Quando si intraprende la carriera diplomatica, così quando si decide di indossare la divisa dei carabinieri, si sa bene che in alcuni momenti del proprio lavoro si potrebbe rischiare la vita. I diplomatici quando si trovano all’estero sono “in missione”, e questa non si svolge solo sul soffice velluto di una elegante ambasciata, ma capita spesso di sporcarsi anche nella giungla.
Le morte violenta dell’Ambasciatore d’Italia nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio e del carabiniere di scorta, Vittorio Iacovacci, hanno scosso e commosso, soprattutto pensando al dolore delle loro famiglie. Ma questa tragedia ci lascia anche un groppo di amarezza che non vuol scender giù, a causa del sospetto che quella avvenuta oggi non sia stata altro che una tragedia evitabile. Il giovane ma già esperto ambasciatore non si era avventurato per una “missione segreta” ad alto rischio, ma stava recandosi in una scuola nel Nord Est della RDC, nello stato di Kivu, per una visita organizzata dalla missione dell’ONU del World Food Program. Patendo dalla città di Goma, avrebbero raggiunto una scuola nella zona di Rutshuru, per osservare come il programma per l’alimentazione degli alunni stesse procedendo. Il diplomatico lavorava per l’Italia in Congo da quasi quattro anni e si presume che ormai conoscesse le zone di uno sconfinato e sfortunato paese in perenne guerra civile dove la violenza regna sovrana.
Quello che diventa in queste ore molto difficile da comprendere quindi, è come sia stato possibile che l’ONU non abbia assicurato una scorta adeguata ad un diplomatico di alto rango mentre si recava in una parte del Congo infestata da ribelli e che solo un paio di settimane prima aveva visto la morte in un incidente simile di una decina di Ranger che operavano nello stesso parco dove sarebbe dovuto passare il convoglio diplomatico. Secondo quanto pubblica in queste ore Al Jazeera, network d’informazione con molte risorse in Africa, il convoglio con gli italiani sarebbe stato fermato da un gruppo di uomini armati che poi avrebbero trascinato l’ambasciatore e altri componenti del convoglio nella foresta per derubarli. A quel punto l’intervento di altri uomini armati – si pensa che fossero i ranger del parco della zona – avrebbe portato ad un conflitto a fuoco in cui anche l’ambasciatore Attanasio sarebbe stato colpito per poi morire durante il trasporto verso un ospedale. Secondo la fonte di informazione, il carabiniere di scorta e l’autista sarebbero invece stati uccisi subito dopo la cattura.
La domanda a questo punto è ovvia: il convoglio sarebbe mai stato fermato se ci fosse stata una scorta adeguata che l’ONU in questi casi dovrebbe provvedere? Sembra che nell’organizzazione del convoglio qualcosa abbia funzionato malissimo o per nulla.
Oggi al press briefing dell’ONU al Palazzo di Vetro, con altri colleghi giornalisti abbiamo cercato di capire come sia stato possibile che, almeno dalle notizie finora raccolte, il convoglio dell’ambasciatore Attanasio organizzato dal programma WFP dell’ONU sia potuto cadere così facilmente in una imboscata senza alcuna possibilità di difesa. Il portavoce del Segretario Generale Antonio Guterres, Stéphane Dujarric, ci ha detto (vedi video sopra) che non possedeva ancora la completa ricostruzione dei fatti e quindi non avrebbe speculato sul perché non ci fosse stata una scorta adeguata.
A questo punto esigere i fatti che hanno portato alla tragica morte di Attanasio e Iacovacci e del loro autista congolese, Mustapha Milambo, deve diventare una priorità assoluta per il governo Draghi e del suo ministro Luigi Di Maio. Questa volta la verità dovrà essere accertata senza tentennamenti perché chi ha sbagliato, dovrà risponderne. La vita dell’ambasciatore non potrà più essere restituita alla moglie e alle sue tre piccole figlie, così come quella del giovane carabiniere alla giovanissima donna che lo attendeva in Italia per sposarlo tra un mese, eppure tutta la verità su questa evitabile tragedia potrebbe garantire un minimo di giustizia. Se invece le responsabilità non saranno prontamente individuate e punite, diventerà ancora più probabile e ingiustificabile il ripetersi di costi così tragicamente pesanti per la diplomazia italiana e l’arma dei carabinieri.

Chi serve l’Italia all’estero con la stessa passione del diplomatico Luca Attanasio che lavorava per la pace e per portare aiuti ai più bisognosi, si merita di esser protetto. Chi ha sbagliato ancora si dovrà chiarire (L’ONU? Il governo di Kinshasa? La Farnesina? ), ma vigileremo e continueremo a far domande affinché in tempi brevi i responsabili siano chiamati a risponderne.