Quello degli Stati Uniti è un tentativo di effettuare “un colpo di stato” in Venezuela. È iniziato con queste parole, pronunciate dall’ambasciatore russo alle Nazioni Unite Nebenzia Vassily Alekseevich, il Consiglio di Sicurezza convocato dagli USA (rappresentati dal segretario di Stato Mike Pompeo in persona) di sabato mattina per discutere degli ultimi sviluppi della crisi venezuelana. Un Consiglio, inaugurato dal breefing di Rosemary A. DiCarlo, sottosegretario generale per gli affari politici e di peacebuilding, che ha rischiato in effetti di non avere luogo: la Russia, infatti, ha contestato l’opportunità di tenerlo, accusando gli USA di aver abusato delle prerogative dei membri permanenti, visto che il Venezuela, ha sostenuto Mosca, non pone alcuna “minaccia alla pace e alla sicurezza” internazionale. La Russia ha quindi richiesto il voto procedurale per approvare l’agenda proposta dagli Stati Uniti, infine passata per un soffio: ha infatti ottenuto il minimo di voti previsti (9) per procedere nella discussione, con 4 voti contrari e 2 astenuti.
Un’accusa – quella di fomentare le divisioni nel Paese adoperandosi per un cambio di regime – che Mosca ha più volte rivolto agli States anche nel seguito della discussione, quando Alekseevich ha preso la parola per esprimere il punto di vista russo sulla questione. “Non abbiamo dubbi sul fatto che il meeting di oggi sia stato convocato dagli Stati Uniti per continuare a destabilizzare la situazione in Venezuela”, ha detto il Rappresentante Permanente di Mosca, definendolo peraltro un ulteriore elemento della strategia americana di regime change. Una strategia, ha fatto notare Alekseevich, che di certo non rappresenta una novità nella politica estera di Washington, in ogni parte del globo. Mosca ha poi citato le ultime elezioni venezuelane, che in maggioranza hanno premiato Maduro (nonostante un alto tasso di astensionismo – ndr); ha fatto riferimento al “sistema elettronico” di voto con cui ha ironicamente sconfessato le accuse occidentali di brogli; e ha menzionato un recente sondaggio secondo cui Guaidó, il leader dell’opposizione autoproclamatosi presidente, non sarebbe sostenuto dal 60% dei venezuelani. L’ambasciatore russo, che ha chiesto di sapere se l’amministrazione Trump “è pronta a usare la forza militare”, ha poi inflitto un’altra stoccata agli USA quando li ha accusati di “non aprire la Carta delle Nazioni Unite da un bel po’”, facendo riferimento al principio di non interferenza che, a suo avviso, sarebbe stato violato.
Nel suo bellicoso intervento, il segretario di Stato Pompeo ha descritto la grave crisi economica e sociale in corso nel Paese riportando le storie di tante persone che “un tempo vivevano in prosperità”, mentre oggi rovistano “nei cassonetti per trovare qualcosa da mangiare”. “Gli Stati Uniti stanno cercando di ripristinare un futuro più luminoso per il Venezuela”, ha affermato Pompeo. “Siamo qui per invitare tutte le nazioni a sostenere le aspirazioni democratiche del popolo venezuelano, nel tentativo di liberarsi dall’illegittimo stato mafioso dell’ex presidente Maduro”. Il Segretario di Stato ha anche puntato il dito contro il sostegno, a suo avviso, fornito dall’intelligence cubana al regime del successore di Chavez, e contro Russia e Cina, accusate di aver tentato “di sostenere Maduro in difficoltà… nella speranza di recuperare i miliardi di dollari sconsideratamente forniti nel corso degli anni in investimenti e aiuti”. Pompeo ha infine ribadito il pieno sostegno di Washington all’auto-proclamato presidente e leader dell’Assemblea Nazionale Juan Guaidó. Quindi, subito dopo l’intervento dell’ambasciatore russo, il Segretario di Stato ha lasciato il Consiglio per tenere uno stakeout alla presenza dei giornalisti.
.@SecPompeo: The U.S. is helping to recover a bright future for #Venezuela. We’re here to urge all nations to support the democratic aspirations of the Venezuelan people as they try to free themselves from former president Maduro’s illegitimate mafia state. #EstamosUnidosVE pic.twitter.com/xvIlziWBRY
— Department of State (@StateDept) January 26, 2019
Dal canto suo, l’UE si è schierata, in blocco e singolarmente, con gli Stati Uniti nel proclamare l’illegittimità del mandato di Maduro e nel sostenere Juan Guaidó come presidente ad interim. L’ha fatto, però, “con riserva”, dettando cioè un ultimatum di 8 giorni al presidente venezuelano per annunciare nuove elezioni. Federica Mogherini, rappresentate dell’Unione per gli Affari esteri e la Sicurezza, ha affermato in una nota che “in assenza dell’annuncio di nuove elezioni libere e con le necessarie garanzie nei prossimi giorni, l’UE agirà di conseguenza, anche sulla questione del riconoscimento della leadership del Paese”. Posizione ribadita allo stakeout dai membri europei passati e presenti del Consiglio di Sicurezza, tra i quali la stessa ambasciatrice italiana Mariangela Zappia.
Non sembra, però, che il Venezuela risponderà positivamente all’ultimatum europeo. Nel suo lungo discorso al Consiglio di Sicurezza, il ministro degli Esteri del Paese bolivariano, Jorge Arreaza, ha duramente accusato l’Occidente di macchinare da tempo una strategia per rovesciare la presidenza Maduro. Lo ha fatto anche citando notizie apparse sui principali quotidiani americani, come il Wall Street Journal e il New York Times, che riferivano di un piano “in divenire” degli Stati Uniti a danno della leadership venezuelana. Quindi, Arreaza si è rivolto direttamente all’UE: “Europa, da dove ti arriva il potere di stabilire un ultimatum a un popolo sovrano?”, ha tuonato. E poi ha attaccato: “Chi ha eletto Pedro Sanchez? Perché il presidente Macron, anziché occuparsi dei gilet gialli, dedica il suo tempo al Venezuela?”. Il Ministro ha invitato la comunità internazionale a rispettare i principi sanciti dalla Carta dell’ONU, rispedendo al mittente tutte le accuse di brogli elettorali. Elezioni che, ha specificato sulla scia di quanto precedentemente fatto notare dalla Russia, si sono avvalse di un sistema di voto elettronico. Non solo: Arreaza ha dichiarato che tutti gli inviti diretti alla comunità internazionale e alla stessa Federica Mogherini di intervenire come osservatori del voto sono stati rifiutati. Questo, ha sostenuto, “perché il piano era già in corso”. “Gli Stati Uniti vogliono costruire il muro del Messico”, ha poi osservato il ministro rievocando lo spettro di una nuova Guerra Fredda, “ma stanno costruendo soprattutto un muro ideologico”.
Il Consiglio di Sicurezza si è dunque dimostrato sostanzialmente diviso sulle azioni da intraprendere in merito alla crisi venezuelana. Mentre il Segretario Generale ONU, in una nota rilasciata alcuni giorni fa, ha invitato tutte le parti ad abbassare la tensione e ha indicato come risolutiva la via del dialogo, la sessione d’emergenza del più influente consesso internazionale ha riflettuto l’assenza di una soluzione condivisa a livello globale.