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Inviata ONU alle donne abusate nell’Afghanistan talebano: aspettate e sperate

Alla riunione del Consiglio di Sicurezza l'intervento "fatalista" di Roza Otunbayeva dell'UNAMA, al quale fa da contraltare Sima Bahous, leader di UN Woman

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Inviata ONU alle donne abusate nell’Afghanistan talebano: aspettate e sperate

Women wait at a maternal health hospital, the only one of its type in Afghanistan. (© UNICEF/Shehzad Noorani )

Time: 6 mins read

In Afghanistan sono passati oramai due anni dalla ripresa del potere dei talebani, e all’ONU si continua a ripetere che le donne afghane devono aver pazienza e che conviene “aspettare” che arrivino tempi migliori. Così si può riassumere l’audizione al Consiglio di Sicurezza della rappresentante speciale per l’Afghanistan del Segretario Generale delle Nazioni Unite Roza Otunbayeva.   La comunità internazionale secondo Otunbayeva deve continuare a impegnarsi con i leader talebani in Afghanistan nonostante il profondo disaccordo con il loro approccio ai diritti delle donne e alla governance inclusiva. Così martedì al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la rappresentante speciale dell’Onu, la quale è una ex presidente del Kirgizstan che è stata incarica esattamente un anno fa da Antonio Guterres nel ruolo di inviata per l’Afghanistan.

Otunbayeva, che dirige anche la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA), ha chiesto una “strategia di impegno riformulata”, esprimendo preoccupazione per la “mancanza di direzione positiva” negli sforzi attuali. “La mancanza di fiducia da tutte le parti è un serio ostacolo alla costruzione della fiducia, ma le porte al dialogo sono ancora aperte”, ha affermato. “Questo momento, nonostante i suoi problemi, è un’opportunità. Dobbiamo garantire che le porte al dialogo non siano chiuse”.

Roza Otunbayeva, Special Representative of the Secretary-General and Head of the United Nations Assistance Mission in Afghanistan (UNAMA), takes her seat in the Security Council meeting on the situation in Afghanistan. (UN Photo/Rick Bajornas)

La Otunbayeva ha affermato che l’impegno è stato significativamente indebolito dagli oltre 50 decreti talebani volti a eliminare le donne dalla vita pubblica e dall’istruzione. “Le politiche che portano all’esclusione delle donne sono inaccettabili per la comunità internazionale”, ha affermato, per poi anche citare un nuovo rapporto delle Nazioni Unite basato su più di 500 interviste con donne afghane, il 46% delle quali ritiene che i talebani non dovrebbero essere riconosciuti in nessuna circostanza. “La domanda, tuttavia, è se continuare a impegnarsi con le autorità di fatto nonostante queste politiche, o cessare l’impegno a causa loro”, ha affermato Otunbayeva ce poi ha chiarito la sua strategia: “Il punto di vista dell’UNAMA è che dobbiamo continuare a impegnarci e mantenere il dialogo, che non significa riconoscimento. L’impegno non significa l’accettazione di queste politiche. Al contrario: il dialogo e l’impegno sono il modo in cui stiamo tentando di cambiare queste politiche”.

A wide view of the Security Council meeting on the situation in Afghanistan. (UN Photo/Manuel Elías)

Otunbayeva ha affermato ai Quindici del Consiglio di Sicurezza che questo impegno potrebbe essere più strutturato e mirato pur rimanendo basato sui principi. “Una strategia di impegno riformulata deve innanzitutto riconoscere che l’autorità de facto è responsabile del benessere del popolo afghano, in tutte le dimensioni ma soprattutto per quanto riguarda le donne”, ha sottolineato.

Altre componenti includerebbero meccanismi per affrontare le preoccupazioni a lungo termine delle autorità di fatto, nonché “un sincero dialogo intra-afghano del tipo che è stato interrotto quando i talebani hanno preso il potere nell’agosto 2021”. Inoltre, ha concluso l’inviata di Guterres, sarebbe necessaria anche “una posizione più coerente della comunità internazionale”.

Anche quando è apparsa allo stake-out davanti ai giornalisti, Otunbayeva ha mantenuto un atteggiamento che ci è sembrato un mix di “fatalismo” e “porta pazienza”. Quando le abbiamo chiesto (vedi video sopra dal minuto 12:08) cosa avesse da consigliare alle donne e alla ragazze afghane che in questo momento vorrebbero lasciare, o meglio scappare dall’Afghanistan, Otunbayeva non sembrava avere alcun consiglio se non quello di unirsi e collaborare insieme per cercare di migliorare la loro vita. “La loro situazione è terribile, non possono uscire, manca l’acqua per fare il bagno ai bambini…” Diceva ma ripetendo anche “qualcuna va via, ma è difficile farlo”. Quando le abbiamo ricordato che esisteva già una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (la prima approvata dalla ripresa del potere dei talebani a Kabul) che obbligava il regime a lasciar partire qualsiasi cittadino che volesse lasciare l’Afghanistan,  abbiamo a questo punto chiesto all’inviata speciale dell’ONU Otunbayeva: se fosse lei in questo momento al posto di una donna afghana a Kabul e l’ONU potesse aiutarla ad uscire dall’Afghanistan, quale decisione prenderebbe? “Io resterei” ha replicato senza indugio Otunbayeva.

Quando è stata la volta di Sima Bahous, la leader di UN Women, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere, a informare martedì il Consiglio di Sicurezza, il suo tono è apparso subito meno “paziente” nei confronti del regime talebano.  Agli ambasciatori Bahous ha detto che i decreti talebani costano all’Afghanistan circa un miliardo di dollari all’anno, cifra destinata ad aumentare. Gli editti stanno inoltre esacerbando la terribile situazione umanitaria in un paese in cui più di due terzi della popolazione dipende dall’assistenza per sopravvivere e circa 20 milioni, soprattutto donne e ragazze, soffrono la fame acuta.

