Milioni di civili sono coinvolti in conflitti in tutto il mondo e l’ONU, dopo i genocidi degli anni Novanta in Rwanda e Bosnia, si era assunta la responsabilità di proteggerli per prevenire che simili atrocità potessero riaccadere. In sostanza, la risoluzione approvata sulla “reaponsility to protect” nel 2005 era un avvertimento che le Nazioni Unite sarebbero intervenute quando un governo dava chiari segnali di non riuscire più a proteggere la propria popolazione dalle conseguenze di un conflitto o, peggio ancora, fosse un governo stesso la causa di violenze indiscriminate contro i suoi stessi civili.
Ma questo “interventismo” delle Nazioni Unite causato dalla constatazione che il genocidio del 1994 dei tutsi in Rwanda si sarebbe potuto evitare, è via via sbiadito soprattutto dopo l’intervento in Libia contro il regime di Gheddafi guidato dalle forze NATO con l’autorizzazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. La “responsabilità di proteggere” di quell’intervento, che precipitò la Libia ancora più nel caos, fu considerato – soprattutto dalla Russia ma non solo – un’esca in cui caddero alcuni paesi tesa da chi voleva raggiungere obiettivi politici-strategici come il cambio di regime (tra gli imputati maggiori, la Francia di Sarkozy ancor più degli USA di Obama).
Lunedì all’Assemblea generale si è discusso ancora quanto sia viva questa “responsabilità di proteggere” tra i 193 metri delle Nazioni Unite. “Le vite di milioni di persone dipendono dal significato dato a tale responsabilità”, ha affermato il Consigliere speciale per le questioni relative alla responsabilità di proteggere (R2P) George Okoth-Obbo , presentando l’ultimo rapporto del Segretario generale e parlando a suo nome.
“Questo dibattito annuale ci ricorda di non allontanarci dal nostro impegno, dal nostro dovere, dalla nostra responsabilità di proteggere”. Okoth-Obbo ha affermato che il dibattito offre l’opportunità di riflettere sull’impegno politico e morale cardinale che il mondo ha preso 18 anni fa per garantire che il “contagio delle atrocità di massa” non avrebbe “mai più” segnato l’umanità.

Al vertice mondiale del 2005, gli Stati membri delle Nazioni Unite avevano affermato la loro responsabilità di proteggere le proprie popolazioni da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità.
In tal modo, hanno concordato di sostenersi a vicenda nella realizzazione dei propri ruoli nell’ambito del concetto di R2P e di intraprendere azioni collettive, in linea con la Carta delle Nazioni Unite, laddove gli Stati non fossero in grado o non volessero farlo da soli.
“Tuttavia, innumerevoli civili continuano a essere coinvolti in situazioni di conflitto, violenza e gravi violazioni dei diritti umani che possono equivalere a genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e pulizia etnica”, ha affermato Okoth-Obbo. “R2P quindi rimane ancora imperativo oggi come quando il mondo ha ribadito il ‘mai più’ al vertice mondiale del 2005”.

Nel suo rapporto, il Segretario generale incoraggia gli Stati membri a investire in capacità nazionali e meccanismi di coordinamento per l’individuazione precoce, l’allarme rapido, la prevenzione e la risposta alle atrocità e a sviluppare sistemi migliorati per la raccolta e l’analisi dei dati per identificare i rischi chiave che sono incorporati nei modelli sociali ed economici di privazione o esclusione. Il rapporto esplora anche l’intersezione di un R2P con lo sviluppo, ha affermato Okoth-Obbo.