193 Stati membri hanno diritto a un voto ciascuno e, a differenza del Consiglio di Sicurezza, non è previsto alcun veto. Ma mentre le risoluzioni approvate dal CdS sono “binding” (vincolanti), quelle della AG hanno un peso morale e politico ma non sono vincolanti. Le decisioni dell’Assemblea su questioni importanti sono prese a maggioranza di due terzi dei membri presenti e votanti. Queste domande includono: raccomandazioni relative al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale o altri argomenti definiti ai sensi dell’articolo 83 del Regolamento interno dell’Assemblea generale.
Le decisioni su questioni diverse da quelle previste dall’articolo 83, compresa la determinazione di ulteriori categorie di questioni da decidere con una maggioranza di due terzi, sono prese a maggioranza dei membri presenti e votanti. La frase “membri presenti e votanti” significa membri che esprimono un voto affermativo o negativo. I membri che si astengono dal voto sono considerati non votanti.
Gli Osservatori Permanenti all’ONU, come la Santa Sede e lo Stato di Palestina, possono chiedere la parola ma non possono votare le risoluzione dell’Assemblea Generale.
Nella mattinata di venerdì molta attenzione c’era stata tra i delegati per l’intervento degli Stati Uniti, anche perché Linda Thomas-Greenfield avrebbe dato ai suoi alleati chiare indicazioni di voto. L’ambasciatrice americana, nel suo lungo intervento, ha detto ai 193 paesi membri dell’ONU che “ci incontriamo in un momento pericoloso. Un momento pericoloso innanzitutto per israeliani e palestinesi, ma anche per la regione e il mondo. La morte, la distruzione e la disperazione che si manifestano davanti ai nostri occhi sono sufficienti a far perdere la fiducia nell’umanità”.
Poi la diplomatica americana aveva chiesto: “Come ha potuto Hamas compiere atti di terrore così barbari? Come ha potuto Hamas uccidere civili, bruciare vive famiglie e giustiziare bambini – e farlo con gioia? Come ha potuto Hamas prendere in ostaggio più di 200 persone – civili innocenti, tra cui un bambino di nove mesi e suo fratello di quattro anni? Come potrebbe Hamas giustificare la cattura di un cittadino americano di 23 anni, Hersh, i cui genitori ho incontrato questa settimana? E la risposta è: non possono. Non esiste alcuna giustificazione per il terrorismo. Assolutamente no. Lo sapete tutti”.
Per questo per gli USA la risoluzione doveva anche “condannare gli atti terroristici di Hamas. Gli obiettivi di Hamas sono risoluti e disgustosi. Sono determinati a distruggere Israele e a uccidere gli ebrei. E cerchiamo di essere chiari: Hamas non si è mai preoccupata dei reali bisogni, delle preoccupazioni o della sicurezza delle persone che afferma di rappresentare…. Per loro, i civili palestinesi sono sacrificabili. Per loro, i civili palestinesi sono scudi umani. Ed è davvero spregevole ed è codardo”.
L’ambasciatrice aveva anche ricordato anche il dolore dei palestinesi: “E non dobbiamo diventare insensibili al dolore e alla sofferenza di persone come Wael Al-Dahdouh – un giornalista palestinese la cui moglie, figlio, figlia e nipote sono stati uccisi a Gaza questa settimana. E il mio cuore si spezza per Wael. Il mio cuore si spezza per tutti, tutti i civili innocenti coinvolti in questa crisi”. Ricordando che gli Stati Uniti sono il principale donatore al popolo palestinese, (1 miliardo di dollari all’UNRWA dal 2021), Thomas-Greenfield ha anche detto che il presidente Biden “ha anche ottenuto un accordo con Israele, Egitto e Nazioni Unite che ha consentito agli aiuti di iniziare a raggiungere Gaza”.
Quindi Thomas-Greenfield, come del resto aveva fatto poi l’ambasciatore canadese Robert Rae, aveva fatto notare che “nella risoluzione in esame mancano due parole chiave. Il primo è Hamas. È scandaloso che questa risoluzione non faccia i nomi degli autori degli attacchi terroristici del 7 ottobre: Hamas. Hamas. È scandaloso”. E poi ha sottolineato che “un’altra parola chiave che manca in questa risoluzione è: ostaggio. Questa risoluzione non fa menzione delle persone innocenti – compresi i cittadini di molti di voi presenti in questa sal – molti di voi qui oggi che hanno cittadini tenuti in ostaggio da Hamas e da altri gruppi terroristici. Queste sono omissioni del male”. Per questo gli Stati Uniti avevano co-sponsorizzato un emendamento, presentato dal Canada, che secondo loro correggeva queste evidenti omissioni.
Alla fine del suo discorso Thomas-Greenfield aveva reso esplicito che senza l’emendamento proposto dal Canada, gli USA non potranno votare la risoluzione della Giordania: “Ci rammarichiamo profondamente che la risoluzione attualmente all’esame metta a repentaglio questa visione. Ma sebbene questa risoluzione sia profondamente viziata e non sia all’altezza del momento, gli Stati Uniti continueranno a lavorare con tutti gli Stati membri per tracciare un futuro in cui israeliani e palestinesi abbiano pari misure di sicurezza, libertà, giustizia, opportunità e dignità. E un futuro in cui i palestinesi realizzino il loro legittimo diritto all’autodeterminazione e ad uno stato proprio”.
Durante i lavori dell”Assemblea Generale di giovedì e venerdì per la risoluzione poi approvata, non abbiamo visto in sala il Segretario Generale Antonio Guterres, che infatti non è intervenuto, come aveva invece fatto per le riunioni sull’Ucraina. Forse per la forte tensione tra la leadership dell’ONU e il governo di Netanyhau?
Così al briefing di venerdì con Stephane Dujarric – portavoce del Segretario Generale – abbiamo chiesto se da martedì il suo capo avesse avuto contatti con la missione israeliana o il governo d’Israele, dopo che il ministro degli Esteri Eli Cohen e l’ambasciatore Gilad Erdan avevano chiesto le dimissioni di Guterres dopo il suo discorso al Consiglio di Sicurezza: “No, non ne ha avuti”. Ma perché non lo hanno chiamato o non ha chiamato lui? “Non li sta evitando” ha replicato Dujarric. “Voglio dire, se qualcuno lo chiama, risponderà al telefono”.