Nei prossimi documenti “top secret” del Pentagono, della CIA, del Dipartimento di Stato, che prima o poi “goccioleranno” su internet, vorremmo leggere anche le analisi preparate per la Casa Bianca delle mosse geopolitiche del Brasile, il più potente paese americano dopo gli USA.
Tra i “pesi massimi” del mondo che in questi giorni preoccupano non poco l’amministrazione Biden, un ruolo di primo piano spetta al gigante del Sud America. Quando l’attuale presidente ex sindacalista Lula è tornato al potere sconfiggendo, in elezioni contestatissime, il presidente ultra destra Jair Bolsonaro, alla Casa Bianca avranno tirato un sospiro di sollievo, dato che il leader uscente era stato – forse più nei modi che nei fatti – un fedele alleato di Trump, e per l’amministrazione Biden non averlo più al potere doveva certamente sembrare un vantaggio. Calcolo rivelatosi molto presto sbagliato.

Luiz Inacio Lula da Silva, si è dimostrato un osso ancora più duro da digerire per certe strategie globali perseguite dagli Stati Uniti, perché la politica estera di ogni paese, più che dalla personalità o dalle ideologie di chi guida le nazioni – Meloni ne dovrebbe sapere qualcosa-, viene soprattutto alimentata da improrogabili interessi nazionali, che sono certi e non cambiano con l’alternanza dei governi.
La guerra in Ucraina, con schieramenti “bianco o nero” fissati immediatamente nello scacchiere internazionale dalla Casa Bianca – o si è con l’Ucraina contro la Russia, o si è con Putin contro gli USA -, mentre ha trovato in Europa un consenso obbediente – almeno nelle cancellerie governative se non in tutta l’opinione pubblica – non è stato così nel resto del mondo. Non si deve andare fino a Pechino per trovare, se non della “comprensione” alle pseudo ragioni del regime di Putin all’invasione del 24 febbraio, la ricerca di mantenere una “neutralità” tra i combattenti che fa tanto arrabbiare chi si schiera “senza se e senza ma” con l’aggredita Ucraina.
Quindi ecco il gigante India, che fin dai primi giorni dell’invasione russa, quando ancora sedeva nel Consiglio di Sicurezza come membro non permanente (ripetendo un giorno sì e l’altro pure che vuole la riforma per essere promosso permanente), non votare le risoluzioni americane contro la Russia “astenendosi”. Ecco addirittura la Turchia – membro NATO! – il cui autoritario presidente Erdogan mantiene costruttivi rapporti con il Cremlino per poter “mediare” prima una pace subito “silurata” dagli USA, e poi almeno quell’accordo per il grano del Mar Nero senza il quale in milioni avrebbero rischiato in Africa e non solo di morire di fame. Ecco il Sud Africa (un altro pretendente a membro permanente dell’UNSC), che sia nei discorsi ascoltati all’Assemblea Generale sulle risoluzioni presentate dagli USA e l’UE contro l’invasione russa dell’Ucraina, faceva certi “distinguo” fino a non votarle. Ecco quindi il Brasile di Lula, pure lui tra i maggiori pretendenti a salire di gradino nelle gerarchie dell’ONU, votare nel Consiglio di Sicurezza addirittura con Russia e Cina la risoluzione che voleva stabilire una commissione di inchiesta ONU sull’attacco al Nord Stream gas pipeline (risoluzione bocciata per l’astensione di tutti gli altri 12!).

Quindi appare esagerato, dopo il viaggio di Lula in Cina della settimana scorsa, darla come se fosse “sorprendente” la notizia della posizione “equidistante” del Brasile sulla guerra in Ucraina. Ma dove sta la novità? Anche alla Casa Bianca hanno fatto la mossa di mostrarsi “sorpresi”, commentando qualche giorno dopo le dichiarazioni del ministro degli Esteri brasiliano, Mauro Vieira, che lunedì a Brasilia aveva accanto il suo omologo russo, Sergei Lavrov. “Siamo rimasti colpiti dal tono della conferenza stampa del ministero degli Affari Esteri, che non ha usato un tono di neutralità ed ha suggerito che Stati Uniti ed Europa non sono interessati alla pace o condividono la responsabilità della guerra, questo è completamente sbagliato”, secondo le parole della portavoce di Biden alla Casa Bianca, Karine Jean-Pierre.
Critiche americane al Brasile che si aggiungevano a quelle mosse due giorni prima dal portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale degli USA, John Kirby, che aveva attaccato le dichiarazioni di Lula (“pappagallo della propaganda di Putin”) durante il suo viaggio in Cina e negli Emirati Arabi Uniti, in cui il presidente brasiliano aveva descritto la posizione di Washington “che incoraggia la guerra” e che con l’UE dovrebbe invece “incoraggiare la pace”.
Certo, Lula dopo aver ricevuto una valanga di critiche dall’Occidente, ha dovuto abbassare i toni, e ribadire che il Brasile denuncia “la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina”, ma c’è un messaggio del presidente brasiliano che resta solido nelle cancellerie mondiali, sia di paesi piccoli che grandi: il Brasile non solo si riconosce come potenza più adatta per una mediazione di pace tra Russia e Ucraina (anche se quest’ultima ha già criticato l’iniziativa), ma anche si candida per guidare quel mondo, tanto stufo quanto terrorizzato, dal confronto da “guerra fredda” tra USA e Cina che ci avvicina ad una guerra mondiale fine del mondo.

(UN Photo/Eskinder Debebe)
Che gli USA di Biden abbiano esagerato, non solo in Ucraina, ma anche nella politica di confronto per la “supremazia” mondiale con la Cina, non lo dice solo Lula nei suoi viaggi all’estero, ma ormai è oggetto di discussione tra celebri prof. di università americane Ivy League, così come di Think Tank dell’establishment USA non certo mal disposti nei confronti dell’amministrazione Biden.
Lula può cavalcare questa politica “equidistante” tra Russia (o meglio Cina) e gli USA-NATO, perché avverte la popolarità di mezzo mondo, che non sono solo le isolette sperdute dell’Oceano Pacifico, ma giganti di continenti come India e Sud Africa. E infatti l’accelerazione sulla comunità economica di sviluppo intorno ai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), con la ricerca di una valuta di scambio commerciale alternativo al dollaro spinta proprio da Brasilia, fa ben capire che le “esternazioni” del Lula viaggiatore, non sono gaffe da ritrattare, ma strategie di politica estera seria di una delle potenze mondiali.
Come avevamo notato in un punto stampa al Palazzo di Vetro dell’ONU con il ministro italiano Antonio Tajani alla fine di un voto sull’Ucraina in Assemblea Generale che non ci sembrò affatto così “vittorioso”, la Russia non è più isolata come sembrava all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Anche l’Europa – come ha esternato Macron per primo – ne deve tener conto.

Il Brasile di Lula (e anche senza Lula) vuole essere tra i maggiori paesi che incoraggiano gli scambi commerciali come alternativa alla guerra. Incoraggiare la pace significa questo, e il Brasile spingerà anche contro la strategia delle sanzioni, pensando non solo alla Russia ma anche a paesi come Iran e Nord Corea. Quando la prossima settimana al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite siederà nel posto della presidenza il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, fresco da un viaggio in Brasile, cercheremo di capire quante chance abbia questa strategia brasiliana per essere tra i principali mediatori per la fine dei conflitti militari di oggi e di domani.