Altro che prima e fertile oasi di primavera araba, in Tunisia ormai è sceso il gelo della repressione voluta dal regime del presidente Kaïs Saïed.
Dopo aver sciolto il Parlamento nel luglio del 2021 per farne eleggere un altro che fosse più “mansueto” nei confronti di una nuova Costituzione tunisina scritta a sua immagine e convenienza (elezioni che poi risultarono un fallimento per la percentuale bassissima di partecipazione al voto), Saied ha accelerato sul fronte della repressione dell’opposizione politica e dei dissidenti. Una nuova ondata di arresti è stata lanciata contro i “pericoli” per la sicurezza dello Stato e la “corruzione”. Negli ultimi tre giorni, sono finiti dietro le sbarre due ex giudici, un avvocato, un importante uomo d’affari, il capo di una stazione radio e il leader del partito politico islamista Ennahdha.
Eppure qualcosa si muove per salvare quel che rimane della democrazia in Tunisia. All’ONU di Ginevra ieri c’è stato un sussulto. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha espresso preoccupazione per l’inasprimento della repressione in Tunisia nei confronti di presunti oppositori politici del presidente Saied. In una dichiarazione rilasciata dal portavoce Jeremy Laurence, L’OHCHR ha notato come il procuratore generale tunisino abbia avviato sempre più spesso procedimenti penali contro i presunti oppositori del presidente, accusandoli di “cospirazione contro la sicurezza dello Stato”, offesa al capo dello Stato o violazione del decreto legge per combattere la criminalità informatica.
#Tunisia 🇹🇳
“We call on the Tunisian authorities to respect due process and fair trial standards in all judicial proceedings and to release immediately all those arbitrarily detained.” – @UNHumanRights pic.twitter.com/JdpNmmd9Cd
— UN Geneva (@UNGeneva) February 14, 2023
“Siamo inoltre preoccupati per il fatto che alcuni dei detenuti con l’accusa di aver criticato il governo siano stati processati in tribunali militari. Chiediamo alle autorità di cessare immediatamente i processi ai civili davanti ai tribunali militari”, ha affermato Laurence.
L’OHCHR ha esortato le autorità tunisine a rispettare gli standard del giusto processo e del processo equo in tutti i procedimenti e a rilasciare immediatamente tutti coloro che sono stati arbitrariamente detenuti. Laurence ha aggiunto che dal luglio 2021 le autorità hanno anche adottato una serie di misure che hanno minato l’indipendenza della magistratura, tra cui lo scioglimento dell’Alto Consiglio giudiziario e il licenziamento di 57 giudici.
“Chiediamo alle autorità di lavorare per allineare la legislazione, le procedure e le pratiche del settore giudiziario alle norme e agli standard internazionali applicabili e, attraverso la separazione dei poteri, per sostenere l’indipendenza della magistratura e lo stato di diritto”, ha affermato l’OHCHR.
Basterà la “tirata d’orecchie” di Turk a Saied o ci vorrà ben altro?
Oggi, al briefing al Palazzo di Vetro con il portavoce del Segretario Generale Stephan Dujarric (dal min. 24:48), abbiamo chiesto se Antonio Guterres, dopo gli ultimi arresti dei leader dell’opposizione e di giornalisti, avesse intenzione di chiamare il presidente tunisino: forse ci ha già parlato? Qual è il suo piano per evitare che il paese tunisino precipiti nel caos o nella dittatura? Dujarric ha risposto: “Non sono a conoscenza di alcuna telefonata. Ma come ho detto ieri, stiamo ovviamente seguendo molto da vicino e con preoccupazione la situazione in Tunisia. Continuiamo a incoraggiare e ad aprire un dialogo politico inclusivo in Tunisia, nel pieno rispetto dello stato di diritto, delle norme e degli standard internazionali applicabili in materia di diritti umani”.

Ovviamente la piccola Tunisia non può essere al centro dei gravi problemi mondiali del momento, ma per quanto riguarda l’Italia, l’arrivo del caos nel paese confinante con la Libia potrebbe avere conseguenze incalcolabili nell’area del Mediterraneo, sia per quanto riguarda il flusso di migranti, che quello di terroristi. Per non parlare del gasdotto algerino che arriva in Sicilia passando per la Tunisia.
Trentasei anni fa, fu il premier italiano Bettino Craxi a “sistemare” la situazione instabile nel paese nord africano agevolando la caduta di Burghiba e la presa del potere di Ben Alì. Potrebbe oggi il governo di Giorgia Meloni usare gli stessi metodi “sbrigativi” nel paese che solo undici anni fa sembrava avesse indicato al mondo arabo la strada della democrazia? Intanto la Tunisia si affianca alla Libia come problema principale della politica estera italiana.