Sembrava vinta la battaglia delle donne sul Lago Vittoria in Africa e invece siamo punto daccapo. I pescatori hanno ricominciato con i loro schifosi ricatti sessuali ed è tutta colpa del cambiamento climatico, provocato dalle troppe emissioni di gas serra. Si, è proprio così e non sto semplificando troppo il discorso. Il nostro stile di vita da paesi ricchi sta mettendo in ginocchio chi è più povero e le conseguenze dell’innalzamento della temperatura della Terra sono catastrofiche per chi è più debole, come le donne del Lago Vittoria.
Ma cominciano dall’inizio. Da quelle parti il pesce è una fonte di sostentamento per le famiglie e la gerarchia sociale prevede che gli uomini posseggano le barche e si occupino della pesca, mentre le donne hanno le bancarelle per la commercializzazione del pesce nei mercati. Dopo anni di sfruttamento massivo delle acque del lago, però, i pesci sono diminuiti e non sono stati più sufficienti a soddisfare le richieste. Sono così cominciati i ricatti sessuali. I pescatori hanno cominciato a distribuire la loro pesca miracolosa solo alle donne che cedevano alle loro schifose richieste. Donne disperate, perché la sopravvivenza delle loro famiglie dipende dalla vendita del pesce, costrette quindi a scegliere tra un piatto vuoto in tavola per i loro bambini e una prestazione di sesso.
Una situazione drammatica che ha portato anche ad una mortale diffusione di Hiv/Aids. A un certo punto le donne hanno avuto un’idea geniale e sono riuscite a ribaltare gli equilibri di potere. Aiutate dalla ong locale Vired, Victoria Institute for Research on Environment and Development e dai volontari del Peace Corp hanno formato una cooperativa “NO sex for fish, niente sesso in cambio di pesce”, ottenuto finanziamenti americani che hanno consentito l’acquisto di 30 barche. Rompendo il modello culturale locale, si sono messe a pescare in autonomia e la loro vita è cambiata per alcuni anni, sino a quando l’arrivo di violenti piogge e inondazioni ha messo di nuovo in ginocchio le popolazioni dei villaggi sulle sponde del lago Vittoria. Le case sono state distrutte, le barche danneggiate, le richieste di ricatti sessuali sono ricominciate. E’ solo una storia delle tante che si consumano nei paesi più fragili a spese delle donne. Si fanno ricatti sessuali alle donne in cambio di acqua e di legna per cucinare, ma anche in cambio di un tetto quando una tempesta ha distrutto la casa che ospitava la donna, spesso vedova con bambini da sfamare. Esistono rapporti Onu che evidenziano come il cambiamento climatico colpisca in modo drammatico le popolazioni più povere, e tra queste le donne sono le più a rischio di finire nelle mani di trafficanti senza scrupoli.
A conclusione del G20 il premier Draghi ha affermato che “Non ci può essere una ripresa rapida, equa e sostenibile se ci dimentichiamo di metà del mondo, se lasciamo indietro le donne”.Sono parole importanti che mi hanno colpito, perché per la prima volta la questione di genere è stata trattata come una delle grandi questioni connesse con i cambiamenti climatici. Affrontare le disuguaglianze combattendo contro il cambiamento climatico è la linea del fronte di questa lotta per la parità, ma non se ne parla. “Climate justice” la chiamano gli esperti. Per noi significa garantire alle donne del mondo di non perdere quei pochi diritti che hanno.