I recenti sviluppi in Kosovo tornano al centro delle attenzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con l’inviata delle Nazioni Unite per il paese, Caroline Ziadeh, che lunedì sera ha presentato il rapporto periodico semestrale sull’attività di UNMIK, la missione delle Nazioni Unite in Kosovo.
Ziadeh, rappresentante speciale del Segretario generale Guterres, ha citato il “grave” incidente avvenuto il 24 settembre, in cui cinque persone, tra cui un agente di polizia del Kosovo, sono rimaste uccise e altre ferite. “[Questi eventi] hanno esacerbato un ambiente di sicurezza già deteriorato, caratterizzato da un’atmosfera di sospetto reciproco e percezioni contraddittorie che toccano gran parte della popolazione”, ha detto Ziadeh, riferendosi soprattutto nel nord del Kosovo e tra le comunità serbe in altre parti del paese.

Ziadeh, che è anche a capo dell’UNMIK, ha aggiunto che il deterioramento della situazione della sicurezza è stato aggravato dal boicottaggio delle elezioni locali di aprile da parte della comunità serba del Kosovo, particolarmente significativo nelle aree in cui costituiscono la maggioranza.
“L’attuale impasse politica, con il suo impatto sulla sicurezza e sul benessere della popolazione, può essere superata solo attraverso un compromesso”, ha esortato l’inviata Onu.
Mentre la situazione continua a peggiorare, per Ziadeh i leader politici di entrambe le parti avversarie hanno una responsabilità significativa nell’affrontare le esigenze di sicurezza e le più ampie preoccupazioni socio-economiche di tutti i segmenti della società. Ma l’atmosfera di sospetto reciproco, accuse pubbliche incendiarie e retorica politica divisiva ha messo a dura prova i canali di comunicazione e alimentato le tensioni tra la popolazione.

“Invece di alimentare le tensioni attraverso messaggi politici diretti a un gruppo, i leader eletti hanno la responsabilità di affrontare i bisogni di sicurezza e le preoccupazioni socio-economiche più ampie di tutti i segmenti della società, indipendentemente dal background etnico, linguistico o politico”, ha sottolineato la funzionaria delle Nazioni Unite.
Ma la denuncia di Ziadeh contro il clima di “sfiducia reciproca”, auspicando il ritorno al dialogo e ad una disponibilità al compromesso per poter superare l’attuale situazione di stallo politico, cadeva nel vuoto al centro del tavolo dei Quindici, quando ripartiva l’ennesimo rimpallo di accuse tra i rappresentanti di Belgrado e Pristina.

Nel suo intervento la premier serba Ana Brnabic ha ribadito che le nuove tensioni sono il risultato della persistente politica ostile e discriminatoria di Pristina nei confronti della popolazione serba in Kosovo, che avrebbe l’obiettivo di una vera e propria pulizia etnica. “La Comunità delle municipalità serbe è un punto fondamentale e imprescindibile per l’attuazione di ogni altro accordo”, ha detto Brnabic che ha accusato il governo kosovaro di boicottare un tale organismo previsto da un accordo del 2013. La Serbia, ha sostenuto la sua premier, non è coinvolta nei fatti di Banjska, e vuol fare chiarezza su dei crimini che purtroppo sono “la logica conseguenza della politica di terrore di Pristina”. Per Brmabic la politica della Serbia si basa sull’attuazione di tutti gli accordi fin qui raggiunti: sicurezza dei serbi, rispetto dei principi del diritto internazionale, della carta dell’Onu e della risoluzione 1244 e impegno per la pace e la stabilità nella regione.
Nel suo intervento la presidente kosovara Vjosa Osmani, ha invece accusato la Serbia di diretto coinvolgimento degli scontri armati del 24 settembre, affermando che il Kosovo è stato vittima di una autentica “aggressione” da parte di Belgrado, che finanzia, addestra, arma e fornisce appoggio politico a “formazioni paramilitari e gruppi terroristici”. “Quanto avvenuto il 24 settembre non è stato un attacco soltanto al Kosovo ma un piano per destabilizzare l’intera regione dei Balcani occidentali”, ha affermato Osmani, che ha denunciato al tempo stesso quelle che ha definito le “mire territoriali” della Serbia.
Alla fine della seduta del Consiglio di Sicurezza, mentre la premier serba andava via senza fermarsi davanti ai pochi giornalisti in attesa, siamo riusciti ad avvicinare la presidente del Kosovo Vjosa Osmani che si era fermata prima davanti alle telecamere di giornalisti del suo paese.
Presidente Osmani, dallo scambio visto tra lei e la premier serba, non le sembra che entrambi avete da riconsiderare certe posizioni? Che per la pace dovreste entrambi cambiare già a partire dal modo in cui vi rivolgete una con l’altra?
“Come ho già detto oggi, in Kosovo non crediamo che la democrazia sia un progetto già finito, pensiamo che ci siano cose che possiamo fare meglio e stiamo provando a migliorare con i nostri partner, in modo da poter offrire a tutti i nostri cittadini condizioni migliori di vita, non importa la loro etnia. Noi sappiamo che dobbiamo affrontare delle sfide in questo percorso, ma mentre le affrontiamo e le risolviamo, noi siamo guidati da principi basilari dello stato di diritto, della democrazia e dei diritti umani. Invece in Serbia assistiamo all’esatto contrario. La propaganda che è stata sparsa oggi non servirà alla pace e alla stabilità nella nostra regione. Bastava ascoltare il discorso della Russia, per capire quale parte stava dicendo la verità e quale usava invece la macchina della propaganda che assomiglia molto a quella usata negli anni Novanta da Milosevic. Ovviamente il Kosovo è pronto ad andare avanti con progetti che avanzino i diritti umani ma non siamo disposti a dare alla Serbia gli strumenti per diminuire la nostra sovranità, dandogli l’opportunità di destabilizzare il Kosovo. Come ho detto nel mio discorso, dobbiamo fare attenzione a non cadere nella trappola dell’”entrambe le parti” quando si tratta di casi di aggressione. Molti membri del Consiglio di Sicurezza posseggono già le prove che mostrano il coinvolgimento diretto all’azione di aggressione condotta il 24 settembre in Kosovo della leadership in Serbia. La responsabilità è la chiave di tutto e anche la sicurezza del Kosovo lo è, in modo da prevenire che azioni simili possano accadere di nuovo. Non finisce con il Kosovo, le nostre regioni sono così connesse che la stabilità in una significa la stabilità per tutte. Noi stiamo cercando di proteggere la pace e la stabilità, ma vogliamo farlo meglio e lo faremo con i nostri alleati e partner”.

