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L’Afghanistan verso l’abisso senza donne al lavoro. Ma l’ONU spera ancora nei talebani

La delegazione umanitaria guidata da Martin Griffiths torna da Kabul e dice: "Ci è stato chiesto di essere pazienti"

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
L’Afghanistan verso l’abisso senza donne al lavoro. Ma l’ONU spera ancora nei talebani

Martin Griffiths, Under-Secretary-General for Humanitarian Affairs and Emergency Relief Coordinator, briefs reporters on the situation in Afghanistan after a recent visit to the country. (UN Photo/Loey Felipe)

Time: 5 mins read

A pochi giorni dalla conferenza stampa della Vicesegretario dell’ONU Amina Mohammed, sull’Afghanistan è arrivato anche l’allarme del responsabile delle operazioni umanitarie delle Nazioni Unite. Al Palazzo di Vetro Martin Griffiths ha avvertito che il divieto dei talebani alle donne che lavorano nel settore umanitario in Afghanistan è “un potenziale colpo mortale” per molti importanti programmi umanitari che quest’inverno potrebbe avere conseguenze disastrose. Eppure le strategie dell’ONU per modificare la situazione sembrano quelle dell'”aspetta e spera”.

Griffiths, che con un’altra delegazione ha visitato l’Afghanistan in questi giorni, ha detto che il suo gruppo (che fa parte dell’ Inter-Agency Standing Committee- IASC) includeva organizzazioni di aiuto internazionali che sono convinte che le donne afgane sono fondamentali per le operazioni umanitarie. La delegazione umanitaria ha avuto incontri la scorsa settimana con nove funzionari talebani, inclusi i ministri degli affari esteri e dell’economia dell’Afghanistan.

“Ci è stato chiesto di essere pazienti”, ha detto Griffiths. “Ci è stato detto che le autorità talebane stanno sviluppando linee guida che dovrebbero fornire, presumibilmente, il funzionamento delle donne nelle operazioni umanitarie”. Per Griffiths il messaggio dei talebani “che ci sarà un posto per le donne che lavorano” era “un messaggio leggermente condiscendente, ma è importante”.

Griffiths ha osservato che dopo l’editto dei talebani del 24 dicembre che vietava ai gruppi umanitari di assumere donne afgane, il ministro della sanità ha concesso un’eccezione per le donne nel campo della salute e il ministro dell’istruzione ha concesso un’eccezione per quelle coinvolte nell’istruzione primaria. Quindi il capo dell’OCHA ha detto che la delegazione umanitaria ha detto ai talebani che se non avevano intenzione di revocare l’editto “allora dobbiamo espandere queste eccezioni per coprire tutti gli aspetti dell’azione umanitaria”.

I rappresenti IASC hanno ribadito che quella in Afghanistan è la più grande operazione umanitaria del mondo – a sostegno di circa 28 milioni di persone – e che semplicemente non può funzionare senza personale femminile.

Sofia Sprechmann Sineiro (on screen), Secretary General of Care International, briefs reporters on the situation in Afghanistan after a recent visit to the country. (UN Photo/Loey Felipe)

Nei loro incontri con i talebani, la missione IASC ha espresso opposizione ai divieti dell’editto, sperando venisse revocato, e ha sostenuto esenzioni in tutti gli aspetti dell’azione umanitaria.

I talebani hanno replicato che le linee guida sono in fase di sviluppo e gli è stato chiesto di essere pazienti, ha affermato Griffiths. “Sono una persona a cui non piace speculare troppo, perché è una questione di speculazione. Vediamo se queste linee guida arrivano. Vediamo se sono utili. Vediamo quale spazio c’è per il ruolo essenziale e centrale delle donne nelle nostre operazioni umanitarie”, ha detto il capo delle operazioni umanitarie dell’ONU.

“Tutti hanno opinioni sul fatto che funzionerà o meno. La nostra opinione è che il messaggio sia stato chiaramente trasmesso: che le donne sono lavoratrici centrali ed essenziali nel settore umanitario, oltre ad avere diritti, e abbiamo bisogno di vederle tornare al lavoro”.

Quando i giornalisti hanno pressato Griffiths e altri componenti della delegazione con domande in cui si chiedeva cosa accadrebbe se i talebani non concedessero ulteriori eccezioni al loro editto, la risposta è stata la medesima: avverrebbe una catastrofe incontrollabile. Quando è stato chiesto a Griffiths se non sia il caso di mostrare ai talebani anche il bastone oltre alla carota, cioè sarebbero le Nazioni Unite pronte a passare dagli aiuti alle punizioni se i talebani con le loro azioni porteranno il paese alla  catastrofe umanitaria, –  la “responsabilità to protect” esiste ancora all’ONU? – , la risposta di Griffiths è stata disarmante: “Dai miei lunghi anni di esperienza nell’avere a che fare con i talebani, ho ben compreso che la minaccia delle punizioni e la forza non serve a nulla con loro, anzi è comproducente”.

Amina Mohammed la scorsa settimana aveva detto che i talebani vogliono riportare le donne afghane nel Medioevo, Griffiths dice che con loro bisogna aver pazienza, aspettare insomma che ci ripensino: un disastro annunciato?

