Con 13 voti a favore e 2 contrari – quelli del vicepresidente russo Kirill Gevorgian e del cinese Xue Hanqin – la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha stabilito che la Russia “deve sospendere immediatamente le operazioni militari che ha iniziato il 24 febbraio” in Ucraina.
La sentenza – primo verdetto del genere emesso dalla “corte ONU” dall’inizio dell’invasione russa – è in risposta a una causa presentata dall’Ucraina alla fine dello scorso mese, che incolpa la Russia di manipolare il concetto di genocidio per giustificare la sua aggressione militare.
La tempistica non è casuale: giovedì, infatti, il Governo di Mosca presenterà una risoluzione umanitaria al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, giustificando il suo intervento militare in Ucraina proprio sulla base del presunto genocidio ucraino contro le popolazioni russofone del Donbass. La mossa della CIG va quindi letta anche come una maniera di ‘mettere le mani avanti’ rispetto all’interpretazione del diritto internazionale fornita da Mosca.
Ciò premesso, malgrado i verdetti della Corte internazionale di giustizia siano pienamente vincolanti, c’è più di qualche dubbio che Mosca rispetterà la sentenza, dal momento che il tribunale dell’Aja non ha mezzi diretti per farli rispettare.
Il caso
La Corte ha esordito ricordando che il 26 febbraio l’Ucraina ha presentato un ricorso contro la Russia per “una controversia” sull’interpretazione, applicazione e adempimento della Convenzione sul genocidio del 1948.
L’Ucraina sostiene che la Russia, avendo falsamente evidenziato atti di genocidio contro la popolazione delle regioni di Luhans’k e Doneck, avesse dichiarato e attuato una “operazione militare speciale” per prevenire e punire i presunti atti.
La CIG ha chiesto a Mosca di sospendere immediatamente i suoi attacchi e cessare tutte le operazioni militari in quanto basate sullo scopo dichiarato dal Cremlino di prevenire o punire Kyiv per aver commesso un genocidio.
La Corte ha anche sottolineato come la Russia avesse deciso di non partecipare al procedimento orale e, successivamente, avesse presentato un documento con la propria posizione, secondo cui la Corte non avrebbe giurisdizione, e chiedendole di “astenersi dall’indicare misure provvisorie e di rimuovere il caso dalla sua agenda”.
Le condizioni
Nel pronunciare il verdetto, il presidente – lo statunitense Joan E. Donoghue – ha sottolineato che sono state soddisfatte le condizioni necessarie per dare alla CIG l’autorità di indicare misure provvisorie, vale a dire che i diritti rivendicati dall’Ucraina sono plausibili; il genocidio non è stato commesso; e la condizione di urgenza è stata soddisfatta in quanto danni irreparabili possono “verificarsi in qualsiasi momento”.
“In effetti, qualsiasi operazione militare, in particolare una della scala realizzata dalla Federazione Russa sul territorio dell’Ucraina, provoca inevitabilmente la perdita di vite umane, danni mentali e fisici, e danni alla proprietà e all’ambiente”, ha riferito il presidente della CIG.
Per conto della Corte ONU, ha continuato, “la popolazione civile colpita dall’attuale conflitto è estremamente vulnerabile”, aggiungendo che l’aggressione della Russia ha provocato “numerosi morti e feriti civili (…), danni materiali significativi, compresa la distruzione di edifici e infrastrutture”.
“Gli attacchi sono in corso e stanno creando condizioni di vita sempre più difficili per la popolazione civile. Molte persone non hanno accesso agli alimenti più elementari, all’acqua potabile, all’elettricità, alle medicine essenziali o al riscaldamento. Un numero molto elevato di persone tenta di fuggire dalle città più colpite in condizioni di estrema insicurezza”, ha spiegato.
I giudici sono stati peraltro unanimi nell’ordinare che entrambe le parti si astengano da qualsiasi azione che possa “aggravare o estendere la controversia (…) o renderla più difficile da risolvere”.