“Siamo qui per cercare di non far dimenticare la tragica situazione in cui versa Haiti, oscurata da altre crisi nel mondo”. Così ha esordito venerdì al Palazzo di Vetro a New York l’inviato ONU Tareq Talahma, Direttore ad interim della Divisione operazioni e advocacy dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, al termine di un viaggio di due giorni ad Haiti. Con lui c’erano Osnat Lubrani, direttore ad interim e capo della sezione umanitaria di UN Women di Ginevra, e Dominic MacSorley, ambasciatore umanitario per Concern Worldwide.
Ma la sala che fino a qualche minuto prima era piena di giornalisti per il briefing del portavoce del Segretario Generale, quando è stata la volta di “non far dimenticare” Haiti, invece si è quasi svuotata. Siamo rimasti ad ascoltare in tre colleghi, con l’aggiunta di un gruppo di studenti in fondo alla sala che con la loro presenza hanno reso meno triste la constatazione di quanto poco interessino le sorti di Haiti ai grandi media internazionali.

Invece la situazione umanitaria ad Haiti si deteriora di giorno in giorno, con una spirale di violenza, abuso di diritti umani ed emergenze alimentari, nonché un’epidemia di colera, con gli inviati delle Nazioni Unite che hanno lanciato un appello urgente per un maggiore accesso e risorse per raggiungere persone in disperato bisogno.
Tareq Talahma ha detto che l’influenza delle bande armate sta crescendo esponenzialmente nella capitale, Port-au-Prince, e che queste ormai controllano il 60% del paese. Soprattutto la violenza armata, compresi rapimenti e violenze sessuali contro donne e ragazze, è in costante aumento. Talahma e i suoi colleghi hanno incontrato persone bisognose di aiuti umanitari, molte donne e bambini vittime di violenze e continuamente la voce di questi operatori umanitari si incrinava al ricordo delle testimonianze. Gli inviati ONU hanno anche tenuto colloqui con il primo ministro Ariel Henry e altri alti funzionari del governo haitiano.
Ma i funzionari delle Nazioni Unite e delle ONG hanno anche incontrato i rappresentanti della comunità delle aree controllate o sotto l’influenza di bande armate.
La sofferenza di un bambino haitiano oggi non è paragonabile alla sofferenza di un bambino haitiano qualche anno fa. Come umanitari, stiamo trovando modi per raggiungere i bisognosi, anche nelle aree controllate dalle bande. Perché ciò avvenga in modo sostenibile, abbiamo anche bisogno che la comunità dei donatori non si arrenda ad Haiti.
Nonostante le difficoltà, i funzionari delle Nazioni Unite e delle ONG hanno notato che la risposta umanitaria continua a essere intensa e hanno offerto un sostegno ancora maggiore agli operatori umanitari sul campo.
La popolazione, disperata, cerca di resistere ma sono migliaia coloro che avrebbero bisogno urgente di sostegno sanitario e psicosociale, ma anche di mezzi di sussistenza.

Quest’anno, l’ONU e i suoi partner umanitari avranno bisogno di 715 milioni di dollari per aiutare più di tre milioni di persone ad Haiti. Si tratta di più del doppio della somma impugnata per lo scorso anno, l’importo più alto dal terremoto del 2010.
Quando abbiamo fatto notare a Talahma che in questi mesi sono stati diversi coloro a informarci della tragica situazione di Haiti, con lo stesso Segretario Generale Guterres che aveva esortato il Consiglio di Sicurezza ad intervenire inviando una forza militare per proteggere i civili, ma cìò non è successo e la violenza delle gang contro i civili continua a peggiorare. Che fare?
Talahma ha avvertito: “Più che semplice assistenza umanitaria, ciò di cui il popolo di Haiti ha bisogno è pace, sicurezza e protezione”, e poi ha rivelato: “Io ho incontrato anche molti leader di queste gang. E so che darà forse fastidio quello che sto per dire, ma ho detto loro che si potevano continuare ad ammazzare tra di loro, ma dovevano lasciare in pace la popolazione civile e gli operatori umanitari che cercano di aiutarla”. E che cosa hanno risposto questi leader delle gang? “Hanno ripetuto che sono gli altri che sparano, che loro devono difendersi, che tocca alle altre bande smettere. La situazione può solo andare a peggiorare, ci vuole un intervento da fuori per spezzare questa ondata fuori controllo di violenze”.

Gli operatori dell’ONU hanno rivelato violenze inaudite: le gang non rapiscono e violentano più solo in strada, ma entrano nelle case e dopo aver violentato la madre spesso davanti ai figli, fanno “firmare un contratto”, in cui intimano al capo famiglia che torneranno tra qualche giorno e se non avrà i soldi richiesti, violenteranno anche le figlie. Inoltre sempre più ragazzi giovanissimi, anche di otto anni, vengono rapiti e costretti a combattere per le gang…
Mercoledì scorso, la direttrice dell’Ufficio integrato dell’Onu a Port au Prince, Helen La Lime, aveva rivolto un ennesimo appello alla comunità internazionale affinché provveda una assistenza maggiore al governo di Haiti per contrastare la violenza nel Paese che ha raggiunto livelli di massimo allarme. La Lime ha sostenuto che “gli aiuti e la formazione che la comunità internazionale fornisce alla polizia di quel paese caraibico sono insufficienti per la lotta contro le bande… è venuto il momento di cercare nuove alleanze” per risolvere il problema di Haiti, “il dispiegamento di una forza straniera specializzata”, come chiesto nell’ottobre scorso dal premier Ariel Henry.
Intanto il Segretario Generale Antonio Guterres pochi giorni fa ha scelto María Isabel Salvador, ex ministro degli affari esteri dell’Ecuador, per guidare la missione politica delle Nazioni Unite ad Haiti, nota come BINUH, con il suo acronimo francese. Sostituirà La Lime, l’ex ambasciatrice degli Stati Uniti in Angola, che è ad Haiti dal 2018, e ha supervisionato gli ultimi giorni della chiusura della missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite durata 15 anni. La Lime ha ricevuto non poche critiche dagli haitiani per la sua gestione delle varie crisi degli ultimi anni.