Dal 17 Ottobre 1993, in tutto il mondo, si celebra la Giornata Internazionale per l’Eradicazione della Povertà. Venne introdotta per diffondere la consapevolezza delle persone sulla necessità di eradicare la povertà e la miseria in tutto il mondo (in particolare nei paesi in via di sviluppo). Un tema delicato e importante: non è un caso se è il primo degli Obiettivi dello Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Eppure questo problema è ben lontano dall’essere stato risolto, come del resto avverte anche il Segretario Generale dell’ONU Antoni Guterres nel lanciare l’allarme.
Nel mondo sono più di un miliardo (1,3) le persone che vivono in condizioni di “povertà multidimensionale e persistente”. La pandemia da COVID-19 ha peggiorato la situazione: secondo alcuni studi, le misure imposte per limitare la diffusione della pandemia hanno peggiorato la situazione per le fasce più deboli della società (anche quelle forme di economia “informale” che consentivano a molte persone in povertà di sopravvivere sono state chiuse per ridurre i rischi di contagio).
Secondo il rapporto della Banca Mondiale sugli impatti previsti della povertà di COVID-19, “tra 71 e 100 milioni di persone vengono spinte nella povertà a causa della crisi, con la maggior parte dei nuovi poveri estremi che si trovano nei paesi dell’Asia meridionale e sub-sahariani dove i tassi di povertà sono già alti”. E la situazione non sembra destinata a migliorare. Almeno nel breve e medio periodo: nel 2021, questo numero dovrebbe salire con un numero tra i 143 e 163 milioni “nuovi” poveri.
Anche nei paesi “sviluppati” la povertà è in aumento. In Italia, secondo le stime dell’Istituto nazionale di statistica, nel 2020 erano oltre due milioni le famiglie in povertà assoluta (con un’incidenza pari al 7,7%), per un totale di oltre 5,6 milioni di persone. Con un significativo aumento rispetto all’anno precedente. Come nei paesi più poveri, in Italia, ad essere più colpite sono le aree più deboli. Come il Mezzogiorno (9,4%, da 8,6%). Ma anche altre aree del paese hanno mostrato una crescita rilevante dei poveri. Anzi, in alcuni casi, questo aumento è stato sorprendente. “Tale dinamica – spiegano gli esperti dell’ISTAT – fa sì che, se nel 2019 le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura al Nord (43,4%) e nel Mezzogiorno (42,2%), nel 2020 arrivano al 47% al Nord contro il 38,6% del Mezzogiorno, con una differenza in valore assoluto di 167mila famiglie”.
Nel Bel Paese, le famiglie con minorenni in povertà assoluta sono oltre 767mila. E anche loro sono in aumento: dal 9,7% del 2019, sono diventate l’11,9%, nel 2020. Un peggioramento drastico. “L’incidenza della povertà tra le famiglie con minori varia molto a seconda della condizione lavorativa e della posizione nella professione della persona di riferimento: 9,4% se occupata (15,8% nel caso di operaio) e 22,3% se non occupata (29,1% se è in cerca di occupazione). La cittadinanza ha un ruolo importante nel determinare la condizione socio-economica della famiglia. È in condizione di povertà assoluta l’8,6% delle famiglie con minori composte solamente da italiani (in crescita rispetto allo scorso anno) e il 28,6% delle famiglie con minori composte solo da stranieri”, si legge nel report. Ma queste sono solo le famiglie in povertà assoluta. A loro, bisogna aggiungere più di 2,6 milioni di famiglie in condizioni di povertà relativa. Complessivamente sono circa 8 milioni le persone che vivono in condizioni di povertà!
Come sempre a pagare il prezzo più caro sono i minori. In Italia, i minorenni in povertà assoluta sono un milione 337mila (pari al 13,5% del totale della popolazione sotto i 18 anni, una percentuale ben maggiore della percentuale degli adulti: 9,4%). Per loro, non deve essere trascurato il rapporto che esiste tra povertà economica e povertà educativa. Ovvero l’impossibilità per i bambini e gli adolescenti di crescere, di sviluppare capacità, inclinazioni e talenti se si trovano in condizioni di povertà. Due fenomeni interconnessi che riducono le prospettive di milioni di adolescenti di raggiungere i propri obiettivi.
Che fine ha fatto la Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 1989 (approvata in Italia nel 1991)? L’articolo 27 di quello che è uno dei più importanti trattati internazionali sancisce il diritto di ogni bambino e adolescente a un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale è un diritto fondamentale. Un diritto spesso negato a oltre un oltre 380 milioni di bambini che vivono in condizioni di pevertà estrema.
Tra gli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile, la sottomisura 1.1 prevedeva di riuscire, entro il 2030, a eradicare la povertà estrema per tutte le persone in povertà estrema (misurata come persone che vivono con meno di $ 1,25 al giorno). Una meta che appare sempre di più irraggiungibile. E poi la sottomisura 1.2.2, che prevedeva di dimezzare la percentuale di uomini, donne e bambini di tutte le età che vivono in povertà (secondo le definizioni nazionali): oggi oltre metà della popolazione mondiale (4 miliardi di persone) vive in condizioni di “povertà”. Come si spera di dimezzarne il numero entro il 2030?
Dei poveri sembra non importare a nessuno: la percentuale della popolazione coperta da piani/sistemi di protezione sociale, per sesso, distinguendo i bambini, i disoccupati, gli anziani, le persone con disabilità, le donne incinte, i neonati, le vittime di infortuni sul lavoro e i poveri e i vulnerabili resta bassissima (al contrario di quanto previsto dalla sottomisura 1.3.1).
In tutto il pianeta, per i poveri, non c’è la ragazzina di turno che riempie le prime pagine dei giornali. E nessun capo di stato o di governo ha deciso di incontrare l’influencer di turno parlare di come risolvere i problemi (e sono tanti) dei poveri.
Dei poveri (e della povertà dilagante) sembra non importare a nessuno. Neanche il 17 Ottobre, la Giornata internazionale per l’eradicazione della Povertà.