Quanto è necessaria oggi una riforma delle Nazioni Unite, la più importante istituzione multilaterale nata nel 1945 a San Francisco quando la Seconda Guerra Mondiale finiva con i micidiali colpi nucleari di Hiroshima e Nagasaki? L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’impossibilità del Consiglio di Sicurezza di evitarla, ha dato un’ ulteriore spinta alle forze “emendatrici” della Carta dell’ONU. L’attuale composizione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Quindici membri di cui cinque permanenti con diritto di veto e dieci eletti dall’Assemblea Generale per due anni, cinque ogni anno) non è più in linea con le realtà di un mondo interconnesso e multipolare, su questo sembrano d’accordo tutti. Ma poi quando si tratta di trovare la formula giusta per riformare l’organo vitale ma “molto malato” dell’ONU, ecco che arriva il guazzabuglio di proposte che blocca tutto da almeno 30 anni.
Eppure in questi ultimi mesi, la pressione sul Palazzo di Vetro per spingere una riforma è diventata più forte. Sarà l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, un membro permanente con diritto di veto, che ha messo sotto i riflettori la disfunzionalità dell’organo multilaterale che dovrebbe preservare la pace e la sicurezza nel mondo, o sarà anche per l’impazienza mostrata da quei paesi (soprattutto l’India) che puntano ad ottenere un seggio permanente, ma da qualche mese si susseguono alle Nazioni Unite incontri serrati e conferenze affollate, in cui le varie formule di riforma del Consiglio cercano di accaparrarsi consensi per arrivare in tempi brevi a un voto di modifica della Carta ONU in Assemblea Generale. Ricordiamo che per passare, la risoluzione di emendamento dovrà ottenere i 2/3 dei 193 paesi dell’UNGA e poi non incontrare il veto di anche uno dei cinque paesi attualmente permanenti al Consiglio di Sicurezza, che ricordiamo sono i vincitori della Seconda Guerra Mondiale: Stati Uniti, Russia (prima URSS), Cina (prima il governo in esilio a Taiwan), Francia e Regno Unito.

Tra le tante proposte, due si distinguono e hanno più probabilità di competere allo sprint finale per il voto dell’UNGA: una che punta ad allargare il Consiglio di Sicurezza aumentando anche i membri permanenti (anche senza diritto di veto): i maggiori sponsor di questa proposta sono la Germania, il Giappone, il Brasile e la già nominata India (+ un paese africano ancora da scegliere…). Ma c’è un’altro gruppo concorrente, in cui l’Italia da sempre gioca un ruolo di leadership, chiamato “Uniting for Consensus”, che propone l’allargamento ma senza aggiungere membri permanenti ai cinque che ci sono già. La proposta di quest’ultimo prevede invece un Consiglio di Sicurezza con un totale di 26 membri, dando all’Africa sei seggi (per ora ne ha tre) e quindi il maggior incremento. Nella proposta di “Uniting for Consensus”, si prevedono anche dei seggi non permanenti ai quali però sarebbe data la possibilità di essere confermati per più di due anni (tramite voto dell’Assemblea) senza dover uscire dal Consiglio.

