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Nella partita Iran-Stati Uniti vista al Palazzo di Vetro a vincere è lo sport

La vittoria degli USA contro gli iraniani vissuta insieme ai diplomatici di 193 paesi e ai funzionari Onu, tutti a tifare con passione senza tensione

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Nella partita Iran-Stati Uniti vista al Palazzo di Vetro a vincere è lo sport

La partita USA-Iran vista al Palazzo di Vetro dell'ONU (Foto VNY)

Time: 4 mins read

Tutto esaurito nella sala delle Nazioni Unite colma di diplomatici di 193 paesi membri più molti funzionari dell’ONU. Si gioca Iran contro Stati Uniti, partita molto sentita non solo perché vale la qualificazione al prossimo turno  del Mondiale del Qatar. I due paesi da quasi mezzo secolo si sfidano in un confronto politico-ideologico-strategico che ha sfiorato spesso la guerra e fatto tremare il Palazzo di Vetro.

A poche ore dalla partita, la CNN era uscita con la notizia che i giocatori dell’Iran sarebbero stati minacciati dal loro governo: ‘se non vi comportate bene, ce la prendiamo con i vostri parenti’. Le minacce non si riferivano al risultato sportivo, ma a non ripetere la forma di protesta che i giocatori avevano inscenato nella prima partita quando in supporto delle donne iraniane non avevano cantato l’inno. Quando al Portavoce del Segretario dell’Onu avevamo chiesto al briefing se Antonio Guterres avrebbe visto la partita e se avesse prestato attenzione alle forme di protesta e alle presunte minacce nei confronti dei giocatori, Stephan Dujarric ha risposto (min. 17:18): “Guterres sta partendo e non avrà il tempo di vedere la partita, per il resto non abbiamo modo di verificare certe notizie giornalistiche per poterle commentare”.

Il momento degli inni nazionali con la squadra iraniana che canta (Foto VNY)

E’ il momento degli inni e tutti guardano se gli iraniani cantano: sì, lo fanno: ma per orgoglio patriottico o per paura? Cerchiamo i “pezzi da novanta” delle missioni degli USA e dell’Iran, ma almeno all’inizio della partita non si vedono.

C’è un tavolino con su le bandiere a stelle e strisce e delle bevande: è quello della missione USA che offre da bere a chi è venuto per la partita e offerte dagli americani ci sono anche birre e vino al bar. Devi registrarti al banchetto dando nome e cognome e, ma è una battuta, se dici di tifare per gli USA…

La missione degli Stati Uniti all’ONU offre da bere a “chi tifa USA”

Inizia la partita. Gli USA partono all’attacco, devono vincere per passare, l’Iran si difende. A guardare la gente che salta in piedi ogni volta che la squadra in blu sfiora un gol, sembra che il 90% della sala tifi Stati Uniti.

Facciamo subito delle verifiche. Ali, che sta in piedi con accanto una ragazza,  ci dice di essere della Missione dello Yemen, e che sta tifando “per gli USA, spero vincano, non mi piace la politica dell’Iran, per questo spero che venga eliminato”. Chiediamo alla giovane donna che gli sta accanto, anche lei dall’aspetto arabo, è yemenita? “No sono della Palestina”, dice anticipando la risposta alla nostra prossima domanda: “Resto neutrale, guardo il match solo per curiosità”.

Sentiamo parlare italiano, sono due diplomatici della missione italiana che chiacchierano vicini commentando la partita. Quando segnano gli Stati Uniti, con gol di Christian Pulisic, non li vediamo esultare. Curiosi chiediamo: ma tifate per l’Iran? “No, pensavamo fosse fuorigioco…”. Poi sorridenti ci dicono: “Speriamo vinca il migliore e finora sono stati gli USA”. Chiediamo quanto siano dispiaciuti che l’Italia non sia a questi Mondiali e cosa ne pensi l’ambasciatore Maurizio Massari dell’eliminazione degli azzurri: “Si certo, tantissimo e anche lui si sente come il resto degli italiani”.