Gli umanitari avranno bisogno di 4,6 miliardi di dollari per finanziare le loro attività in Afghanistan quest’anno.

Tre anni di condizioni simili alla siccità, declino economico e gli impatti di quattro decenni di conflitto hanno lasciato circa due terzi della popolazione, 28 milioni di persone, dipendenti dagli aiuti, con sei milioni sull’orlo della fame.

Afghan girls take classes at Ekhlas Center, a private educational institution providing free education for nearly 2,000 female students above the sixth grade, in Kabul, Afghanistan, 09 November 2022 (issued 10 November 2022). The center imparts classes related to partial school curriculum, Konkur preparation and sewing techniques. The center, according to its head and main funder Haseebullah Maliar, is at risk of closing due to lack of further funding. Parents of girls who are not able to attend high school due a Taliban ban welcomed the initiative while demanding the reopening of regular schools above the grade six. On 18 September 2021 the Taliban announced the reopening of schools for boys at all levels, while girls were limited to primary education only. EPA/STRINGER 2072

Le donne costituiscono il 30% dei 55.000 cittadini afgani che lavorano per le ONG nel paese, secondo Janti Soeripto, presidente e amministratore delegato di Save the Children. “Senza le donne nelle nostre squadre, non possiamo fornire servizi umanitari a milioni di bambini e donne”, ha affermato. “Non saremo in grado di identificare i loro bisogni; comunicare alle donne capofamiglia, di cui ce ne sono molte in Afghanistan dopo anni e anni di conflitto, e di farlo in modo sicuro e culturalmente appropriato”.

Inoltre, molte donne che lavorano nel settore umanitario sono esse stesse le uniche fonti di sostentamento per le loro famiglie, il che significa che molte più famiglie rimarranno deluse. “Abbiamo chiarito che gli aiuti umanitari non devono mai essere condizionati e non possono discriminare”, ha affermato Soeripto. “Non eravamo lì per politicizzare gli aiuti. Non possiamo svolgere questo lavoro senza le donne in tutti gli aspetti delle nostre catene del valore”.

La perdita di questi preziosi lavoratori arriva anche mentre l’Afghanistan sta affrontando il suo inverno più freddo degli ultimi 15 anni, con temperature che scendono a quasi -30 gradi Celsius, e che stanno provocando già numerosi decessi.

La missione IASC ha visitato una clinica alla periferia della capitale, Kabul, gestita dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) e da un partner locale. I servizi sanitari e nutrizionali critici sono di nuovo operativi ora che il personale femminile è tornato a bordo, ha affermato Sofía Sprechmann Sineiro, segretario generale di CARE International. Anche il personale della clinica ha condiviso una statistica orribile, poiché il 15% dei bambini che cercano aiuto soffre di malnutrizione acuta grave. “Quindi, non ci siano ambiguità. Legare le mani alle ONG impedendo alle donne di dare sostegno salvavita ad altre donne costerà vite umane”, ha affermato, Sprechmann Sineiro parlando da Kabul.

Durante i loro incontri con le autorità di fatto, i capi umanitari hanno anche spinto per la piena inclusione di ragazze e donne nella vita pubblica.

Più di un milione di ragazze afghane hanno perso l’apprendimento a causa dell’ordinanza che le vietava di frequentare la scuola secondaria, che si è aggiunta alle perdite subite durante la pandemia COVID-19.

A group of elementary school girls sit in their classroom at a high school in Nuristan Province, Afghanistan. (Photo UNICEF/Sayed Bidel)

l divieto universitario, annunciato il mese scorso, ha ulteriormente infranto le loro speranze, ha dichiarato Omar Abdi, vicedirettore esecutivo per i programmi dell’UNICEF. “Siamo molto preoccupati per lo sviluppo delle ragazze e delle donne e in particolare per la loro salute mentale. Nel 2023, se l’istruzione secondaria rimane chiusa, si stima che a 215.000 ragazze che hanno frequentato la sesta classe l’anno scorso sarà nuovamente negato il diritto all’apprendimento”, ha affermato.

Nonostante le desolanti prospettive, Abdi ha indicato alcuni segnali positivi. Dopo il divieto, circa 200.000 ragazze continuano a frequentare le scuole secondarie in 12 province e le insegnanti di scuola secondaria continuano a percepire il loro stipendio. “I funzionari che abbiamo incontrato a Kabul… hanno ribadito di non essere contrari all’apprendimento delle ragazze nelle scuole secondarie, e hanno nuovamente promesso di riaprire una volta che le linee guida saranno approvate dal loro leader”, ha affermato il funzionario dell’UNICEF.

Nel frattempo, il numero di classi basate sulla comunità nelle case private e in altri luoghi è raddoppiato a 20.000 nell’ultimo anno, servendo circa 600.000 bambini, più della metà dei quali sono ragazze. “Questi segnali positivi sono il risultato sia dell’impegno delle autorità de facto sia delle pressioni delle comunità locali per mantenere aperte le scuole e le scuole comunitarie”, ha affermato Abdi. “Finché le comunità continuano a richiedere l’istruzione, dobbiamo continuare a sostenere sia il pubblico che altre forme di istruzione, classi basate sulla comunità, corsi di recupero e formazione professionale”.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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