La scorsa settimana, l’India, insieme al Brasile, Sud Africa e la piccola Saint Vincent e Granadine, hanno organizzato una conferenza al Palazzo di Vetro, intitolata “Shifting the Balance: Perspectives on United Nations Security Council Reforms from Global South Think Tanks”. Seduti in sala abbiamo visto altri diplomatici di paesi membri (tra cui l’ambasciatore Maurizio Massari dell’Italia) ma gli interventi per lo più erano riservati agli accademici, oltre ai rappresentanti dei paesi organizzatori.
La riunione è stata aperta da Ruchira Kamboj, l’ ambasciatrice dell’India, che rappresenta ormai il paese più popoloso del mondo e spinge per una riforma del consiglio che non solo preveda nuovi membri permanenti, ma non esclude di ottenere per l’India anche il potere di veto.
Gli speaker invitati hanno definito “perverso e immorale” l’attuale Consiglio di Sicurezza, una perpetuazione del progetto di colonizzazione che non riflette l’ascesa di nuovi poteri e il mutevole panorama geopolitico del “Global South”, affermando che il momento della riforma è ora e lo status quo è insostenibile.
L’ambasciatrice Kamboj, ha dichiarato: “La struttura del Consiglio, progettata in un’epoca diversa, non riflette l’ascesa di nuovi poteri, il mutevole panorama geopolitico e le aspirazioni delle nazioni che lottano per un ordine globale più giusto e più equo”. Kamboj ha sottolineato che l’urgenza della riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è sottolineata anche dalle sfide globali senza precedenti che trascendono i confini.
“Il cambiamento climatico, il terrorismo, le pandemie e le crisi umanitarie richiedono sforzi collettivi e responsabilità condivise”, ha affermato, aggiungendo che un Consiglio di sicurezza riformato “ci consentirà di mettere in comune risorse, competenze e prospettive da una gamma più ampia di paesi, consentendoci di affrontare questi temi con maggiore efficacia e unità”. Affermando che “è giunto il momento per la riforma del Consiglio di sicurezza”, Kamboj ha invitato gli Stati membri a “cogliere” l’opportunità di rivitalizzare e rafforzare le Nazioni Unite rendendole più inclusive, rappresentative e rispondenti ai bisogni e alle aspirazioni di tutte le nazioni. Per Kamboj l’inclusione in un Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riformato di economie e regioni emergenti con crescente influenza politica non è solo una questione di equità, ma una “necessità pragmatica”.

Samir Saran, presidente del think tank indiano Observer Research Foundation (ORF), ha affermato che in un mondo profondamente eterogeneo e multipolare, è “insostenibile” che un gruppo di vincitori di guerre di un altro secolo sia incaricato di gestire il mondo di oggi. “La guerra è storia, così come l’influenza e le capacità di alcuni dei membri nella stanza. Penso che l’attuale struttura del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sia perversa e immorale. È una perpetuazione per molti di noi del Sud del mondo del progetto di colonizzazione. Il fardello della guerra era a carico delle colonie mentre i privilegi della pace avvantaggiavano i colonizzatori e i loro alleati”, ha affermato Saran, che ha osservato che negli ultimi decenni “abbiamo visto come la volontà della maggioranza delle nazioni sia stata negata da uno o più dei membri permanenti” del Consiglio ( Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti).
“Più di recente, l’Ucraina presenta un classico esempio del fallimento del Consiglio di sicurezza ed è un duro promemoria del motivo per cui lo status quo è insostenibile”, ha continuato Saran. “I modelli di voto, le astensioni sulla questione dell’Ucraina indicano chiaramente la necessità di coinvolgere altri che possono contribuire agli sforzi globali per la pace e la stabilità”.
Definendo l’attuale Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite inefficiente, antidemocratico e non rappresentativo, Saran si è chiesto “come possiamo accettare una struttura che escluda l’Africa, l’America Latina e l’Asia democratica, compresa la più grande nazione e democrazia del mondo”, facendo riferimento all’India.
Tra i partecipanti alla tavola rotonda c’erano Matias Spektor, Professore di Relazioni Internazionali presso FGV (Brasile) e Visiting Scholar presso l’Università di Princeton e Senior Researcher, e Gustavo de Carvalho, del South Africa Institute of International Affairs.
Inga Rhonda King, Ambasciatrice e Rappresentante Permanente di Saint Vincent e Grenadine presso l’Onu, ha fatto riferimento ai due principali modelli di espansione che sono stati proposti nel contesto dei negoziati intergovernativi sulla riforma del Consiglio di sicurezza: espansione nelle categorie permanenti e non permanenti – quella appunto spinta dall’India – ed espansione nella sola categoria non permanente con la introduzione dei seggi non permanenti a più lungo termine – quella spinta dall’Italia. “Tuttavia, vorrei invitarvi a scavare un po’ più a fondo, riconoscendo che si tratta di modelli completamente diversi. Vedete la possibilità di unire uno qualsiasi degli elementi per arrivare a un modello di compromesso che otterrebbe la più ampia accettazione politica possibile?”.