Sima Sami Bahous, Executive Director of UN Women, addresses the Security Council meeting on the situation in Afghanistan. (UN Photo/Rick Bajornas)

La responsabile di UN Women ha insistito sul fatto che la via da seguire deve essere guidata dalla voce delle donne e dai principi della Carta delle Nazioni Unite: “Il passato è pieno di esempi di trascuratezza o ignoranza delle donne; il presente è pieno di conseguenze. Quindi, il futuro deve concentrarsi sull’ascolto, sull’investimento e sul sostegno delle donne, nonché sulla loro inclusione”, ha affermato.

Bahous ha raccomandato che il comitato del Consiglio di sicurezza che sovrintende alle sanzioni contro l’Afghanistan convochi una sessione per esaminare il ruolo che può svolgere nella risposta alle violazioni dei diritti delle donne nel paese.

“Dobbiamo considerare i messaggi che inviamo quando inquadriamo la situazione in Afghanistan puramente o esclusivamente come una crisi umanitaria”, ha inoltre consigliato. “È una crisi economica, una crisi di salute mentale, una crisi di sviluppo e altro ancora. E il filo che collega questi diversi aspetti è la crisi di fondo dei diritti delle donne. Questa deve essere la lente principale attraverso la quale capire cosa sta succedendo e cosa dobbiamo fare”.

Bahous ha inoltre esortato gli ambasciatori a sostenere pienamente gli sforzi per codificare esplicitamente l’”apartheid di genere” nel diritto internazionale: “Questo attacco sistematico e pianificato ai diritti delle donne è fondamentale per la visione dello Stato e della società dei talebani e deve essere nominato, definito e proscritto nelle nostre norme globali in modo che possiamo rispondere in modo appropriato”, ha affermato.

Karima Bennoune, Civil Society Representative, addresses the Security Council meeting on the situation in Afghanistan. (UN Photo/Manuel Elías)

L’esperta legale Karima Bennoune, che ha anche informato gli ambasciatori, ha ricordato che alcune attiviste afghane hanno recentemente intrapreso uno sciopero della fame per chiedere alla comunità internazionale di riconoscere che nel loro paese viene praticata l’apartheid di genere.

“Questo Consiglio ha ripetutamente invitato i Talebani a porre fine ai loro gravi abusi, ma c’è ancora molto da fare per ritenerli responsabili della decimazione dei diritti delle donne. Sono qui oggi per chiedere al Consiglio di chiarire attraverso l’azione che la comunità internazionale non tollererà il sistema di apartheid di genere imposto dai Talebani”, ha affermato.

Alcuni paesi membri del Consiglio di Sicurezza (Albania che presiede il CdS, Brasile, Ecuador, Francia, Gabon, Giappone, Malta, Svizzera, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e gli Stati Uniti) hanno cercato di essere più sensibili di altri ai diritti delle donne afghane, e martedì hanno inviato i loro ambasciatori anche fuori dal Consiglio di Sicurezza, davanti ai giornalisti, per leggere una dichiarazione che recitava (video sopra):

Noi, firmatari del Consiglio di Sicurezza della Dichiarazione di impegni condivisi sui principi delle donne, della pace e della sicurezza (WPS), ci siamo riuniti per esprimere le più profonde preoccupazioni riguardo alla terribile situazione in cui versano le donne e le ragazze in Afghanistan.

Condanniamo con la massima fermezza la sistematica discriminazione, segregazione ed esclusione delle donne e delle ragazze in Afghanistan da parte dei talebani. Le drastiche restrizioni all’esercizio dei loro diritti umani e l’impatto che ciò sta avendo sulle loro vite non hanno eguali in tutto il mondo e possono equivalere a una persecuzione di genere.

Chiediamo agli attori internazionali di adottare misure efficaci per porre fine a questi abusi. Inoltre, ribadiamo la nostra richiesta ai talebani di invertire rapidamente tutte le politiche e le pratiche che limitano il godimento da parte delle donne e delle ragazze dei loro diritti umani e delle libertà fondamentali, comprese quelle relative all’accesso all’istruzione, all’occupazione, alla libertà di movimento ed espressione e alla tutela delle donne. Partecipazione piena, equa, significativa e sicura alla vita pubblica, politica, economica e sociale. Esortiamo inoltre tutti gli Stati e le organizzazioni a usare la loro influenza, in linea con gli scopi della Carta delle Nazioni Unite, per promuovere un’urgente inversione di queste politiche e pratiche, in linea anche con la Risoluzione 2681 (2023).

Ricordiamo l’obbligo dell’Afghanistan di attuare le disposizioni degli strumenti relativi ai diritti umani e alle libertà fondamentali di cui l’Afghanistan è uno Stato parte e dai quali è vincolato, inclusa la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. Ci uniamo anche alle richieste affinché gli autori di abusi contro donne e ragazze siano ritenuti responsabili.

Noi, firmatari della Dichiarazione di impegni condivisi per i principi delle donne, della pace e della sicurezza, vorremmo sfruttare questa opportunità per continuare a creare arene in cui le donne afghane possano essere ascoltate. In questo contesto, vorremmo invitare Karima Bennoune a condividere con noi le sue aspettative dall’incontro di oggi”.

 

Qui sotto il video con tutti gli interventi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per la riunione di martedì sull’Afghanistan.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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