Il pubblico di diplomatici e funzionari Onu mentre guarda la partita USA-Iran al Palazzo di Vetro (Foto VNY)

Accanto a noi c’è un tifoso degli USA, si vede perché cerca di spostare la gente che gli passa davanti proprio quando gli americani attaccano. “Mi chiamo Jeff, lavoro alla missione del Regno Unito all’ONU, ma sono americano”. Gli USA segnano di nuovo ma l’arbitro annulla, Jeff non ci sta: “Non era fuorigioco per me”. Quando capisce che sono italiano, aggiunge: “Peccato che manchi l’Italia. Io ho cominciato ad appassionarmi al calcio vedendo l’Italia di Buffon e Cannavaro del 2006”.

Un minuto dopo essere stato annullato un gol agli Stati Uniti, ci passa davanti l’ambasciatrice degli USA Linda Thomas Greenfield. Cerchiamo di fermarla, ma c’è troppa gente. Riusciamo a chiederle: che pensa Ambassador? Era fuorigioco? Ci sorride: “Non lo so”. Il suo portavoce rimane a vedere la partita, lei invece si infila in un’aula. Ci avviciniamo e il portavoce subito dice: “Go USA!”. Gli chiediamo se è solo un partita di calcio o c’è molto di più in gioco. “No comment” risponde. Ma l’ambasciatrice che fa, se ne va,  non le piace guardare la partita? “Come no, è appassionata. Ma c’era una riunione del Consiglio di Sicurezza… Sta seguendo il Mondiale, speriamo di continuare, lei sta facendo il tifo per gli USA”.

Iryna è l’emblema delle diverse nazionalità che si incontrano all’ONU: “Sono ucraina, naturalizzata portoghese. Lavoro al Segretariato dell’ONU”. E per chi fa il tifo oggi? “Forza USA! E anche forza Portogallo,  poi evviva l’Ucraina!”.

Una immagine del pubblico dell’ONU durante la partita USA-Iran

Siamo già al secondo tempo. Seduto attentissimo che guarda la partita scorgiamo l’ambasciatore del Marocco Omar Hilale: Per chi tifa oggi ambasciatore? “Per chi gioca meglio. Nel primo tempo hanno giocato meglio gli Stati Uniti e meritano il vantaggio, ora sto vedendo bene l’Iran. Vedremo come va a finire. Comunque oggi si celebra lo sport, la politica resti fuori”. Poi l’ambasciatore del Marocco aggiunge: “Peccato che l’Italia non giochi, gli Azzurri sono gli artisti del pallone e mancano a questo Mondiale”.  Chiediamo del suo Marocco: “Sta andando forte, speriamo che continui così”.

La partita è finita: la sala lancia un grande urlo, sì la maggior parte faceva proprio il tifo per gli Stati Uniti. Vediamo una nostra collega giornalista iraniana, l’avviciniamo: bravi avete giocato bene, per poco pareggiavate. Dal viso di Zahara attorniato dal velo, esce un sorriso caldo: “Sì, grazie, l’Iran ha onorato lo sport, meritava di segnare”. Passa l’ambasciatore del Marocco: “Nel secondo tempo l’Iran poteva pareggiare”.

Il tifoso dell’Iran Amaj Rahimi Midani (terzo da sin) attorniato da amici e altri diplomatici alla fine della partita (Foto VNY)

Mentre si va via, avviciniamo un tifoso dell’Iran che sembra divertirsi con gli amici occidentali che lo circondano. Sorride, non appare afflitto per la sconfitta. Ha addosso abiti tradizionali, si chiama Amaj Rahimi Midani, ci da la sua carta da visita, è un imprenditore fondatore di una azienda chiamata Poseidon, Acquatic Intelligence. Sfoderando un gran sorriso, ci dice: “Sono nato in Iran, ho la nazionalità del Costarica e vivo a New York. Una bella giornata di sport, l’Iran poteva pareggiare. Giovedì torno qui per tifare Costarica”. Attorno ha le Nazioni Unite, americani, irlandesi,  olandesi, e tanti altri che gli stringono le mani. Proprio così, una bella giornata di sport al Palazzo di Vetro che ha fatto dimenticare per due ore le tensioni geopolitiche.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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