Il vice rappresentante permanente del Sudafrica all’ONU Xolisa Mabhongo ha fatto riferimento alle osservazioni di de Carvalho, il quale ha osservato che nel 1945 solo quattro paesi africani erano membri dell’ONU e quel numero è ora cresciuto a 54 paesi. “Quindi questa ingiustizia storica nei confronti dell’Africa persiste ancora dopo sette decenni”, ha detto Mabhongo, lamentandosi del fatto che il privilegio di essere un membro del P5 “in realtà si estende oltre il Consiglio di sicurezza. Sappiamo che all’ONU esiste un certo livello di diritto, ad esempio, a determinate posizioni chiave da parte dei membri del P5. Questo è un altro livello di perversione ”, ha detto l’inviato sudafricano, definendo “abbastanza stridente” il fatto che i cinque membri permanenti svolgano un ruolo molto importante nella nomina del Segretario generale delle Nazioni Unite. “Noi partecipiamo alla selezione del SG nell’Assemblea Generale ma sappiamo benissimo che c’è un potere speciale che viene dato al P5s. Quindi, dopo sette decenni, i membri del P5 giocano ancora un ruolo molto importante nella nomina del segretario generale delle Nazioni Unite”, ha affermato il diplomatico sudafricano. Mabhongo ha concordato con la valutazione di Saran secondo cui, non cambiando la categoria permanente del Consiglio di sicurezza, “avremmo di fatto continuato con questa situazione perversa e immorale”.
Che questa sia la volta giusta per arrivare al voto in Assemblea Generale sulle varie proposte entro un anno?
Da fonti della missione d’Italia all’ONU, il paese leader del gruppo “Uniting for Consensus”, ci arrivano segnali che i tempi non sarebbero ancora maturi per arrivare ad un voto di riforma in Assemblea Generale. “La conferenza è stata un’occasione mancata per aprire a tutti la discussione, ma l’India invece ha cercato solo di portare l’acqua al suo mulino. In questo momento nessuno ha i consensi per approvare una specifica proposta. Ci sarà ancora da discutere e cercare compromessi. Certamente la sola proposta che per ora non trova nessuno contrario è l’aggiunta di membri non permanenti. Bisogna partire da lì”, ci hanno spiegato dalla missione d’Italia all’ONU.
Eppure quando ai margini delle elezioni per i nuovi cinque membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza per il biennio 2024-25 appena avvenute all’Assemblea Generale dell’ONU, abbiamo chiesto al ministro degli Esteri della neo eletta Sierra Leone, se pensasse che il 2024 sia l’anno della svolta per la riforma del Consiglio di Sicurezza, David J. Francis ha risposto: “Sì e l’Unione africana è pronta a far valere il suo peso”.

Sempre nella stessa occasione, abbiamo notato come la ministra degli Esteri della Slovenia appena eletta al Consiglio di Sicurezza, Tanja Fajon, ha confermato che il suo paese (membro UE e della Nato) appoggia una soluzione che include l’allargamento anche a membri permanenti (con India e Brasile quindi anche Germania e Giappone + un paese africano). La proposta cioè chiamata agli inizi del processo di riforma anche del “quick fix”, respinta dall’Italia e il gruppo “Uniting for Consensus” fin dai tempi in cui c’era al Palazzo di Vetro il mai dimenticato Ambasciatore Francesco Paolo Fulci.
Previsioni? Se noteremo grandi movimenti o passi in avanti riferiremo, ma ci pare che si continuerà a discutere a lungo e che il voto in Assemblea Generale dovrà attendere ancora.