In Italia, si è riaperta la diatriba circa la scelta tra didattica a distanza e far tornare gli adolescenti a scuola. Da un lato in molti istituti si sono già tenute assemblee per spingere per il ritorno alla didattica tradizionale; dall’altro, i dati dei contagi lasciano intravedere per le prossime settimane un inasprimento delle misure cautelari per studenti e docenti e il ritorno alla DAD, la didattica a distanza.
Un problema che sebbene in misura e in modo diverso riguarda tutti i paesi. Nei giorni scorsi, per sensibilizzare l’attenzione della gente su questo argomento, l’UNICEF ha realizzato “Pandemic Classroom”, un’aula modello composta da 168 banchi e sedie vuoti. Dietro ogni sedia vuota è stato appeso uno zaino vuoto, un segnaposto per ricordare il vuoto che c’è stato (e continua ad esserci). Il segnale è chiaro: ogni banchetto rappresenta un milione di bambini per i quali le scuole sono state quasi interamente chiuse: un “solenne promemoria delle aule in ogni angolo del mondo che rimangono vuote”, ha detto UNICEF. Un gesto indubbiamente molto comunicativo, ma che potrebbe celare problemi ancora più gravi.
“Mentre ci avviciniamo al limite di un anno della pandemia di COVID-19, ci viene nuovamente in mente la catastrofica emergenza educativa che i blocchi mondiali hanno creato”, ha detto Henrietta Fore, executive director dell’UNICEF . “Ogni giorno che passa, i bambini che non sono in grado di accedere alla scuola di persona cadono sempre più indietro, con i più emarginati che pagano il prezzo più pesante”. É questo il problema più grave: per centinaia di milioni di bambini, il lockdown potrebbe causare un aumento del divario già notevole che li separava dai coetanei di altri paesi.

Ad essere più colpiti dalla mancanza di istruzione sono i paesi più poveri: Asia, Africa ma anche Amrica Latina. Nove dei 14 paesi, dove le scuole sono rimaste chiuse più a lungo tra Marzo 2020 e Febbraio 2021, si trovano nella regione dell’America Latina e dei Caraibi (negli altri paesi la situazione non è meno grave ma dato che la carenza di servizi educativi era già grave prima del lockdown la si è notata di meno). A tenere le scuole chiuse per la maggior parte dei giorni è stata prima di tutto Panama, seguita da El Salvador, Bangladesh e Bolivia. Solo nell’America Latina la chiusura forzata ha colpito quasi 100 milioni di studenti.
Dopo aver camminato lungo i banchi vuoti sistemati davanti la sede delle Nazioni Unite di New York, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres è rimasto senza parole e ha definito “una tragedia” lo sbalorditivo numero di bambini che hanno perso l’opportunità di ricevere una educazione.
La realtà, però, è molto più grave di quanto si immagini guardando le file di banchi vuoti dell’UNICEF: sono circa 214 milioni – uno su sette in tutto il mondo – i bambini che hanno perso più di tre quarti dell’apprendimento di persona. A loro, però, si devono aggiungere gli oltre 888 milioni i minori che ancora oggi si trovano a dover affrontare interruzioni nel percorso scolastico a causa della chiusura completa o parziale delle scuole. Le conseguenze per l’apprendimento e il futuro di questi bambini saranno inevitabili. Molti di quelli che non sono in grado di accedere all’apprendimento a distanza rischiano di non tornare mai più in classe, a volte costretti al lavoro minorile e a diventare spose bambine. O a diventare migranti.

In molti paesi del mondo i bambini si affidano alle scuole come luogo per crescere, interagire con i coetanei, ricevere aiuto, accedere ai servizi sanitari e immunizzazione. E magari anche per avere un pasto caldo. Più a lunghe resteranno chiuse le scuole, più saranno i bambini tagliati fuori da ogni possibilità di ricevere questi elementi fondamentali per l’infanzia, ha aggiunto l’UNICEF.
Inascoltato l’appello del direttore esecutivo dell’UNICEF, Fore, che ha invitato tutte le nazioni a tenere aperte le scuole o a dare loro la priorità nella riapertura dei piani in cui sono chiuse. “Non possiamo permetterci di perdere un anno o due di apprendimento scolastico limitato o addirittura di lasciare senza apprendimento scolastico questi bambini. Non si deve risparmiare alcuno sforzo per mantenere aperte le scuole o dare loro la priorità nella riapertura”, ha dichiarato Fore.
Anche Robert Jenkins, Global Chief of Education dell’UNICEF, ha ribadito che enti come le Nazioni Unite (di cui l’UNICEF fa parte), la Banca Mondiale, il World Food Program e l’Agenzia per i Rifugiati dovrebbero chiedere ai paesi di riaprire le scuole il prima possibile. E di farlo in sicurezza. Per questo, già a Giugno scorso, era stato presentato un piano programmatico su come operare. (Chissà come mai in Europa non se ne è mai parlato).

Una giovane ragazza scrive su una lavagna in una scuola elementare in Nigeria.
Ciò nonostante, da Luglio 2020 ad oggi, sono circa una trentina i paesi dove le scuole sono rimaste chiuse completamente. E in una cinquantina di paesi, ancora oggi, gli alunni non possono andare regolarmente a scuola. A Febbraio 2021, erano solo 65 i paesi dove le scuole avevano ripreso la propria attività didattica in modo completo (e tra questi l’Italia non c’è). Nei paesi dell’Europa occidentale, la media di giorni di chiusura totale, aggiornati al 2 Marzo 2021, sono stati ben 52 a fronte di 37 giorni di apertura parziale. Sono solo 87 i giorni di apertura totale. Tra i paesi classificati ad altro reddito, l’Italia è seconda solo a Cipro per “academic break”. Tutti problemi che hanno colpito milioni e milioni di studenti: oltre 2,8milioni nei licei, quasi 1,7 milioni di studenti nelle scuole medie e quasi 4,5 milioni tra primaria e asilo. Un’intera generazione per la quale ci vorranno tempo e sforzi non indifferenti per recuperare quanto è andato perduto e per colmare il gap che li separa dagli adolescenti di altri paesi.
Problemi per i quali pochi ai vertici, hanno pensato di fare qualcosa di concreto, forse distratti dalla volontà di spendere milioni di euro in banchi inutili, spesso rimasti inutilizzati. Nei giorni scorsi, altri banchi sono stati messi davanti alla sede dell’ONU di New York. Una fila lunghissima, attraversando la quale, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha usato parole come “tragedia”, sbalordito dal numero di bambini che hanno perso l’opportunità di ricevere un’istruzione per loro preziosa. “Una tragedia” che non è solo “per loro, una tragedia per i loro Paesi, una tragedia per il futuro dell’umanità”, sono state le amare parole pronunciate da Guterres.