“Non è realistico”, ha detto Sergey Lavrov.
Il ministro degli Esteri russo, che ha prima parlato in Assemblea Generale alle Nazioni Unite per poi spostarsi nella press briefing room per incontrare alcuni giornalisti, ha descritto così il piano di pace proposto dall’Ucraina e le ultime proposte dell’ONU per rilanciare l’iniziativa del grano nel Mar Nero: l’unico accordo attraverso cui Kiev può esportare i suoi prodotti agricoli dai tre porti di Odessa, Chornomorsk e Pivdennyi.
Quando parla, Lavrov ha uno sguardo severo. È seduto su una sedia azzurra, indossa un abito blu notte e accanto a sé ha la fidata portavoce che traduce tutto dal russo all’inglese. Non cambia mai espressione: non fa cenni con la testa mentre ascolta le domande, non sorride né muove la bocca. Conosce perfettamente l’inglese, il francese e il singalese, imparato durante il suo periodo da consigliere diplomatico all’ambasciata sovietica in Sri Lanka, ma risponde soltanto in russo. E mentre lo fa, guarda sempre fisso negli occhi.
“Sarò chiaro – ha continuato parlando del programma in 10 punti presentato da Kiev per arrivare alla fine del conflitto – non è possibile attuarlo. Non è realistico e tutti se ne rendono conto, ma allo stesso tempo continuano a sostenere che questa sia l’unica base per i negoziati”.
Spiragli di risoluzione pacifica dello scontro, dunque, non ce ne sono. Anzi, è proprio Lavrov a sottolineare come, se Zelensky e i suoi alleati continueranno su questa posizione, potrà essere soltanto il campo di battaglia a decretare un vincitore.
Stesso pessimismo anche sulle proposte dell’ONU per dare nuova vita al corridoio di esportazione dei prodotti agricoli ucraini. “Le promesse fatte alla Russia (tra cui la rimozione delle sanzioni su una banca russa e la sua riconnessione al sistema globale SWIFT) non sono state mantenute”, dice il Ministro degli Esteri. E la colpa, secondo Lavrov, è di quelle nazioni occidentali che hanno provocato “una crisi nei mercati alimentari ed energetici imponendo misure coercitive unilaterali o sanzioni alle nazioni più deboli”.

Lavrov cita come esempio Cuba, oggetto di blocchi e sanzioni da parte degli Stati Uniti nonché Stato inerito nella lista degli “sponsor del terrorismo”. Ma non c’è solo la nazione rappresentata in questa Assemblea Generale dal presidente Miguel Díaz-Camel tra i Paesi citati dal ministro russo. Con l’isola ci sono anche Venezuela e Siria, Paesi parte di un elenco “ingiustamente preso di mira. Uno strumento usato dagli USA per punire chi non piace a loro”.
Come prevedibile, è infatti contro l’amministrazione Biden che Lavrov scaglia gli affondi più pesanti. Il braccio destro di Putin ha prima accusato gli Stati Uniti di fare “tutto il possibile per impedire la formazione di un autentico ordine mondiale multipolare”, per poi additare Washington e il suo “collettivo subordinato” definendoli responsabili di “alimentare conflitti che dividono l’umanità in blocchi ostili” e impedire il raggiungimento degli obiettivi globali. “Stanno cercando di costringere il mondo a giocare secondo le loro regole egocentriche”.
Ma negli attacchi di Lavrov c’è spazio anche per gli europei. “Non hanno mantenuto alcun tipo di promessa, comprese quelle legalmente vincolanti e hanno esercitato metodi di sottomissione quasi coloniali. L’Occidente ha da tempo rifiutato il principio di uguaglianza, guardando il resto del mondo dall’alto in basso. Come ha sottolineato Vladimir Putin, l’Occidente è un impero di menzogne”.
Terminata la frase, la portavoce Zacharova fa un cenno con la testa. È il segno che Lavrov non risponderà ad altre domande.
“Thank you”, dice severa. “Spassiba”, le fa eco il Ministro, che accenna un timido sorriso prima di alzarsi dalla sedia, rimettersi gli occhiali e tornare velocemente a sedersi in un gelido Consiglio di Sicurezza dove la discussione è pronta a ripartire.