Presidente Osmani, oggi abbiamo visto che molti degli alleati tradizionali del Kosovo, come gli Stati Uniti, appoggiano la vostra posizione sugli incidenti di settembre. Ma a maggio, abbiamo anche visto come gli USA, durante gli scontri dopo le elezioni nei comuni dove i serbi non avevano partecipato, hanno avuto un atteggiamento diverso nei vostri confronti e l’amministrazione Biden vi ha apertamente criticato. Cinque mesi fa, almeno dagli Stati Uniti, voi siete apparsi come i provocatori delle tensioni. Questo episodio non vi ha fatto riflettere su come avreste dovuto cambiare politica?
“Guardate, siamo una giovane democrazia e come tutti gli altri paesi, impariamo ogni giorno delle lezioni. Comprendiamo che i problemi della sicurezza sono sempre collettivi e mai individuali. Come presidente ho sempre favorito la collaborazione con la presenza internazionale in Kosovo, in modo da trovare insieme soluzioni per la sicurezza del nostro paese e dei nostri cittadini senza differenza di etnia. Ma quello che è successo a maggio è un fatto semplice: i sindaci dovevano entrare nei loro uffici e avevano bisogno dell’aiuto della polizia. Nessuno in Kosovo ha usato la forza, la costituzione è stata rispettata, una costituzione che da diritti e protegge tutte le minoranze. Le ragioni per le quali i serbi avevano boicottato queste elezioni erano volontarie. Purtroppo come anche gli osservatori internazionali hanno dimostrato, è la Serbia che ha fatto pressioni sui serbi del Kosovo di non partecipare a queste elezioni. Ma ora abbiamo risolto certe differenze che abbiamo avuto durante gli eventi di maggio, che hanno visto delle bande attaccare 93 soldati della Kfor (forze Nato ndr), inclusi italiani e ungheresi, che hanno sofferto delle ferite serie. Noi abbiamo chiesto di punire i responsabili, ma la Serbia continua a nascondere chi ha attaccato i soldati della Kfor. Siccome questi assalitori l’hanno scampata, hanno avuto un incentivo ad attaccare nuovamente il Kosovo il 24 di settembre. Come ho detto, vogliamo lavorare con i nostri partner per migliorare le cose, ma questo non significa dare carta bianca alla Serbia ogni volta che attacca il Kosovo, invece bisogno stabilire il principio di responsabilità per prevenire che queste azioni si ripetano nel futuro. Alla fine siamo in favore delle nuove elezioni in Kosovo come sono state chieste anche dai nostri alleati, abbiamo provveduto alle basi legali affinché i serbi possano richiedere nuove elezioni con il 20% delle firme, quindi aspettiamo che queste vengano fornite, e immediatamente proclameremo le nuove elezioni così che possano scegliersi i sindaci che preferiscono”.

Pensa che i grandi conflitti che stanno accadendo nel mondo, come in Ucraina e adesso anche in Medio Oriente, favoriscano la stabilità tra Kosovo e Serbia – perché le grandi potenze non vorrebbero l’apertura di un altro fronte – oppure queste gravi crisi peggiorano la situazione anche nei Balcani?
“Noi stessi siamo stati vittime di guerre e genocidi e quando vediamo altri civili che soffrono non possiamo pensare che questo possa aiutare qualunque situazione. Semmai è il contrario, i paesi che amano la pace nella nostra regione sono molto preoccupati per quello che sta accadendo in Ucraina, per l’aggressione della Russia e anche per quello che vediamo che sta accadendo nel Medio Oriente. Noi faremo del nostro meglio per supportare i civili e non possiamo mai credere che questo tipo di conflitti possano aiutare qualsiasi altra regione del mondo, al contrario ne soffriamo tutti le conseguenze. E poi, quando il 24 settembre abbiamo visto la Serbia e anche la Russia lasciare le loro impronte ovunque su tutto quello che è successo, comprendiamo che Mosca sta provando ad aprire nei Balcani un nuovo fronte contro l’Occidente. Questo è quello che i russi vogliono, ma non bisogna darglielo”.
Già, sembra proprio che quando i “duellanti” si incrociano al Palazzo di Vetro dell’ONU – dove il Kosovo non ha un seggio di paese membro perché la Serbia riesce, con l’appoggio della Russia, a tenerlo da un quarto di secolo fuori – la loro sfida si accentui, sicuramente nei toni se non nella sostanza. Allora comprendiamo il messaggio dell’ambasciatore albanese Ferit Hoxha, che quando all’uscita del Consiglio di Sicurezza gli abbiamo chiesto quale consiglio l’Albania avesse per il Kosovo per raggiungere una pace stabile e duratura per tutta la regione, non ha esitato un attimo: Non è qui all’ONU che Serbia e Kosovo possono risolvere il loro conflitto (cioè con la Russia guasta feste tra i piedi), “ma proseguendo gli accordi già avviati in Europa”.